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Terra madre, terra viva

Globalizzazione. Dal patriottismo al matriottismo / seconda parte
96 annii altrapagina aprile 2021

Nel precedente numero della rivista abbiamo affrontato, e qui ulteriormente sviluppiamo, il tema di una rivoluzione antropologica del pensiero, di un cambio di paradigma nel rapporto con il pianeta, con la Terra Madre, che la pandemia ci impone in forma quasi ultimativa. Un pensiero eretico, un impegno conseguente non più minoritario che stanno portando avanti in molti. Cambiano i nomi dei testimoni ma l’obbiettivo è lo stesso: la cura della Madre Terra come organismo vivente, che ha generato tutto ciò che esiste nel pianeta, che se ne prende cura e del quale noi umani a nostra volta dovremmo prenderci cura. È la Pachamama dei popoli indigeni dell’America Latina, è lo Shan dei nativi europei, è lo spiritualismo panteista dei nativi nord americani. Sono gli scienziati umanisti della teoria di Gaia, sono le giovani generazioni che con Greta Thunberg chiedono a governanti ciechi cambiamenti radicali. È l’appello di Papa Francesco contro “l’inequità planetaria”. So bene che questo concetto, apparentemente così semplice, è impossibile da comprendere se si concepisce il mondo sulla base del patologismo antropocentrico che pone l’uomo “padrone/proprietario” al centro dell’universo, con diritto di sfruttare e schiavizzare tutto ciò che ha intorno, dalle risorse naturali agli animali. Ma il concetto di pianeta vivente, di corpo vivo e complementare a tutti gli esseri, non è forse lo stesso sviluppato oggi da alcuni degli scienziati, degli economisti e degli intellettuali contemporanei più prestigiosi dell’Occidente? Da Fritjof Capra a Ilya Prigogine, da Edgar Morin a Stéphane Hessel, da Zygmunt Bauman a Noam Chomsky, da Thomas Piketty a Joseph Stiglitz. Non è forse la filosofia indigena della Madre Terra quella che ritroviamo nell’eretica e meravigliosa enciclica Laudato si' di papa Francesco? Un messaggio radicale e necessario che interroga tutti, laici e religiosi, chiamandoli alla riflessione e, soprattutto, all’impegno. Partendo dal Cantico delle Creature, Bergoglio arriva alla Madre Terra, entità viva, titolare di diritti, riconoscendola come “…sorella con la quale condividiamo l’esistenza, madre bella che ci accoglie tra le sue braccia” (n. 1 – Laudato si'). Partendo dal principio che “tutto è connesso” (n. 138), Francesco condanna “l’antropocentrismo dispotico che non si interessa delle altre creature” (n. 68). “Querida Amazzonia”, attraverso il rapporto con la laicità e con il naturalismo indigenista, rappresenta l’attualizzazione di un pensiero e il superamento del tradizionalismo antistorico della Genesi (“Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili” – Genesi 26). È totale la sintonica complementarietà tra la millenaria filosofia indigena della Madre Terra viva, indivisibile e autoregolata, con la analoga teoria di Gaia, elaborata dallo scienziato britannico James Lovelock e riconosciuta in Occidente nel 1979. Una teoria che considera il pianeta Terra un organismo biologico vivente, capace di autoregolarsi e di mantenere le condizioni materiali necessarie per la vita, sua e degli esseri che lo abitano. Se quello occidentale resta un modello di pensiero e di potere ristretto, nazionalistico, patriarcale e “patriottico”, quello indigenista ha un carattere universale. È rivolto a tutto il pianeta, a tutti gli esseri che lo abitano. terraÈ “matriottico”, al femminile, consapevole della propria origine e rispettoso della Madre Terra genitrice, generosa e saggia. Un pensiero che non è rimasto confinato al filosofico o al livello testimoniale di popoli nativi considerati marginali e in via di estinzione. Quel pensiero è stato ed è protagonista dei cambiamenti politici, culturali, istituzionali e costituzionali più innovativi degli ultimi decenni. Specialmente in America latina. Le comunità indigene, che sono maggioranza o che rappresentano larghe minoranze in molti Paesi, hanno recuperato la loro storia millenaria e sono diventate protagoniste di lotte, di governi e di un altro mondo possibile. Particolarmente significativa è l’esperienza indigenista in Bolivia, un Paese storicamente segnato dai colpi di Stato della minoranza (15%) bianca, ricca ed europea contro la maggioranza indigena (60%) rappresentata da 32 nazionalità originarie, tra le quali le due maggioritarie, Aymara e Quechua. Milioni di persone che per 500 anni sono state tenute in condizioni di schiavitù e private dello stesso diritto di esistere come esseri umani. Fino a quando, nel 2006, i movimenti sociali e indigeni non hanno sconfitto i militari, imposto libere elezioni e conquistato il Parlamento e il governo. Evo Morales, Aymara della provincia del Chapare, è stato il primo presidente indigeno ad essere eletto capo di Stato in quell’area geografica a oltre 500 anni dalla conquista. Da quel momento è iniziata la primavera dei diritti e dell’emancipazione degli umili nel Paese più militarizzato e povero dell’America latina. I saperi ancestrali hanno recuperato una storia identitaria che si riconosce con le lotte per l’indipendenza del XVIII secolo e con icone rivoluzionarie anticoloniali come Tupak Katari e Tupak Amaru. Quei saperi, la filosofia della Pachamama, del “vivir bien” sono diventati la base politica e culturale delle conquiste civili, sociali, economiche e costituzionali che sono seguite. Negli anni successivi la Bolivia ha nazionalizzato le risorse naturali ed energetiche, promosso programmi di sviluppo per i settori più umili fino ad allora esclusi, sconfitto la povertà estrema e l’analfabetismo, diventando il Paese dell’America latina con la crescita più alta e con il più alto indice di redistribuzione della ricchezza. Sono state distribuite le terre, banditi gli organismi geneticamente modificati in agricoltura e avviata la realizzazione di banche del germoplasma per salvaguardare i semi originari. Nel 2009 con la nuova Costituzione viene istituito lo “Stato Plurinazionale di Bolivia”, che nel 2010 presenta all’Assemblea Generale dell’Onu la Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra. L’esempio della piccola Bolivia ci dice che immaginare e costruire realtà nuove è possibile anche nei contesti più difficili, e che pensare diversamente è una condizione vitale che accompagna cambiamenti irrimandabili. Una rivoluzione paradigmatica e mentale più importante della rivoluzione copernicana. Se vogliamo uscire dall’età del ferro planetario nel quale siamo ancora immersi. Se vogliamo costruire una nuova umanità solidale che condivide un destino comune con la Terra e con tutti gli esseri che la abitano. ◘

di Luciano Neri


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