Don Achille Rossi
Un nuovo massacro si è verificato nei confronti degli indigeni nella zona di confine tra Venezuela e Brasile, sotto lo sguardo indifferente dei militari che avrebbero dovuto controllare il territorio. È la terza strage nell’arco di un anno in una riserva assegnata ai nativi, che praticano una estrazione artigianale di oro e metalli di cui è ricco il terreno. La maledizione degli indigeni è di appartenere a quella periferia del mondo di cui nessuno parla e su cui si esercitano gli appetiti dei grandi paesi. La conquista di cinque secoli fa è avvenuta a spese dello sfruttamento e della morte dei popoli nativi e continua ancora con mezzi più sofisticati e distruttivi, sotto gli occhi di un mondo preoccupato solo di finanza e di profitto.
Eppure i popoli indigeni mantengono la propria identità e la fedeltà alle proprie tradizioni, in una resistenza silenziosa che stupisce tutti gli osservatori. A loro modo mantengono uno spazio interiore prezioso che permetta alle comunità di far fiorire la vita. Gli indigeni sono consapevoli della ricchezza culturale e religiosa che esprimono e possono arricchire il resto dell’umanità. La natura è la loro casa da custodire e rispettare, senza invidia e senza proprietà eterna, anche perché la natura ha i suoi segreti.
Oggi la crisi climatica ci spinge a cambiare le relazioni con la terra, con le persone, con gli altri esseri viventi, altrimenti l’umanità sprofonda. Invece di chiedersi come potremmo aiutare i nativi a uscire dall’isolamento in cui li abbiamo confinati, sarebbe meglio combattere al loro fianco nella battaglia per la vita. La saggezza di questi popoli si esprime non tanto con lo scritto, ma con la sapienza, che coincide con quella del Vangelo.