Mercoledì, 04 Dicembre 2024

libreria acquista online

Come si avvelena un territorio

Ambiente. Colloquio con Massimo Mariangeli e Giorgio Paolucci membri del Comitato Salute Ambiente Calzolaro Trestina Altotevere sud

È LA SOMMA CHE FA IL TOTALE

img162 1Per capire come si avvelena un territorio bisogna venire qui, a Trestina, la frazione più popolosa del Comune. Ciò che è avvenuto in questo lembo di terra altotiberina è la fotoco- pia, in piccolo, della “terra dei Fuochi”, dell’Ilva di Taranto, del ponte Morandi, dei viadotti che crollano, di Venezia che affoga e del dissesto territoriale. Una serie mastodontica di sottovalutazioni, compiacenze, ignoranza dei problemi, eccesso di burocrazia, interessi elettorali e altro, una lunga catena di passaggi che riconducono a precise responsabilità istituzionali e politiche. E non è che sia avvenuto tutto e all’improvviso, ma, come sempre accade, “i disastri” sono il risultato di una serie di tessere messe una dopo l’altra nel corso del tempo e alla fine fanno cortocircuito, come ci spiega Massimo Mariangeli, uno dei membri del Comitato Salute Ambiente Calzolaro Trestina, sorto in difesa del diritto alla salute dei cittadini: «Il discorso è molto semplice: a un chilometro di distanza in linea d’aria da Trestina c’è la discarica di Belladanza, abbiamo un impianto di biomasse a Bonsciano, a Calzolaro si trova la ditta Splendorini Ecopartner che tratta rifiuti di scarto, al centro del paese è stata collocata la Color Glass che produce biossido di titanio, da 50 anni siamo circondati dal tabacco trattato con dosi massicce di fitofarmaci».

“È la somma che fa il totale” avrebbe detto Totò, un cocktail di veleni che, mescolati insieme, fa crescere in modo esponenziale la loro nocività. Ad accorgersene, come sempre accade, sono i cittadini che ne subiscono le conseguenze: «quando il camino della Color Glass vomita enormi nubi di fumo, la gola comincia a pizzicare e la respirazione diventa difficile». Ed è inevitabile, perché la prima abitazione civile si trova a soli 30 metri dal camino dell’azienda, e asilo e scuole a 190 metri.

 

1a TESSERA: CRESCITA URBANA DISORDI- NATA
Arrivando a Trestina, la commistione tra un conglomerato di abitazioni civili e Zona artigianale salta subito agli occhi. In spazi molto ristretti, case e industrie si tengono insieme in un abbraccio inestricabile. Come è stato possibile concepire uno sviluppo urbano così asfittico? Industrie ed edifici civili si tengono per mano e una realtà si rispecchia nell’altra. Recentemente un supermercato ha aperto la propria attività in un capannone, già sede di una industria tessile dismessa, posta al centro del paese, assieme ad altre realtà all’epoca simili. Già allora si sentì parlare di acque inquinate e di pozzi avvelenati. L’uso di prodotti chimici per la pulitura dei tessuti finì per inquinare le falde sotterranee, costringendo la popolazione più vicina ad astenersi dall’attingimento. Ma quella vicenda, ormai lontana nel tempo, non insegnò nulla e poco si fece per la prevenzione. Intanto la frazione è cresciuta insieme alle attività e ai laboratori, in alcuni casi diventati industrie. Assenza di prevenzione, permessi concessi con superficialità, pianificazione urbana generosa verso proprietari terrieri più o meno potenti hanno combinato insieme il diavolo e l’acqua santa, disegnando uno sviluppo che solo una fantasiosa mente può definire razionale.

