Giovedì, 28 Marzo 2024

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Pio Baldelli: un educatore irregolare

Nel bel mezzo di una calda crisi di governo, tutta agostana, piena di colpi di sole, càpita che i giornali provino a sventolare un po’ di frescura dalle pagine culturali. Ci prova “Il Fatto quotidiano” del 24 agosto 2019, con lo scrittore e giornalista Nanni Delbecchi, che racconta un “esame di gruppo” sostenuto negli anni ’70 alla Facoltà di Magistero di Firenze con il “leggendario” professor Pio Baldelli. Grande esperto di cinema, direttore del quotidiano “Lotta continua”, autore del libro Informazione e controinformazione (Mazzotta ed. 1972), Baldelli entra nel discorso politico ragionando di cinema, di televisione, di massificazione della scuola, di mercato dell’istruzione, delle esperienze alternative di don Milani e Bruno Borghi, delle anomalie del sistema, di Pinelli e Valpreda, della pista nera e la strategia della tensione.

Pio Baldelli non si allinea al conformismo ideologico della casta dei professori, e Delbecchi ricorda  la sua esperienza con il gruppo di ragazzi e ragazze che affrontano la cinematografia di Pasolini con tesine riciclate e film non visti, e “trenta” che piovevano dal cielo. Tutto il racconto finisce per non rendere giustizia del grande lavoro di svecchiamento accademico che Baldelli ha saputo far respirare a tanti suoi studenti.

Dalle pagine del “Corriere della Sera” del 30 agosto, un commento di Ernesto Galli Della Loggia, che non cita mai Baldelli, ma lo chiama con una X, sul «quarto d’ora di colloqui e la promozione era assicurata” (il virgolettato è di Delbecchi) risintetizza la storia “dell’esame di gruppo”, definendola una “lezione perfetta di ipocrisia e conformismo. E naturalmente di asineria: come si spiegherebbero altrimenti i concorsi per diventare avvocati, magistrati, professori, dove componimenti di un gran numero di candidati fanno registrare da anni svarioni memorabili e castronerie madornali?».

Magari tutto questo disastro che descrive Galli Della Loggia dipendesse da quegli esami di gruppo al Magistero di Firenze e da quel bontempone che era Pio Baldelli, quando faceva lezione! Anche Galli Della Loggia, infatti, non perde l’occasione di trovare un colpevole dei fallimenti dell’istruzione in Italia tra quegli esponenti democratici che hanno (invano) tentato di innovarla, di aprirla alle istanze sociali e culturali, di arricchirla di nuovi contenuti, di sperimentare nuove metodologie e nuove forme di relazione: non dimentichiamo le accuse a personaggi come don Milani, Tullio De Mauro, e così via. E anche Galli Della Loggia sorvolasul fatto che quei tentativi sono rimasti marginalinella politica scolastica italiana, che invece è
rimasta tutta nelle mani dei conservatori che hanno messo la scuola e l’istruzione nel dimenticatoio, salvo ricordarsene quando bisognava far cassa con vistosi tagli alla scuola pubblica e all’università.Galli Della Loggia sembra ignorare che il disastro dell’istruzione porta le firme di ministri come Moratti, Gelmini e compagnia.

Né manca, nelle parole di Galli Della Loggia, l’allusione sessista, quando racconta di come i ragazzi pensarono bene di aggiungere “al gruppetto altre tre ragazze loro colleghe al cui fascino non sono insensibili”. E via ammiccando.
Ma la figura di Baldelli va ben al di là delle note corrosive di Galli Della Loggia. Anzi, le opere di Baldelli, tradotte in molte lingue, “costringono” Delbecchi a rispondere a Galli Della Loggia ancora dalle pagine del “Fatto quotidiano” del 31 agosto: “A Firenze, alla fine degli anni ’70, eccellente piazza di formazione, c’erano molti galli nel pollaio, né mancavano le galline, coesistevano menti situazioniste come Pio Baldelli, e onnipotenti cattedratici, maestri di conformismo, per i quali era importante la preparazione, ma più ancora la conformità di quella preparazione alle loro idee”.

Nella risposta a Galli Della Loggia, fuori dal taglio divertito e ironico, Delbecchi evita equivoci: «Baldelli capì al volo il nostro pensarci scaltri essendo ingenui, la convinzione di affrontare un
esame ‘politico’ senza troppa fatica, di mietere una facile promozione e di far colpo sulle ragazze. In tre mosse, ci dimostrò che non era così, ci mise di fronte alla possibilità di fallire e perdere la faccia… ci fece vergognare di noi, ma non volle infierire, e questo rese più forte la vergogna… L’ha fatto con il sorriso, non con la matita rossa».

