Lunedì, 20 Maggio 2024

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L'emarginazione dell'Alta valle del Tevere risale a molto tempo fa Marginalità della valle e strategie

Città di Castello.

silvia romano2

Vogliamo avere una limpida conferma di quanto sia radicata l’emarginazione dell’Alta valle del Tevere? Si legga l’articolo pubblicato nel 1930 da “Le Vie d’Italia”, rivista mensile del Touring Club Italiano e “Organo ufficiale dell’Ente Nazionale per le Industrie Turistiche”. Propone una gita di sei giorni in Umbria e ne indica il percorso. Arrivati a Perugia, suggerisce di fare un salto a Gubbio e di ritornare nel capoluogo per Umbertide. L’Alta valle del Tevere è del tutto trascurata. Non solo: è addirittura cancellata dalla cartina allegata. Come dire: l’Umbria finisce a Umbertide.

Non che Città di Castello fosse all’epoca un centro sconosciuto in Italia. Al contrario. La fama delle sue tipografie era all’apice e qualsiasi persona di cultura l’associava alla gran quantità di libri di pregio e di riviste che vi si stampavano. Inoltre stava pure diventando un centro di rilievo nazionale per la tabacchicoltura. Tuttavia l’articolo del Touring rivela come Città di Castello venisse percepita quanto meno “marginale” in Umbria.

A giudicare dal senso comune della popolazione e da quanto affermano politici, amministratori, operatori economici e culturali, permane purtroppo anche al giorno d’oggi una generalizzata insoddisfazione per lo scarso “peso” del nostro territorio. Non adeguatamente considerato l’Alto Tevere Umbro dalla Regione Umbria; non adeguatamente considerata la Valtiberina dalla Regione Toscana. Il problema è quello che sappiamo: un’unica realtà geografica e comunitaria è sventuratamente divisa in due realtà amministrative regionali a loro volta distanti dai capoluoghi di regione.

Non che non si siano fatti passi avanti in direzione di una comune visione dei problemi e di una comune elaborazione di strategie. Politici, industriali e intellettuali con una forte identità altotiberina ce ne sono sempre di più. Del resto ogni nuova sfida – si vedano ora i fondi europei per il rilancio economico e sociale dopo la pandemia – ci impone di allargare lo sguardo ben oltre il ristretto confine municipale. E un’ottica di vallata, per quanto ancora “locale” rispetto alle grandi questioni, è il minimo che ci si possa attendere da chi ambisce ad affrontarle con lungimiranza.

Qui sorge un cruccio. Chi vive con interesse e partecipazione i problemi della comunità, offrendo il proprio contributo di idee a seconda delle vocazioni e delle competenze, vorrebbe tanto avere dei leader politici che indichino una direzione di marcia, che sappiano elaborare una strategia, che aprano spazi istituzionali, che raccolgano risorse, che riescano a guardare ben oltre il mediocre interesse elettorale di breve respiro per trovare intese anche con gli avversari nell’interesse della comunità. Invece siamo qui tutti a lamentarci per la morte della politica, a rimpiangere addirittura i partiti della Prima Repubblica e i loro leader. Senza dubbio non avevano le capacità comunicative dei politici di oggi, curavano poco la loro immagine. Ma di certo li legava un cordone ombelicale all’elettorato (più del 90% andava a votare!), sapevano di dover rendere conto ai propri partiti di riferimento (decine e decine di persone che politica la facevano davvero) e trovavano la lucidità, nei momenti cruciali, per condividere strategie. È in gran parte merito di quella politica se si sono superate fasi cruciali come la ricostruzione post-bellica, l’esodo dalle campagne, il diffuso processo di industrializzazione, le rivendicazioni sindacali per una maggiore equità sociale e la minaccia del terrorismo.

La nostra generazione è cresciuta nel “mito” del miracolo economico avviato tra fine anni '50 e primi anni '60 dal Sindaco comunista Gustavo Corba e dal presidente democristiano della Cassa di Risparmio Luigi Pillitu. C’è del vero dietro al “mito”: i due tenaci avversari politici (s’era al tempo della Guerra Fredda) seppero incanalare energie politiche e intellettuali e risorse economiche e finanziarie verso un fine comune. Rimasero avversari, ma in un momento cruciale anteposero l’interesse della comunità ai fini personali e partitici. Son diventati “mito” proprio per questo.

Credo sia legittimo chiedere ai nostri attuali esponenti politici dei vari schieramenti un impegno in tale direzione e a beneficio della valle. Non ci interessano proclami, battute polemiche, prese di posizione su questioni marginali. Qui si parla di strategie…

Non possiamo accampare la scusa di essere politicamente sottorappresentati ai livelli istituzionali più elevati. Città di Castello esprime quattro deputati: Anna Ascani, sottosegretario al Ministero dello sviluppo economico nel governo Draghi; Walter Verini, tesoriere del Pd; Riccardo Augusto Marchetti, leghista molto influente; Catia Polidori, politica e imprenditrice di Forza Italia. Ha in Consiglio regionale il piddino Michele Bettarelli e il leghista Valerio Mancini. Tifernate d’adozione è pure la 5Stelle Laura Agea, eurodeputata negli anni 2014-2019 e poi sottosegretaria nel Governo Conte. A tutti questi politici non si chiede un impegno clientelare, né di trascurare le più grandi questioni che, c’è da supporre, assorbono gran parte del loro impegno. Ciò che si chiede è un contributo essenziale e bipartisan, tangibile e coinvolgente, per elaborare una strategia di rilancio della nostra valle. ◘

di Alvaro Tacchini


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