Lunedì, 20 Maggio 2024

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Oltre i confini geografici e temporali

I luoghi della memoria. Sansepolcro: il Sacrario degli Slavi.

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Come sottolineato in alcuni precedenti contributi, in Valtiberina ci sono luoghi di notevole valore culturale che però, in termini di fruizione, fanno fatica a catalizzare una degna attenzione. Con la sua storia particolarissima e con i tanti significati che incarna, il Sacrario degli Slavi all’interno del Cimitero Urbano di Sansepolcro è sicuramente uno di questi. Inaugurato il 15 dicembre 1973, tale complesso monumentale è dedicato ai caduti, morti e dispersi della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia durante la Seconda Guerra Mondiale nell’Italia centro-settentrionale (esclusi i circondari di Trieste, Gorizia, Roma e Mar Tirreno): al suo interno, nella parte sottostante, sono infatti custodite 446 spoglie di caduti jugoslavi che persero la vita nel Campo d’Internamento di Renicci, o nella Lotta di Liberazione che molti di loro condussero a fianco dei partigiani del territorio.

Con i suoi marmi che rimandano al substrato calcareo della costa balcanica occidentale, il Sacrario di Sansepolcro è un monumento che riesce ancora oggi a mettere in relazione non soltanto differenti periodi storici, ma anche luoghi e scale geografiche che oltrepassano i confini locali e nazionali. Da questo punto di vista esso può essere concepito come un varco d’accesso spazio-temporale che può innanzitutto connetterci con gli eventi che il nostro territorio visse durante la Seconda Guerra Mondiale, dalla realizzazione del campo di internamento di Renicci (nella vicina frazione Motina di Anghiari) fino alla ritirata dei tedeschi.

Oltre a questo, c’è però anche un altro interessante capitolo storico che si lega indissolubilmente a questo simbolo, ovvero quello successivo al secondo conflitto mondiale: in segno di riconoscenza, ma anche per ricercare un dialogo con un interlocutore posto al di là della Cortina di Ferro, negli anni ‘60 e ‘70 il Comune di Sansepolcro iniziò a costruire un legame positivo con la Jugoslavia. I segni di tale interazione sono ancora oggi visibili non soltanto all’interno del principale cimitero cittadino, ma anche nel nome della strada da cui vi si accede, ovvero viale Osimo: tale intitolazione intendeva infatti rendere omaggio al comune marchigiano, dove nel 1975 si stipulò l’omonimo trattato tra l’Italia e la Jugoslavia.

Il Sacrario degli Slavi è dunque anche il simbolo di una distensione che negli anni della Guerra Fredda il Comune di Sansepolcro provava a perseguire con uno Stato geograficamente vicino, ma geo-politicamente lontano (uno Stato con cui l’Italia, peraltro, ha avuto attriti prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale per la complessa questione del confine orientale). Una lunga vicenda, alla fine della quale sorprende constatare che ancora oggi, dopo l’originario atto di donazione del Comune, la superficie del cimitero su cui sorge il sacrario appartiene formalmente alla Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, ovvero a uno Stato che non esiste più (soltanto nel 2021 un’ex repubblica della Jugoslavia, la Slovenia, ha sottoscritto una convenzione con il Comune di Sansepolcro per garantire la necessaria manutenzione al monumento).

Alla luce di tutto ciò, non è errato sostenere che persino in termini geografici e culturali il Sacrario di Sansepolcro riesce congenitamente a riproporre un’attitudine al dialogo che, nell’intramontabile intento di ricercare un confronto tra luoghi lontani, potrebbe oggi aiutarci a ricostruire una relazione tra i valori fondanti della nostra società e le storie di coloro che per dargli concretezza hanno perso la vita in questo territorio.

di Gabriele Marconcini


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