Questa polemica giornalistica è stata per noi l’occasione per ricordare Pio Baldelli come nostro professore dell’Istituto “Assunta Pieralli” di Perugia. Ci siamo ritrovati in un ricordo di gruppo. Molte delle cose che da lui abbiamo imparato non hanno conosciuto la matita rossa e blu, ma la semplice capacità di non prenderci per forza sempre terribilmente sul serio.

Giorgio Filippi, Bruno Palazzetti, Giuseppe Pazzi,
Walter Pilini, Renzo Zuccherini

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Pio Baldelli (Perugia, 23 gennaio 1923 – Firenze, 20 giugno 2005), allievo di Aldo Capitini, nei primi anni settanta occupa la cattedra di Storia del Cinema all’Università degli Studi di Firenze. Lega il proprio nome a innumerevoli volumi di critica del “Cinema “Cinema”e argomenti sociali e culturali. Diviene Direttore responsabile del periodico “Lotta Continua” (alla cui organizzazione non sarà mai affiliato). Su tale giornale scrive articoli in difesa dell’anarchico Giuseppe Pinelli, per i quali viene denunciato nel 1970 dal commissario Luigi Calabresi, e processato. Nel 1976 venne condannato a 1 anno e 3 mesi per diffamazione. Tra il 1980 e il 1983 è stato deputato alla Camera, eletto nelle file del Partito Radicale.

 

Un insegnante denuncia l’atteggiamento di alcuni genitori

Non siamo baby-sitter dei vostri figli!

Alcuni genitori (che si ritengono “utenti” della “scuola-azienda”) forse scambiano noi docenti per baby-sitter assunti al loro servizio e alle loro dipendenze, ma non è così. I doveri di vigilanza dei minori non sono tali da giustificare le lunghe attese all’uscita della scuola per accontentare i genitori ritardatari, che se la prendono più comodamente. Vorrei ricordare ad alcuni che “educare” non significa viziare, bensì l’esatto contrario: vuol dire fare in modo che i figli diventino degli individui autonomi e responsabili, e non dei tiranni capricciosi ed infantili. Mi domando se siano genitori capaci e maturi coloro che si limitano ad assecondare i propri figli e si ergono sul piedistallo nel ruolo, errato e improprio, di “sindacalisti a oltranza” delle loro creature, anche quando hanno torto marcio. E sono pronti e disponibili a esaudire qualsiasi loro richiesta, anzi pretesa, senza esigere nulla in cambio. Concedono tutto e subito, in una maniera incondizionata, ma non sono capaci di renderli autonomi, maturi e responsabili, in condizione di far fronte alle avversità della vita. Genitori solo in quanto li hanno generati, ma non li sanno educare, nella misura in cui non riescono a opporgli neppure il rifiuto più blando. Ancor meno sanno infliggere ai propri figli la benché minima punizione per fini educativi, non repressivi, né coercitivi. Non a caso, la stessa cognizione di “educare” discende dall’etimo latino “e-ducere”, che significa letteralmente estrarre fuori, emancipare, non castrare, inibire e opprimere. Vorrei ricordare che l’amore per i propri figli non significa proteggerli a oltranza e in ogni caso, persino quando sbagliano in modo eclatante, ma comporta la capacità e la volontà di punirli contro il nostro stesso desiderio istintivo di cura e di protezione. Tale è l’amore intelligente, poiché giova al bene e alla crescita psico-emotiva e socio-affettiva dei nostri figli: serve fargli comprendere che, allorché commettono un errore, devono sapersene assumere la paternità e la responsabilità personale e pagarne ogni conseguenza. Altrimenti non diventeranno mai adulti consapevoli e responsabili. Lo sforzo educativo più serio ed efficace equivale a tirar fuori, o fuoriuscire (“e-ducere”), la personalità di un adulto, che “cova” nel bambino. Serve educare, non viziare oltremisura i figli.

Lucio Garofalo

Abbiamo dedicato al tema dell’educazione un convegno nazionale proprio a settembre. Da cui è emerso che ormai sia la scuola sia gli adulti disattendono in modo eclatante il problema educativo dei ragazzi. La scuola lo vive in senso funzionale e performante; ai genitori interessa solo la riuscita scolastica; la crescita armonica della personalità umana è sottaciuta; il mercato fa il resto. Il tema da lei sollevato (giusto) fa parte di problema molto più profondo. (A.G.)


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