Agricoltrua biologica. Intervista a Luca Stalteri, coltivatore biologico
Si fa un gran parlare, in bene o in male, di agricoltura e si fa strada da anni una sensibilità ambientale e sanitaria che spinge sempre più persone a rivolgersi al biologico. Per conoscere meglio la situazione del settore parliamo con Luca Stalteri, agronomo, titolare di un’azienda agricola biologica della valle.
Praticare l’agricoltura biologica nel nostro territorio cosa comporta a livello agronomico? Ha osservato cambiamenti nel corso degli anni?
Ci sono stati adattamenti e cambiamenti su due fronti, quelloambientale e quello climatico. Lo slittamento e a volte la dilatazione della stagione estiva comporta la messa a dimora delle piantine con un ritardo di due settimane circa sui tempi indicati in agronomia. Sostanzialmente quanto avevo appreso nel corso di laurea non corrisponde alla condizione attuale. Alcune varietà risentono di queste variazioni anche a livello di ciclo vegetativo; piante che necessitano di un certo quantitativo di luce ne ricevono una quota inferiore e questo non può non avere effetti. La ricerca genetica nel biologico non è sviluppata come nel convenzionale, pertanto disponiamo di poche varietà adattabili alle mutate condizioni climatiche. Un altro problema è costituito dall’avvento di fenomeni atmosferici intensi, come ad esempio le tempeste di vento inedite che negli ultimi anni hanno colpito la zona.
A questi eventi non siamo preparati. Dal punto di vista qualitativo il nostro territorio può considerarsi vocato al biologico?
Senza dubbio. Abbiamo già sperimentato che certe condizioni peculiari della Valtiberina favoriscono lo sviluppo e la qualità di certe ortive, abbiamo avuto produzioni di successo con peperoni e melanzane, per esempio. E questo vale anche per il convenzionale. Persino il tabacco avrebbe buone chances se coltivato con metodo biologico.
Per quanto riguarda l’aspetto normativo e burocratico quali difficoltà incontra nel suo settore?
I controlli sono ferrei, costanti e operati da più enti e soggetti. Noi riceviamo cinque ispezioni annuali da parte di ente certificatore, Nas, Asl e Repressione Frodi. Siamo tenuti a registrare
con estrema precisione prodotti, trattamenti, rotazioni e lavorazioni. Esistono provvedimenti e sanzioni che possono comportare la revoca delle autorizzazioni. I controlli sono benvenuti, ma il carico burocratico è notevole e determina un aggravio economico. La criticità maggiore è rappresentata dalla mancata condivisione dei dati tra i vari enti, che ci costringe a registrare ripetutamente le stesse informazioni e con modalità differenti.
C’è sostegno, anche economico, da parte delle istituzioni?
I finanziamenti ci sono e sono adeguati, ma in realtà nessuno ha scommesso sul biologico. L’agricoltura beneficia di finanziamenti a pioggia e mal distribuiti. Vengono finanziate forme di agricoltura inadeguate, penso per esempio all’agricoltura integrata (un mix di convenzionale e biologico), una pratica agricola che in pochi attuano realmente poiché richiede una pianificazione e un impegno maggiori, ma che fino a quest’anno non è stata sottoposta a verifiche (peraltro tutte documentali e non in campo), consentendo a molti di percepire contributi senza averne i requisiti. Inoltre le sovvenzioni non sono calibrate sulle differenti colture. Un ettaro di ortive richiede molto più lavoro e investimento di un ettaro di cereali, ma la quota di contributo dell’uno e dell’altro non è commisurata. Concretamente sono le aziende agricole più grandi ad essere avvantaggiate ricevendo molti sussidi e si è creata una distorsione del mercato agricolo che ha finito per prediligere le colture più sovvenzionate.
La prossimità di colture convenzionali ha determinato problemi per la sua attività?
Nonostante la collocazione geografica della mia azienda sia piuttosto favorevole per quanto riguarda la qualità dell’acqua e la direzione del vento, problemi ce ne sono stati diversi. Solo con un impegnativo lavoro di confronto con gli agricoltori convenzionali confinanti, sono riuscito a ottenere un distanziamento delle colture di 15 metri: 10 da parte mia, 5 da parte dell’agricoltore confinante. L’anomalia sta nel fatto che mentre nel biologico ci sono disposizioni precise per le distanze, lo stesso non avviene nel convenzionale: perciò la mia fascia di rispetto è frutto di pianificazione derivante da un’imposizione, quella del vicino è su base volontaria. In agricoltura il principio del “chi inquina paga” non è contemplato. Tuttavia sono convinto che l’inquinamento derivante dall’agricoltura intensiva, costituisca un problema maggiore per la collettività, per la salute delle persone, più che per la mia attività produttiva.
Pensa che una riconversione ecologica della valle sia possibile? In che modo?
Certamente è possibile, ma anche fondamentale. Molti disquisiscono su quali colture possano sostituire il tabacco, ma il problema non sono le colturequanto il metodo di coltivazione. Il tabacco è una coltura rustica, non necessita di molti trattamenti e gli agricoltori più esperti sono in grado di ridurli pianificando meglio gli interventi, altre colture sarebbero molto più roblematiche. Ortive e frutticole, per esempio. Con il metodo biologico invece si otterrebbero prodotti validi e con maggior rispetto dell’ambiente. Indispensabile anche la diversificazione delle colture, i m p o r t a n t e sia per l’autosufficienza alimentare (il non food sarebbe da ridimensionare molto), sia per la preservazione dell’ecosistema. Occorre Occorre una pianificazione molto attenta anche perché facciamo i conti con un mercato globale che presenta molte distorsioni.