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Con gli occhi del bambino

Francesco Tonucci. Pedagogista, già ricercatore del Cnr

CON GLI OCCHI DEL BAMBINO

56 1L’intervento di Francesco Tonucci sul tema dell’educazione sottolinea un problema cruciale: è necessario passare da una scuola escludente a una scuola inclusiva. E ricorda due episodi significativi: il ragazzino tedesco considerato il più somaro della classe che aveva riparato l’auto dell’ispettore scolastico rimasto in panne e la bambina inglese considerata un disastro scolastico, che aveva imparato a ballare. Per sua tradizione la scuola è escludente e non risponde alle sue aspettative. Come diceva Mario Lodi in una sua lettera ai genitori: «La buona scuola è capace di promuovere tutti, specialmente gli ultimi, non perché sono bravi gli alunni, ma perché è brava la scuola».

Una scuola inclusiva
Alcuni dati ci dicono che il 90% delle persone che delinquono non ha terminato la scuola dell’obbligo e tutti gli alunni che la scuola perde sono regalati alla delinquenza organizzata.
Sono bambini, ragazzi, adolescenti sconfitti e vengono accolti dall’altra società come validi e apprezzati, magari dando loro un’arma in mano e dei soldi. Torna alla mente l’espressione di don Milani che paragona la scuola a un ospedale che cura i sani e rifiuta i malati. Pensare a un medico che dica a un genitore: «Non so che fare con suo figlio, è malato. Se fosse sano non sarebbe in ospedale». Purtroppo anche la scuola dice le stesse cose: «Non so come fare, non mi segue, non s’impegna, non ha le capacità». Nella scuola pubblica abbiamo bisogno di offrire la possibilità di crescere in umanità.
Tonucci parla di grandi maestri che ha avuto la fortuna di incontrare, da Milani a Lodi, a Loris Malaguzzi, di cui ricorda una poesia significativa: «Il bambino è fatto di cento. Il bambino ha cento lingue, cento mani, cento pensieri, cento modi di pensare, di giocare e di parlare, cento, sempre cento modi di ascoltare, di stupire, di amare, cento allegrie per cantare e capire, cento mondi da scoprire, cento mondi da inventare, cento mondi da sognare. Il bambino ha cento lingue (e poi cento cento cento), ma gliene rubano novantanove». Forse siamo proprio noi adulti a perpetrare questo furto: attraverso la televisione, la pubblicità, le tecnologie. Anche la la ha una certa responsabilità, perché propone poco. Le cose che interessano alla scuola sono due o tre: lingua, matematica, forse scienze. All’inizio della scuola materna il ventaglio dei linguaggi è più ampio, ci sono i linguaggi del corpo, i linguaggi espressivi, c’è più tolleranza; nel corso della carriera si assiste a un lento e progressivo abbandono dei linguaggi. È curioso che nei licei classici non ci sia alcuna disciplina che richieda l’uso delle mani.
Così la maggioranza dei bambini sente la scuola come non adatta per sé e si annoia. Un bambino di sei anni diceva alla mamma di voler andare a scuola una volta a settimana, perché poteva imparare tutto quello che gli insegnavano e gli altri giorni poteva giocare. Una diagnosi impietosa. Tutti coloro che si occupano delle capacità infantili sanno che attraverso il gioco i bambini sviluppano le capacità più importanti della loro vita. E nei primi mesi e primi anni della loro vita si costruiscono le fondamenta della loro esistenza. Ma hanno solo un difetto, che le fondamenta non si vedono e gli adulti raramente hanno la competenza per apprezzare queste grandi conquiste.

“Il bambino è fatto di cento. ll bambino ha cento lingue, cento mani, cento pensieri, cento modi di pensare, di giocare e di parlare, cento, sempre cento... cento mondi da inventare, cento mondi da sognare. Il bambino ha cento lingue, ma gliene rubano novantanove"

