Personaggi. Pietro di Castello, frate francescano, fu tra i primi religiosi a partire per il nuovo mondo e divenne difensore degli indios
“OGGI 25 DICEMBRE SI È SPENTO PEDRO DEL CASTILLO, UOMO ESEMPLARE E INSTANCABILE, ONESTO, SEMPRE SCALZO. SI È DISTINTO COME DIFENSORE DEGLI INDIOS E COME GUIDA, APPRENDENDO MOLTO BENE LE LINGUE MESSICANA E OTOMI. AVENDO PERDUTA LA VISTA MORÌ LA NOTTE DI NATALE E FU SEPOLTO QUI, AI PIEDI DELL’ALTARE MAGGIORE.” |
Anno Domini 2018 Città di Castello, Italia. Il nostro concittadino ingegner Giovanni Cangi viene coinvolto dall’Università RomaTre in un progetto di collaborazione fra Unione Europea e Ministero dei beni culturali Messicano (INAH - Instituto Nacional de Antropologia e Historia).
Il progetto riguarda la ristrutturazione e consolidamento di chiese e conventi danneggiati dai terremoti del settembre 2017 che hanno colpito il sud del Messico con intensità di 8.2 e 7.2 della scala Richter. Gli edifici religiosi interessati risalgono al 1500 circa, edificati da comunità di frati Francescani, Domenicani, Agostiniani sorte in Messico subito dopo la conquista di Cortés. Mentre si accinge a partire, l’ing. Cangi incontra l’amico Elvio Ciferri, anch’egli tifernate, scrittore, poeta, saggista e storico; autore tra le altre cose di due libri sui personaggi illustri di Città di Castello. Il Ciferri cita fra i concittadini illustri anche tale “Beato Pietro da Città di Castello”(già menzionato nelle cronache del Muzi, vescovo tifernate dal 1825 al 1849), di cui il Cangi dovrebbe presumibilmente trovare alcune tracce nella diocesi di Tula, appunto in Messico.
Scrive il Ciferri:«Pietro nacque a Città di Castello verosimilmente verso la fine del XV secolo. Probabilmente mercante, andò “per negozi secolari” in Spagna intorno al 1525. Non sappiamo se folgorato improvvisamente come san Paolo sulla via di Damasco o per una vocazione giunta lentamente a maturazione, decise di lasciare la vita secolare per entrare nell’ordine dei Frati Minori della Regolare Osservanza nella provincia spagnola della Concezione. Compiuto il tempo del noviziato, fece in questa provincia la sua professione religiosa e ricevette gli ordini sacri fino al sacerdozio. Visse alcuni anni da frate in Spagna, esercitandosi in ogni virtù. Preso dal desiderio di soffrire anche il martirio, se fosse stata la volontà di Dio, e dallo zelo per la salvezza delle anime, chiese licenza ai suoi superiori per trasferirsi alla provincia del Santo Evangelo nelle Indie Occidentali, e giunse in Messico. Qui apprese con grande fatica le lingue locali, riuscendo a convertire un gran numero di pagani al cristianesimo, predicando in particolare a Tlaxcala, Jilopetec, Tula e Tepejic. Non bastarono a fermarlo le gravose infermità di cui soffriva: dolori di podagra e allo stomaco. Col passare del tempo divenne pure cieco, sopportando tutto con ammirabile pazienza, senza lamentarsi mai. Sull’esempio dei biblici Giobbe e Tobia diceva: “Il Signore mi ha fatte aver quell’infermità e cecità, il Signore vuol così, sia benedetto il nome suo ne’ secoli de’ secoli”.
Nei momenti di tregua tra un’infermità e l’altra, non cercava di ristorare il suo corpo ormai indebolito e non voleva mai stare in ozio, ma si occupava nel confessare gli indios convertiti, confermandoli nella fede predicando loro il vangelo. Si tramanda anche che difendesse le popolazioni indigene dalle prepotenze dei conquistadores spagnoli, e che per attrarre in fanciulli alla religione cristiana, usasse donar loro del cibo. Inoltre insegnava ai suoi confratelli francescani le lingue locali, sintetizzando per loro facili regole per apprendere questi difficili idiomi con facilità. Giorno e notte era occupato nella preghiera. Dopo aver passato oltre quarant’anni della sua vita da frate francescano, nell’osservanza più stretta di obbedienza, castità, povertà e umiltà con molti digiuni e penitenze, divenne celebre per le sue virtù, diffondendosi già quando era in vita la sua fama di santità. Morì il 5 novembre 1567 nel convento di San Giuseppe in Tula, anche se una tradizione locale fa risalire la sua morte alla notte di Natale del 1577.
