L’attivismo bellico e terroristico dell’Arabia Saudita degli al Saud si manifesta attraverso tre direttrici: la diffusione dell’islamonazismo fondato sul wahhabismo salafita, l’aggressione militare (prima la Siria e poi lo Yemen), la formazione e il sostegno economico e militare a gruppi terroristici nei di- versi scenari di guerra e in Africa in particolare. A questo si aggiunga la pressione esercitate su Trump, sia dal Primo ministro israeliano Netanyahu che dal principe saudita Mohammad Bin Salman, per l’avvio da parte degli Stati Uniti di una campagna di bombardamenti preventivi contro l’Iran. Abbiamo parlato dei rischi derivanti dalla chiusura dello Stretto di Hormuz dove passa il petrolio che va in tutti i continenti. L’aumento del prezzo del petrolio e la crisi ener- getica conseguente determinerebbero ripercussioni pesanti anche per l’Italia e per l’Europa. Con tutti i rischi di escalation di un conflitto militare di carattere regionale e forse globale, considerato che Russia e Cina non potrebbero stare a guardare.
Israele e Arabia Saudita, oggi alleati strategici, sono stati coloro che hanno convinto gli Stati Uniti a dirottare l’aggressione militare contro l’Iraq e la Siria, nonostante fosse evidente che in Iraq non ci esistessero armi di distruzione di massa e che i due regimi, per quanto dittature inaccettabili, non erano coinvolti né nell’ attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre né nella diffusione del terrorismo internazionale. Se i rapporti tra le nazioni fosse governato dal principio di ragione, i Bush, i Netanyahu, i Bin Salman, i Blair e i tanti mentitori criminali che per interessi economici e geostrategici hanno scatenato guerre disastrose per il Medio Oriente e per il mondo, sarebbero processati dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità. 15 dei 19 attentatori dell’11 settembre erano sauditi. In Arabia Saudita si erano addestrati, in Arabia Saudita era il centro che li guidava, li sosteneva e li finanziava.
Ma oggi Israele, Arabia Saudita e Trump rinnovano la conflittualità contro l’Iran, nonostante che, come confermano tutte le indagini dei network e dei centri di ricerca, dal 2001 il 94% dei morti provocati dal terrorismo islamico siano stati provocati da al Qaeda e dall’Isis, che quasi tutti gli attentati, compresi quelli in Europa, hanno avuto una qualche connessione con l’Arabia Saudita e che nessuno di questi è col- legabile all’Iran. La vergognosa verità è che, nel silenzio complice dei governi occidentali, si sta dando legittimità e sostegno a un regime islamonazista come quello saudita che è il principale sostenitore, finanziatore e produttore di gruppi terroristici in tutte le aree geopolitiche del pianeta. Ma i conti del regime saudita non tornano; neppure Trump sembra più tanto convinto della opzione militare contro l’Iran così fortemente spinta da Bin Salman. Hanno voluto la guerra in Siria e l’hanno persa. Così come stanno perdendo quella contro lo Yemen.
Nonostante uno dei più poderosi apparati militari del mondo l’Arabia Saudita ha subito, solo nelle ultime settimane, due brucianti sconfitte: il bombardamento del principale impianto petrolifero del Paese e la resa di duemila soldati sauditi ai ribelli Houty. Come è possibile che un regime che governa la terza potenza mondiale, dopo Stati Uniti e Cina, per spese in armamenti (70 miliardi di dollari all’anno, l’8,8% del suo Pil) non è in grado di sconfiggere un gruppo etnico minore come gli Houthi, privi di armamento pesante, di carri armati, di aviazione e di difesa antiaerea? Non è in grado di sconfiggere dei “sansculottes” nonostante l’invasione militare, i carri armati, bombardamenti aerei a tappeto su città e ospedali, nonostante un massacro indiscriminato che ha fatto oltre 50.000 morti e che solo per gli effetti e le malattie correlate, malnutrizione e colera in particolare, determina la morte di 150 bambini al giorno. Perché? Perchè l’Arabia Saudita non è né un Paese, né una Nazione, né uno Stato. “È una pompa di benzina postmoderna”, come l’ha efficacemente definita Arlacchi, fondata su una feroce e impunita tirannia medioevale e sulla rendita finanziaria derivante dal petrolio. Un regime criminale amministrato da una corte di 30 padri, figli, fratelli, nipoti e zii (tutti maschi), appartenenti a una dinastia, quella degli al Saud, che le guerre le ha perse tutte e che è sopravvissuta in passato e sopravvive oggi solo come protettorato di qualcuno: ieri della Gran Bretagna e oggi degli Stati Uniti.
