Lunedì, 20 Maggio 2024

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La luce del midì

Cultura. Reportage

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Raggiungiamo Antibes in treno in una bella mattina di sole. La luce è quella mediterranea che ha sedotto Cézanne. Monet, Signac, Picasso e che ritroviamo, stesa a furiosi colpi di spatola, nelle ultime drammatiche tele di Nicolas De Staël: Alberi di battelli, Gabbiani, Grande Concerto, tutte del 1955: “un furore martellante di colori”, blu, celeste, violetto, grigio, bianco, giallo oro. S’allunga sullo sfondo, in direzione di Juan-les-Pins, il celebre promontorio di Cap d’Antibes dove Fitzgerald ambientò Tenera è la notte. Domina il paese il Fort Carré che è una fortezza militare a forma di stella del XVI sec. che imprigionò per un mese nel 1794 Napoleone Bonaparte in seguito alla caduta di Robespierre. Port Vauban è invece l’attracco turistico per gli yachts dei miliardari di tutto il mondo. È all’ombra del possente Castello Grimaldi che ospita il Museo Picasso con le opere dipinte ad Antibes nel soggiorno del 1946.

Con Carlo risaliamo a piedi le stradine del borgo gremite di centinaia di botteghe artigiane, di ceramisti, incisori e corniciai, gallerie di pittori e scultori, come se l’intero paese fosse una fucina d’arte. È indubbio, visto l’afflusso dei turisti, che sia il business più redditizio. Una sosta per uno spuntino con carpaccio e omelette al Jam’s Coffee che è di fronte alla Gelateria del Porto presa d’assalto da un serpentone di clienti golosi. Attraversiamo il mercato coperto provenzale, profumato di spezie e di prodotti locali, e una lunga passeggiata sulla scogliera a picco sul mare ci porta davanti all’ultima dimora di Nicolas De Staël. Una bianca e geometrica costruzione con due targhe all’ingresso, in cirillico e in francese, che segnalano la data di morte del pittore, il 16 marzo 1955, suicidatosi con un salto nel vuoto dalla finestra.

L’ INCANDESCENTE

reportage3Figlio d’un barone russo baltico fuggito in Polonia dopo la rivoluzione bolscevica, De Staël rimase presto orfano d’entrambi i genitori. Affidato ai parenti fece i primi studi in Belgio e poi ottenne la naturalizzazione francese. Di lui l’editore Seghers ricorda: “Lo charme irresistibile, la voce profonda da basso e le mani callose a forza di sensibilità”. Per la statura gigantesca e una particolare andatura definita “da principe” non passava di certo inosservato. Ma finché visse la sua pittura fu colpevolmente ignorata. Sopportò miseria, fame, freddo. S’arruolò persino per 4 anni nella Legione Straniera in Africa. Qui conobbe la prima moglie Jeannine Guillou, pittrice anche lei, che morì a Nizza nel 1946 di denutrizione. Indifferente ai soldi, alla gloria, ai premi, alle riviste d’arte e alle recensioni dei critici, leggeva solo i poeti, tra cui l’amico René Char. Fu sempre un dropout (emarginato) senza etichetta e apparentamenti artistici. Sosteneva che i buoni quadri sono quelli che non si sa dove vanno né da dove vengono. Della sua pittura,il nostro critico più attento, Roberto Tassi, esita a dire la provenienza: “Non da Cézanne; forse in parte da Courbet passando per Bonnard”. Negli anni ’50 raggiunge la piena maturità espressiva con le grandi tele (2m.x3,5) dove le categorie dell’astratto e del figurativo sono superate, “Il soggetto non esiste o tutto è soggetto”, la composizione è costruita e libera, riflette la difficile semplicità e l’armonia musicale dell’insieme, un intrico tutto spirituale di natura e d’inconscio, di cattedrali formicolanti e di cosmicità terrestre. Come dall’altra parte dell’Atlantico Pollock andava tessendo su tele altrettanto grandi. Ma proprio quando la sua arte stava per affermarsi in Europa e negli Usa Nicolas scavalcò con il lungo corpo il davanzale della finestra e sparì nel buio. Morì a 41 anni.

L’ORA DELL’APERITIVO

Al civico 72 della Croisette, accanto all’Hôtel Martinez, c’è un elegante café- bistrot dove ci fermiamo per un aperitivo con vista sul lungomare. Gli stabilimenti balneari sono ancora chiusi ma squadre di operai sono al lavoro per l’apertura. La Croisette è un infaticabile tapis roulant che trasporta residenti, turisti, gruppi di suore e preti, dog-sitter cingalesi alla mercé di viziate bestiole, rider africani che zigzagano “suicidi” su vecchie bici e scassati motorini, taxi che depositano al millimetro, davanti alla boutique, la caviglia di affannate signore cariche di borsette, cellulari e buste di acquisti, giovanotti e maturi signori in tutina attillata che fanno jogging con la musica negli auricolari, pensionati stravaccati a bocca aperta sulle panchine al tepore del sole. Rievocarlo in tempi di coronavirus sembra il Paradiso Perduto.

