La radiografia della situazione politica umbra è scritta nei numeri. Alle elezioni europee di maggio il Pd ha preso il 23,98 per cento dei suffragi, mentre il M5s il 14,63: la loro somma dà lo stesso risultato ottenuto dalla Lega da sola, il 38,18 per cento. Ciò significa che se alla coalizione del Centro sinistra.
Pd+5stelle si aggiungessero i civici, stimati attorno al 7/8 per cento, e alla Lega si aggiungesseroF.lli d’Italia (6,58) e Forza Italia (6,42), vale a dire un altro 13 per cento, la bilancia volgerebbe a favore del Centro Destra con uno scarto di circa tre/quattro punti. Ad aggravare ulteriormente la situazione concorrono sia il Partito comunista di Rizzo, schierato contro il Centro sinistra, sia un certo malpancismo interno ai pentastellati, poco propensi a votare per un Pd che, per loro, rappresenta il diavolo. Tutto ciò non farebbe che allargare ancora di più la forbice a favore della Lega. Il risultato non cambierebbe anche se si aggiungessero i vari cespugli a destra e sinistra dei due schieramenti. Il parametro dei numeri sarebbe quindi pendere la bilancia a favore del Centro destra. Se si valuta poi la situazione politica, il panorama diventa ancora più cupo.
La caduta della Giunta Marini sulla vicenda legata alla sanità ha ulteriormente screditato la classe politica umbra. Prima di lei è stata Maria Rita Lorenzetti a cadere per gli stessi motivi clientelari nella sanità. Senza dimenticare gli anni ‘90 funestati dalle infiltrazioni massoniche e dal consociativismo deteriore. Dunque il Pci-Ds-Pd è trasversalmente imprigionato in una colossale “questione morale” che da un trentennio rimane irrisolta e che la nascita del nuovo partito ha ulteriormente aggravato, favorendo l’unione di due apparati ben oliati in materia di gestione di potere. La frantumazione interna di correnti, confraternite, gruppi sponsorizzati ora da questo ora dall’altro politico ne è stata la immediata conseguenza. In mezzo a questa “selva oscura” il Commissario Verini poteva fare ben poco, ma il poco che ha fatto non è stato uno squarcio di luce nel buio: le sue mosse sono state dettate più da un istinto di sopravvivenza che dalla voglia di un reale cambiamento. A cominciare dal tentativo Fora, espressione dell’establishment, gradito al Centro e alla Chiesa, scelto a volo per tagliare i ponti alla galassia dei civici e ai montagnardi interni, nei cui gruppi si agitavano vecchi cacicchi sempre alla ricerca di nuove possidenze.A togliere le castagne dal fuoco a questo guazzabuglio della sinistra e a quello del M5S, anch’esso indeciso sul da farsi dopo l’esperienza devastante vissuta con la Lega, è intervenuto “il patto civico” scaturito dall’accordo Pd e M5S a livello nazionale, con il quale Di Maio ha chiesto la convergenza sul nome di un civico credibile e un passo indietro ai politici del Pd coinvolti nella vicenda della sanità. Un rospo duro da digerire per la “vecchia guardia”, che ha fatto di tutto per opporre resistenza. Tuttavia i recalcitranti Guasticchi, Casciari, Paparelli, Porzi e sodali si sono attestati nelle immediate retrovie, accontentandosi di fare i secondi nelle liste di appoggio al candidato presidente. Ma un rospo duro da digerire lo è stato anche per i pentastellati umbri, che si trovano a dover convivere con quel Pd di cui sono stati gli accusatori principali sulla vicenda sanità. E come dice Salvini, con uno slogan che avrà effetto, “denuncianti e denunciati insieme”.