2a TESSERA. LA VICENDA SPLENDORINI ECOPARTNER
L’atteggiamento della popolazione ha cominciato a cambiare tre anni fa, quando nella vicina frazione di Calzolaro, del Comune di Umbertide, è esplosa la vicenda della ditta Splendorini Ecopartner S.r.l. Alcuni cittadini della frazione capirono che gli inquinanti si disinteressano dei confini amministrativi e non img167aspettano che gli amministratori si parlino dalle finestre dei loro cortili. Così si unirono in Comitato con i cittadini di Trestina (Città di Castello). «La ditta, che fino a quel momento trattava scarti agro alimentari trasformandoli in mangimi per animali, spiega Giorgio Paolucci, anch’egli membro del Comitato, a seguito di una direttiva europea emanata nel 2014 decise di dedicarsi al “Recupero e preparazione per il riciclaggio dei rifiuti solidi urbani, industriali e biomasse”, perché tale attività consentiva margini di guadagno più consistenti». Fu a quel punto che gli odori, fino  allora sopportati ancorché  fastidiosi, si fecero intollerabili. «L’inquina- mento odorigeno era  così  inten- so da impedire addirittura di aprire le finestre di casa, tanto l’aria era irrespirabile». Ovviamente la prima fase dell’attività del  Comitato  fu  fortemente contrastata da parte di politici, funzionari e dagli stessi imprenditori parti in causa. Si cercò di delegittimare la sua azione stigmatizzandola come opposizione politica alle istituzioni. E per ricordare a tutti che i manovratori non devono essere disturbati, cominciarono le piccole o grandi ritorsioni, denunce, intimidazioni di ogni tipo nei confronti degli esponenti più in vista del Comitato. Intanto la marea di rifiuti cresceva e con essa la puzza. La ditta richiese in un primo momento l’autorizzazione al tratta- mento di circa 7mila tonnellate annue, per salire ben presto a 20mila e, infine, a 50mila, che la Regione autorizzò. Tale implementazione si trasformò nell’aumento consistente del traffico di autoarticolati proveniente da diverse parti del Paese con il loro carico di rifiuti, sommando inquinamento a inquinamento, e alimentan- do il fondato sospetto che i carichi trasportati arrivassero anche dalla “terra dei fuochi”. Le autorità preposte autorizzarono, garantirono regolarità delle procedure e rispetto delle soglie di tolleranza, quelle a cui ci si aggrappa per capire il lecito e l’illecito. Nella siccitosa estate del 2018, ricordata per la calura insopportabile e la prolungata mancanza di pioggia, il culmine fu toccato quando in previsione di un annunciato acquazzone qualcuno pensò di sversare nel vicino torrente Seano una dose massiccia di liquami non meglio identificati, ma di presumibile provenienza. L’acquazzone atteso si fermò a Sansecondo e l’ondata, che avrebbe dovuto ripulire le tracce del misfatto, non ci fu, cosicché il torrente rimase in secca. I miasmi furono terribili. Le autorità intervennero, i tecnici dell’Arpa fecero i loro prelievi, ma anche i volontari del Comitato fecero i loro, sottoponendoli ad analisi di tecnici indipendenti. La vicenda non ebbe conseguenze se non quella di segnare la definitiva perdita di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini.

3a TESSERA. LA COLOR GLASS
img182 2La stessa cosa è avvenuta per la Color Glass S.p.a., a Trestina, dal cui camino continua a uscire fumo potenzialmente velenoso, cosa di cui, ora, sono tutti convinti, o quasi. Ma per arrivare a questa determinazione, il Comitato ha dovuto superare molteplici diffidenze. In primo luogo quella del Comune, più volte chiamato a prendere posizione sulla vicenda, a sospendere l’attività dell’impianto, a inasprire i controlli, a non rinnovare autorizzazioni, a delocalizzare l’azienda. Poi quella dei funzionari che avevanorinnovato le autorizzazioni senza aver provve- duto al V.I.A. (Valutazione di impatto ambientale); dell’Arpa, l’organo di controllo sanitario della Regione; della Usl, di politici e di amministratori, di conferenze dei servizi protratte all’infinito per non arrivare a nessuna determinazione. «La prima volta che amministratori e tecnici entrarono nell’azienda non sapevano nemmeno quale attività vi si svolgesse. E quando fu loro spiegato che si produceva biossido di titanio, rimasero a bocca aperta perché non conoscevano cosa fosse». Eppure non era im- possibile comportarsi in modo adeguato, perché la Color Glass rientra nella categoria delle aziende classificate “Insalubri di prima classe” dall’Istituto superiore di Sanità, e per legge devono essere collocate in zone lontane dai centri abitati. Ma il Prg comunale ha previsto tali zone? E perché la procedura autorizzativa non ha tenuto conto di tali previsioni normative?