Al tavolo accanto al nostro due distinti settantenni dal look raffinato: camicia alla coreana e giacca a righe, pochette del colore della custodia per gli occhiali, jeans corti alle caviglie, a salta fosso, e abbaglianti sneakers bianche. Mi colpisce il mix ricercato, in stile Gucci, tra i dettagli d’un’eleganza anni ’20 e i cronometri al polso, i braccialetti indiani e le nike indossate sui fantasmini. Non sembrano in vena di scambiarsi confidenze e continuano a fissare, tra un messaggino e l’altro, il passeggio sulla promenade con broncio annoiato e sul profilo bronzé i riverberi del sole all’occaso.

Molto più vivace è invece la coppia alle nostre spalle impegnata in un tête-à-tête quasi indecente. Lei avrà sui 60 anni, grande viso ovale, labbra e zigomi al botulino, decise sopracciglia disegnate dalla matita e una cofana di lunghi capelli biondo-platino, lisci e stopposi. Una brutta copia di Mae West. Indossa un giubbetto rosa translucido e fuseaux neri . Il partner che sembra abbeverarsi alle sue parole è un signore brizzolato in classico completo blu da finto diplomatico e l’aria disinvolta del gigolò che ha infilato sornione la mano tra le cosce della donna. E quando lei gli mostra al cellulare, tra smorfiette e risatine, dei video credo casalinghi, si vede la ronda dei camerieri che a turno si piazzano dietro la coppia e ammiccano tra loro sgomitandosi. Come si sarà concluso il corteggiamento non lo so. Con Carlo decidiamo di cenare italiano perché da due settimane non assaggiamo un piatto di pasta. Siamo in crisi d’astinenza. L’eccellente ristorante è “La Bella Storia” e fu aperto nel 1954 da Pietro Foppiani, il nonno dell’attuale proprietario, che si specializzò in pasta fresca all’uovo e lo chiamò “Aux bons Raviolis”. La famiglia ha origini miste, vicentine e fiorentine, e il piatto consigliato sono linguine agli scampi e conchiglie Saint-Jacques. Ottimo.

LA SIGNORA CON L’ELASTICO

madeleineCome un ectoplasma evocato in una seduta spiritica, puntualmente riappare nei ricordi di Carlo un personaggio che è stato determinante nella sua vita. Madeleine Castaing, la celebre antiquaria e designer di interni che per prima lo mise in contatto con Jacques Guérin quando il giovane studente d’Avellino cercava materiali per la biografia su Violette Leduc, pubblicata poi nel 1999 con successo da Grasset. La Castaing era soprannominata “la dame à l’elastique” per il vezzo in età avanzata di fermare in testa la parrucca con un elastico che serviva a stirarle anche le rughe del collo. Prima di Cannes avevo scovato nella libreria di Carlo un lussuoso album sulla signora edito dalle Editions du Regard. Molto agiografico e alquanto sciovinista - caratteristica dei francesi - illustrava la vita e il successo della Castaing che negli anni del dopoguerra, anticipando i tempi, aveva inventato un nuovo stile d’arredamento – “ Io faccio case come gli altri scrivono poesie” – con un estetica dal gusto neoclassico ma aperta a ogni contaminazione. L’oggetto che in altre mani risultava kitsch, tra le sue - aveva un occhio infallibile per gli accostamenti - diventava elegante e chic. Inventò pure una tonalità di colore, il verde-acqua, che fu chiamato “verde Castaing”.

Un capitolo dell’album è dedicato al suo intervento per arredare villa Santo-Sospir della Weisweiller, di cui abbiamo raccontato. Collaborò con Cocteau nel film “L’aquila a due teste”, scenografie di “Bébé” (Christian Bérard). E anche in “Le signore del Bois de Boulogne” di Bresson (1945) - sublime Maria Casarés! - dove appaiono le suppellettili e gli oggetti eccentrici della Castaing. Indimenticabile però resta la poltrona costruita con corna di bisonte per la casa di campagna di Jean Marais, l’attore-icona di Cocteau.

Oltre che antiquaria e arredatrice la Castaing ebbe complicità e fiuto straordinari per gli artisti. Frequentò Chagall, Picasso, Miller, Cendrars e Modigliani che le favorì l’incontro e la conoscenza di Chaim Soutine. Fu un colpo di fulmine reciproco. Madeleine aveva sposato a 17 anni il critico d’arte Marcellin Castaing, di 20 anni più anziano. Il matrimonio fece scalpore ma istradò nella giusta direzione il talento ancora latente della ragazza. I Castaing accolsero Soutine nel maniero di Lèves, lo sostennero economicamente, lo lanciarono sulla scena internazionale e ne furono i primi e più importanti collezionisti. Si è molto congetturato sulla natura ambigua del rapporto, un misto di generosità e di sfruttamento. Chi conosceva bene la questione era Jacques Guérin. Ma noi per saperlo dobbiamo aspettare l’uscita della sua biografia che Carlo Jansiti sta ultimando. Sì, proprio il nostro Carlo!
(continua)

Di Ivan Teobaldelli


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