Il suo corpo fu sepolto con molto rispetto davanti ai gradini della cappella maggiore della chiesa di San Giuseppe. Il martirologio francescano lo celebrava come beato al 5 novembre, mentre l’edizione del 1939 lo chiama “servo di Dio”, probabilmente perché del suo culto non fu mai chiesta conferma alla Santa Sede. Nel 1984 il suo corpo, assieme a quello di altri quattro religiosi, fu ritrovato in occasione dei restauri della chiesa di San Giuseppe, divenuta nel frattempo la cattedrale di Tula, e fu di nuovo sepolto sotto la cattedra vescovile, come base e fondamento della fede che predicò con tanta sollecitudine alle popolazioni locali».Cangi accetta di buon grado le indicazioni dell’amico e storico, e si appresta a partire con una missione nella missione, quella di mettersi sulle tracce di un illustre tifernate che si è spinto nel XIV secolo fin nel “Nuovo Mondo”
.Anno Domini 2019 Città di Tula, Messico Una volta arrivato in Messico l’ing. Cangi conosce i membri dell’INAH che lo affiancheranno nel suo lavoro di consolidamento e restauro degli edifici religiosi, l’Arch. Juana Gomez Badillo e l’Arch. Salvador Avila Gaytan e successivamente il sacrestano della cattedrale di Tula, Francisco Soto Lopez: si riveleranno persone e professionisti su cui contare anche per mettersi sulle tracce di Pietro. Il 1° dicembre 2018 Giovanni Cangi si sposta, insieme ai colleghi della Soprintendenza, dalla zona a sud di Città del Messico dove lavora fino alla città di Tula situata a circa 100 km a nord della capitale, per andare a visitare il presunto luogo in cui poter trovare traccia del nostro concittadino. Tula, un tempo capitale dei Toltechi (etnia indigena) e città importantissima storicamente, li accoglie con i suoi siti archeologici, le magnifiche piramidi e le statue imponenti (gli Atlanti), ai piedi dei quali, dopo l’arrivo di Cortés, si insediarono comunità religiose cristiane costruendo conventi e “cappille abierte” (termine con il quale si intende una piccola chiesa costituita dal solo presbiterio, coperta e rialzata, da cui si predicava, oltre la quale frontalmente venivano eretti due muri obliqui di cui la cappella era il vertice e che servivano, in segno di abbraccio, ad accogliere la popolazione di fedeli (di fatto Bernini circa un secolo dopo con il Colonnato di San Pietro utilizzerà lo stesso simbolismo).
Le notizie, supportate dalle cronache dell’epoca di un altro missionario francescano, Jeronimo de Mendieta, ci dicono che in uno di questi conventi potremmo trovare tracce di Pietro, più precisamente sappiamo che i suoi resti dovrebbero essere custoditi nel convento San Josè di Tula. Probabilmente all’interno della chiesa cattedrale della città, costruita fra il 1543 e 1554 su progetto di un altro famoso francescano, Fray Juan de Alameda, contemporaneo di Pietro, che sicuramente assiste, forse partecipa, alla costruzione dell’edificio. Dunque Cangi entra finalmente nella cattedrale e dopo aver annotato sul registro delle visite il motivo della sua visita, finalmente proprio ai piedi della cattedra vescovile trova, oltre a una epigrafe su una delle pareti della chiesa (quella con cui abbiamo cominciato il racconto), una targa in ottone in cui si afferma che Fray Pedro del Castillo (questo il nome con cui viene ricordato in Messico il nostro Pietro da Città di Castello) e altri quattro frati, Alonso Urbano, Diego Cordero, Juan Clemente e Cristobal de Zamora, sono sepolti lì, nello stesso punto dove furono riscoperti nel 1984 in occasione dei lavori di restauro della cattedrale.
Che gioia! Giovanni porta anche dei fiori per omaggiare il concittadino così illustre e li depone ai piedi della tomba. Finalmente Pietro di Castello è stato ritrovato, ed è un po’ come averlo riportato a casa. Sarebbe bello se anche la nostra diocesi e il Comune decidessero di intervenire in questa vicenda, entrando in relazione con la città e con il vescovo di Tula (una diocesi che conta un milione di abitanti), per poter dare così il via a una ricerca storico-religiosa più approfondita, che possa magari portare alla luce maggiori informazioni sul viaggio e la vita di questo nostro concittadino, rimasto finora sconosciuto o quasi ai più e che magari meriterebbe uno spazio più ampio all’interno del tessuto storico della nostra comunità. Da questo auspicato approfondimento potrebbero nascere dei proficui incontri, che facendo leva sul fronte culturale potrebbero aprire tanti altri spiragli. Ringraziamo Giovanni Cangi per essersi messo a disposizione di questa ricerca come un’Indiana Jones sulle tracce delle nostre radici sparse nel mondo; lo ringraziamo inoltre per averci concesso il privilegio di raccontare questa storia e gli auguriamo di poter continuare a essere l’anello di congiunzione di una storia, la nostra tifernate, che speriamo possa offrirci ulteriori interessanti risvolti. Un saluto e un ringraziamento vanno anche a Fray Pedro del Castillo, o meglio ancora a Pietro de Castelo, che in tempi lontani ha saputo portare in quella lontanissima terrà, che sarà la Nuova Spagna di Carlo V, il nome della nostra città, rivestendola di onore e riconoscimento.
di Andrea Cardellini