Il giocattolo preferito
Tonucci ricorda l’espressione fulminante di una bambina uruguaiana nei confronti della scuola. “Andarmene”. In fondo, annoiandosi così tanto cosa si può imparare?
È urgente pensare a un’alternativa. Come ha scritto un grande poeta: «Si nasce poeta, scrittore e musicista e quando un bambino arriva alla scuola primaria può essere disposto a qualcuna di queste attività, anche se non ne è consapevole ». Si tratta allora di scoprire per ogni bambino il giocattolo preferito e non escludente. Una scuola fatta apposta per i nostri figli e le nostre figlie, che ognuno riconosca come propria, adatta a sviluppare al meglio
le attitudini e l’intelligenza dei bambini. Questa è la vocazione della scuola. Allora la bambina inglese ha cominciato a ballare ed è diventata brava in tutte le materie e il bambino tedesco ha usato al meglio le sue mani d’oro.
Spesso manca alla scuola un atteggiamento positivo perché sottolinea quello che è carente e non le abilità. Come spiegava Oliver Sacks: «Un bambino sordo è esattamente uguale a tutti gli altri, ma solo non sente». Anche nell’esperienza educativa è mancato qualcosa. Per Tonucci l’incubo erano i binomi, per un altro l’incapacità fisica o il disegno, ma queste cose non possono diventare gli obiettivi educativi della vita. Di qui la sua proposta di abolire l’aula, un luogo innaturale dove i bambini stanno troppo tempo senza muoversi, senza realizzare esperienze di relazione e manualità.
Suona la campanella, i bambini chiudono un quaderno, ne aprono un altro e devono cambiare il modo di pensare e addirittura di parlare. È una operazione molto complessa che corrisponde a quella dei genitori, ma non agli stranieri, ai bambini con handicap, a chi viene da altre culture.

La scuola è innaturale
La soluzione per Tonucci sarebbe molto semplice: trasformare le aule di lingue, di matematica, di cucina in laboratori all’aperto dove si realizzano59 1 laboratori di scienze, di falegnameria, di bicicletta. Ogni spazio deve essere realizzato in maniera diversa in modo che i bambini possano compiere un autentico viaggio. Questo non significa che non ci siano regole, ma sempre nel rispetto dell’autonomia e della libertà dei bambini.
Un’altra proposta innovativa di Tonucci è quella di mescolare le età, creando gruppi eterogenei dove vi sono bambini di età di- verse, dove i più grandi aiutano i più piccoli. Nell’esperienza dei Paesi baschi, i bambini da due a dodici anni vivono insieme tutto il percorso scolastico, con il beneficio di tutti.
Come è possibile cambiare la scuola? Le leggi non sono capaci di cambiare la pratica, per questo Tonucci punta sulla preparazione dei maestri. Quelli che conosce sono tutti diversi e con personalità spiccate, amano la loro professione, non si ammalano mai, vivono un’esperienza felice.
È curioso che la professione del docente in Italia abbia una mortalità più alta rispetto ad altre attività rivolte all’infanzia. Ci vogliono educatori competenti, che escano dalla solita lezione frontale, che aiutino i ragazzi a recuperare la corporeità e la manualità, insieme alla testa. In una lettera di don Milani viene descritto il profilo del buon ma- estro: «Non preoccuparti di fare scuola, ma come essere nel fare scuola. Avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politi- ci. Non essere interclassisti, ma schierarsi, ardere dall’ansia di elevare il povero a un livello superiore, non dico pari, ma superiore, più umano, più spirituale, più cristiano».

L’importanza della parola
Lodoli insiste con gli insegnanti più giovani a riprendere la lettura del giornale, dai quotidiani al Corriere dello Sport, la lettura ad alta voce in classe, perché si accorge dell’impoverimento totale del linguaggio: i ragazzi non sanno più leggere. La scuola vive una superfetazione burocratica tra progetti, programmi, griglie e perde di vista i giovani, che attraversano un momento di crisi ma ricco anche di nuove possibilità e di sviluppi. Dobbiamo prenderci cura di questi ragazzi, c’è in loro un’energia da comunicare, una apertura verso la vita, il mondo, una curiosità e un dinamismo da coltivare.
Nella lunga esperienza di insegnante nelle borgate di Roma, di adolescenti Lodoli ne ha conosciuti tanti, ma quello che lo colpisce è la distanza che vede tutti i giorni in classe, tra l’evidenza delle cose e il respiro della realtà. È un carico di pena e di chiusura, ma anche di speranza e di apertura al futuro. Non risparmia critiche all’istituzione scolastica, che si preoccupa di cose incomprensibili, burocratiche, astratte, e manca di visione del problema. Lo fa con garbo e senza aggressività, ma sottolinea che i ragazzi stanno perdendo le capacità logiche, come se tutto si sbriciolasse, dalla sintassi all’articolazione dei pensieri. È urgente recuperare la centralità della lingua, che assume un carattere divino come proclamano tutte le tradizioni religiose. «Il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio», è la quintessenza della realtà e ci mette in contatto con la nostra intimità.

Ci si perde in un bicchier d’acqua, mentre il mondo vibra, suona, rotola, avanza e se non invertiamo

la rotta faremo la fine degli Ittiti e degli Etruschi

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