Nella sua volgare sincerità Trump l’ha am- messo pubblicamente, il 2 ottobre del 2018 in una manifestazione a Southaven, nel Mississippi, dichiarando testualmente: «Noi proteggiamo l’Arabia Saudita, ma a re Salman ho detto: «ti stiamo proteggendo, non dureresti due settimane senza di noi, devi pagare per il tuo esercito». E subito dopo è volato in Arabia Saudita con una delegazione di uomini d’affari americani della Lockeed, della Boeing e della General Electric e ha siglato un accordo di 110 miliardi di dollari in armi, cancellando con una firma tutte le accuse mosse contro il regime degli al Saud, dal sostegno al terrorismo internazionale all’abbattimento delle Torri Gemelle.
Trump sa bene che il regime saudita senza gli Stati Uniti non esisterebbe, come sa bene che l’Iran, al contrario dell’Arabia Saudita, è una Nazione e uno Stato vero, la potenza regionale più forte. L’idea coltivata dai sauditi di poter seriamente competere con l’Iran per la supremazia nel Golfo e in Medio Oriente è semplicemente una illusione. E Trump, dato che non è un Presidente ma uno spregiudicato uomo d’affari, dunque dotato di una certa concretezza, più che Bin Salman e Netanyahu, sembra in queste ore ascoltare Cia e Pentagono, contrari a un inter- vento contro l’Iran. Consapevole che le pressioni di Arabia Saudita e di Israele sono quelle di chi vorrebbe che altri facesse per procura quelle guerre che loro non vogliono dichiarare, perché non sono in grado di vincerle.
Questo non esclude ovviamente che l’escalation bellicista attivato da Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele contro l’Iran non sfoci in una aggressione o in un conflitto aperto. Non è detto che Trump, messo alle strette dall’impeachment, non ricorra alla guerra contro l’Iran come pericoloso diversivo ai suoi problemi interni, come spesso hanno fatto precedenti Presidenti degli Stati niti. Quello che è certo è che oggi il regno più oscurantista del mondo, il regime islamonazista wahhabita dell’Arabia Saudita, costituisce uno dei problemi principali per la pacificazione delle aree di conflitto del Medio Oriente e dell’Africa. E costituisce il generatore e il finanziatore principale della diffusione dei gruppi terroristici in tutto il mondo, dall’Asia all’Africa, dal Medio Oriente al Caucaso, dai Balcani alle metropoli europee.
In Africa in particolare gruppi associati ad al Qaeda e all’Isis stanno proliferando in forma esponenziale, persino in Paesi nei quali è storicamente irrilevante la presenza islamica, come il Burkina Faso, il Kenia e il Mozambico. Operazione per la quale l’Arabia Saudita sta investendo centinaia di miliardi di dollari. Tutto ciò è possibile solo grazie alla complicità e alla tolleranza delle grandi potenze, dagli Stati Uniti alla Russia, Europa compresa, i cui governi antepongono alla sicurezza e alla lotta al terrorismo gli affari e gli investimenti, specialmente in armi. Anche se quei dollari sono sporchi di sangue in- nocente. Di fronte all’inerzia, alla complicità vergognosa degli Stati e dei governi, è indispensabile che a scendere in piazza per difendere diritti e denunciare crimini contro l’umanità siano le società civili, l’associazionismo democratico ed i cittadini. Non c’è altra scelta, e va fatto adesso.