4a TESSERA. IL BIOSSIDO DI TITANIO
Il prodotto lavorato alla Color Glass proviene da Ferrara, circa 250 km. di distanza, mentre la sede legale si trova a Trento. Si tratta di fanghi di scarto derivati da “catalizzatori per la sintesi”, materia prima seconda quindi trasformata a Trestina in biossido di titanio, in un capannone di 3000 mq, posto al centro del paese, di pro- prietà della Ediltrestina S.r.l., completamente coperto di eternit. La domanda è d’obbligo.
 «Perché un’azienda con sede legale a Trento smaltisce rifiuti fangosi provenienti dall’Emilia Romagna, nel bel mezzo di Trestina, con dei costi di trasporto che incidono maggiormente rispetto alla loro lavorazione in luoghi più vicini a quelli di produzione della materia prima?». Chi ha avuto interesse a far svolgere questa attività in quei capannoni? Non c’era una struttura simile a Ferrara o dintorni? Oppure l’E- milia Romagna non vuol ospitare lavorazioni come quella del biossido di titanio classificato dall’Ispra “sospetto cancerogeno” (dichiarato cancerogeno dalla Francia e, ultimamente, la stessa Ue lo ha dichiarato cancerogeno di classe “B”)? La lavorazione avviene facendo essiccare i fanghi in una altoforno rotatorio portato a una temperatura di oltre 850 gradi. I fumi che escono dal camino, di giorno e di notte, sono responsabili dell’allarme diffuso tra la popolazione. Cosa contengono tali emissioni? Sono pericolose? È vero che disperdono piccole particelle e residui tossici, addirittura diossina? Cosa contengano quei fumi lo hanno spiegato sia i tecnici dell’Arpa sia i biologi dell’Università di Perugia a cui la stessa azienda ha commissionato uno studio. Gli esiti di quelle indagini nel 2018 portarono a una momentanea sospensione della produzione, per il supermento dei limiti di emissione di monossido di carbonio.
Dopo due mesi ha ripreso a funzionare come prima. I tecnici consultati dal Comitato hanno messo in evidenza una serie di possibili rischi da far tremare i polsi.

5a TESSERA. IL TABACCO: SIAMO TUTTI COL- TIVATORI
Sul tabacco abbiamo accumulato una letteratura immensa circa la pericolosità per l’ambiente e la salute. Ci limitiamo a segnalare alcune osservazioni emerse nello studio antropologico del professor Lorenzo Alunni che qui riportiamo a scopo esemplificativo: «In Umbria, nel 2011 erano 53 i milioni di euro di produzione del tabacco. L’85% delle zone umbre di produzione si trovano in Alta e Media Valle del Tevere… e il territorio di Città di Castello è quello che ha detenuto il primato in termini di numero di aziende operanti in quel campo e di persone impiegate…». «La coltura del tabacco richiede grandi quantità di acqua per l’irrigazione… e un’elevata quantità di concimi e anticrittogamici chimici». Nel 2016 l’ISPRA nel suo Rapporto nazionale pesticidi nelle acque osserva: «Nel biennio 2013-2014… Nelle acque superficiali sono stati trovati pesticidi nel 63,9% dei 1.284 punti di monitoraggio controllati… Nelle acque sotterranee sono risultati contaminati il 31,7% dei 2.463 punti…». In questa situazione all’Alta Valle del Tevere «spetta il primato negativo per tutto il territorio nazionale». Inoltre, in relazione al nesso tra coltivazione del tabacco e salute «ci  sono molti studi  sull’esposizione al tumore per i lavoratori della coltura del tabacco, e si tratta di studi  pertinenti e compatibili con il caso dell’Alta Valle del Tevere, per una ragione di carattere spaziale». Tali studi sono stati condotti su aree geografiche molto vaste (nord e sudamerica) in cui i complessi abitativi si trovano a grandi distanze dai campi di tabacco. Considerando invece  la conformazione geografica e geologica della nostra vallata ne al nesso tra coltivazione del tabacco e salute «ci  sono molti studi  sull’esposizione al tumore per i lavoratori della coltura del tabacco, e si tratta di studi  pertinenti e compatibili con il caso dell’Alta Valle del Tevere, per una ragione di carattere spaziale». Tali studi sono stati condotti su aree geografiche molto vaste (nord e sudamerica) in cui i complessi abitativi si trovano a grandi distanze dai campi di tabacco. Considerando invece  la conformazione geografica e geologica della nostra vallata con le distanze ristrette e la disposizione dei rilievi, si può affermare che: «In Alta Valle del Tevere c’è una prossimità territoriale che, per così dire, rende tutti i cittadini coltivatori di tabacco, in termini di esposizione al rischio…». Ma tale circostanza non ha indotto politici e imprenditori a prendere «… in seria considerazione né un principio di precauzione né una revisione critica dei parametri di salute pubblica e di sicurezza». Tanto è vero che nel 2015, nel corso di un convegno organizzato dalla Philip Morris a Bastia Umbra, l’allora presidente della Regione affermava: «Sosteniamo il settore del tabacco e guardiamo al futuro con ottimismo». Le faceva eco l’assessore all’agricoltura Fernanda Cecchini dicendosi «soddisfatta di aver visto approvato il proprio piano di sviluppo rurale, un piano che valorizza ancora una volta la centralità del comparto del tabacco».