In ogni caso si è salvata l’immagine di facciata: il candidato presidente è un civico, Vincenzo Bianconi, i “volti compromessi” sono stati ridimensionati, qualche faccia nuova (che sa di vecchio) si affaccia nelle liste di appoggio: per l’Altotevere è il vicesindaco Michele Bettarelli. Ma a complicare ulteriormente le cose è intervenuta la scissione di Renzi e del suo nuovo partito “Italia viva”, che ha prodotto un rimescolamento di passaggi dall’una all’altra sponda e permanenze transitorie in attesa degli sviluppi elettorali. Come quella della viceministra Anna Ascani, che ha vestito abiti dimessi, dichiarando sui social il suo perduto amore per il Pd, mentre i maligni sospettano che voglia solo proteggere la possibile elezione di delfini a lei fedeli. Dopo si vedrà. Nella stessa condizione di “attesa di giudizio” elettorale si trova anche Marco Vinicio Guasticchi, renziano della prima ora. Una mera questione di calcoli incrociati che portano solo acqua al Centro destra. Infine il patetico toto-nomi per un candidato presentabile purché non di partito, da Fora, al magistrato Fausto Cardella, all’imprenditore Cucinelli, a Stefania Proietti, sindaco di Assisi, alla Di Maolo e a Catia Bastioli imprenditrice. La situazione è tragica? Sì, ma il Centro destra non è che veleggi in acque tranquille, come si vuol far intendere. Innanzi tutto ci sono malpancisti anche al suo interno, soprattutto quegli esponenti del Centro destra di stampo liberale che non vedono di buon occhio il radicalismo salviniano. In secondo luogo nemmeno esso è immune da faide e lotte intestine. Singolare è quella che ha visto eclissarsi il nome di Andrea Lignani Marchesani, talmente convinto di essere lui il candidato predestinato, che aveva già fatto affiggere i manifesti con il suo volto e il suo slogan “dall’Umbria la riscossa dell’Italia”. Ma la riscossa si è trasformata in una Caporetto, perché ha dovuto cedere le armi ai due nuovi candidati Elda Rossi e Manuel Maraghelli, e togliere in gran fretta i manifesti affissi. La Destra dunque punta tutto sull’effetto trascinamento di Salvini, che, tuttavia, non gode più del palcoscenico mediatico. La situazione è dunque in bilico tra il papeete leghista e la concorsopoli piddina, un peccato di supponenza contro uno di tracotanza, che ricollocano entrambi allo stesso punto di partenza. Ma non si può nascondere che il Centro destraparta avvantaggiato per diversi motivi: Salvini nel ruolo dell’uno contro tutti che piace così tanto agli italiani; il Pd che versa nelle condizioni di animale ferito e stremato dal sistema di potere da esso stesso creato; una sinistra che ha smesso di fare politica, con circoli (ex sezioni) vuoti; una classe dirigente arroccata al potere e oltre la quale c’è il nulla. Molto dipenderà dallo svolgimento della campagna elettorale, dalla capacità dei candidati di saper raccontare la storia dei loro territori e delle loro appartenenze. Nel contesto politico nazionale, l’Umbria assume il valore di banco di prova della tenuta del Governo, e questo potrebbe far rientrare in gioco larga parte degli indecisi e di chi non vota più da tempo, se prevalesse l’intenzione di porre un argine all’ascesa di Salvini. È chiaro che un suo successo farebbe volgere il barometro della Lega al bel tempo e si abbatterebbe come una valanga su Calabria ed Emilia Romagna, prossime alle elezioni, mettendo a rischio la tenuta del governo, terreno fertile per un possibile rientro di Salvini a Palazzo Chigi dopo esserne uscito dalla finestra. Questo è l’unico deterrente su cui la sinistra può giocare le sue carte, perché la Lega salviniana vista all’opera nell’ultimo anno è quella che demonizza i nemici e i diversi, che snobba il Parlamento, che toglie valore ai contrappesi democratici, che emargina la stampa critica, che adula il popolo per fargli digerire le più atroci nefandezze.
Un processo che, a rigore, non si definisce fascista in senso stretto, ma che ha finito per coagulare gli spiriti, le parole e gli atteggiamenti che appartengono a quella famiglia di origine. Il quadro politico umbro, come quello nazionale, è in completo movimento e il messaggio che emerge è gualmente identico: la politica è ridotta a pura percezione, a propaganda, al carico delle promesse insostenibili in assenza di visioni e di orizzonti più ampi e a un’idea di società che si vorrebbe realizzare. Per capire se da tale scomposizione potrà nascere qualcosa di nuovo, bisognerà attendere l’alba del dopo elezioni.