6a TESSERA. IL MALE OSCURO
Cosa rivela tutto ciò? Un dato uniforme ovunque: in tutte le zone in cui si verificano forti incrementi di inquinamento chimico ambientale, le patologie tumorali improvvisamente aumentano. Così a Taranto, così nella  terra dei fuochi, così a Solvay e in tante altre realtà. Nessuno è riuscito a stabilire una nesso di causalità diretta tra inquinamento ambientale e insorgenza tumorale, ma è altrettanto inoppugnabile che statisticamente la concentrazione di materie inquinanti in spazi ristretti è accompagnata dall’aumento concomitante di patologie oncologiche. E così è accaduto a Trestina, dove ci si ammala di più di tumore che in qualsiasi altra parte del comprensorio  e della Regione. E poiché una recente statisti- ca indica l’Alta Valle del Tevere tra le zone a più alta insorgenza tumorale d’Italia, se non la più alta, significa che questa area territoriale detiene un palmares non invidiabile. Più della Terra dei Fuochi; più di Terni con le sue acciaierie e inceneritori. I dati che abbiamo estratto in una campione di poco inferiore a 2000 abitanti residenti nella zona inclusa tra Promano, Trestina, Calzolaro, Sansecondo da fonti certe, confermano questa evoluzione con 259 casi nell’arco di 15 anni.

CONCLUSIONI: TUTTA LA VALLE DEL TEVE- RE È A RISCHIO
La vicenda della Valle del Tevere Sud è paradigmatica di tutto il territorio, perché dinamiche e condizioni in esso presenti sono identiche: stessi fattori di inquinamento; uso dei pesticidi e concimi chimici legati alla monocoltura del tabacco; inquinanti derivanti dalle varie lavorazioni di materie prime o seconde pericolose; natura geografica del territorio circoscritto da rilievi che impediscono una regolare aereazione del territorio, costringendo, di fatto, tutta la popolazione a una permenente inalazione di principi inquinanti; inquinamento delle acque profonde e superficiali; sottovalutazione del problema da parte dei politici e degli imprendi tori indissolubilmente legati elettoralmente alle varie filiere produttive. Le stesse associazioni e sindacati hanno mostrato una totale sudditanza ai partiti e alla lobbi del tabacco in particolare, mostrandosi incapaci di assumere una posizione di difesa dei lavoratori, dei cittadini e del territorio. Fino a che il vapore andava a gonfie vele, tutti hanno taciuto; ora che l’eccesso dei veleni brucia sulla pelle e i guadagni non sono così generosi come quelli di una volta, ci si volge di malavoglia ad ascoltare le proteste di qualche voce nel deserto, nella speranza che prima o poi passi la nuttata e che le cose tornino a funzionare come prima più di prima. Ma come spiegano alcuni medici dell’Isde, che recentemente hanno scritto una lettera aperta agli oncologi italiani col significativo titolo “Il cancro non è una sfortuna”, ma il risultato di una serie di cause genetiche e ambientali, così concludono: «... La letteratura oncologica è ricca di lavori e report che associano l’insorgenza di tumori a cause inquinanti: digitando oggi   in PubMed “Pollution and Cancer”  si  trovano 8.835 voci, e con “Pesticides and Cancer ” 8.557. Sono presenti ricerche  epidemiologiche e metanalisi con dati impressionanti, che do- vrebbero far riflettere sull’urgenza di un drastico e radicale cambio di rotta e un cambiamento di mentalità e di programmazione della futura politica in termini di salute.
A parte la battaglia contro il fumo, per la quale tutti concordiamo, riteniamo indispensabile rivolgere pari attenzione alle emissioni inquinanti, ai pesticidi in agricoltura, alle sostanze chimiche presenti anche in prodotti di uso quotidiano (spesso interferenti endocrini) e anche all’inquinamento crescente da onde elettromagnetiche».
Chi sarà in grado di raccogliere questo allarme? Si può ancora continuare a sottovalutare o nascondere la sabbia sotto il tappeto? I politici possono rimanere insensibili alle voci provenienti dal mondo scientifico e smettere di ascoltare le sirene dei propri clientes? Fino a ieri si negava il cambaimento climatico; oggi sono rimasti in pochi a sostenerlo. La stessa consapevolezza stenta a guadagnar terreno sul versante del rapporto tra inquinamenti ambientali e danni alla salute umana: inparfticolare in relazione all’insorgenza tumorale. È questo il muro da abbattere.

 

Ambiente. L’inquinamento ambientale è sempre il risultato di una una serie di errori accumulati nel corso del tempo


Editoriale l'altrapagina Soc. Coop.
Sede Legale: Via della Costituzione 2
06012 Città di Castello (PG)
Responsabile: Antonio Guerrini
Info Privacy & Cookie Law (GDPR)

Seguici anche su:

Dati legali

P.IVA 01418010540
Numero REA: pg 138533
E-mail: segreteria@altrapagina.it
Pec: altrapagine@pec.it
ISSN 2784-9678

Redazione l'altrapagina

Telefono: +39 075 855.81.15
dal Lunedì al Venerdì dalle 09.00 alle 12.00