L'imperialismo è ritornato impero

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Politica internazionale. Cancellazione del diritto internazionale guerre convenzionali, guerra nucleare, catastrofe ambientale

statua della liberta1Gli Stati Uniti non sono una democrazia, non lo sono mai stati né mai hanno voluto esserlo, almeno non nel senso in cui questo insieme di valori e di regole si è storicamente affer­mato in Europa. Sia sul piano formale che sostanziale gli Stati Uniti si sono costituiti in repub­blica, non in democrazia, termi­ne che non compare né nella Di­chiarazione di Indipendenza del 1776, né nella Costituzione del 1789, né nei successivi emen­damenti. Sono nati e si sono costituiti come impero, fondato sulla conquista “messianica e le­gittima”, su una mission porta­ta avanti da una “razza eletta”, animata dai principi dell’Antico Testamento e dal ceppo fondati­vo anglosassone protestante che avviò le prime colonizzazioni dei Pilgrim Fathers.Principi che ancora vivono nel mito “dell’ec­cezionalismo” americano. Valori religiosi e materialissima pratica dell’obbiettivo che hanno trovato patologica, blasfema e ossimòri­ca traduzione nella frase stampa­ta sui dollari americani: “in God we trust” (noi crediamo in Dio). Un impero che si espande pri­ma a livello interno attraverso il genocidio dei nativi che vengo­no deportati o sterminati, poi a livello internazionale, passando dalla fase coloniale dei pionieri alla fase imperialista extraconti­nentale, che è andata avanti fino agli anni ’90, cioè fino al crollo dell’Unione Sovietica e alla fine del confronto/conflitto bipolare.

Le cancellerie e le opinioni pub­bliche del mondo avevano fatto coincidere la caduta del muro di Berlino con l’inizio di una nuova era, caratterizzata da un multi­polarismo solidale in un mondo più unito e più giusto. Sappiamo che non è andata così. Una strut­tura imperialista per sua natura deve avere un nemico, se non lo ha perde di senso, viene messa in discussione anche la sua esi­stenza. Perché spendere soldi per la difesa se non c’è un ne­mico che ti attacca? È il nemico che legittima le iniziative più di­scutibili e criminali, le alleanze con dittatori e regimi canaglia, l’occupazione di altri Paesi, lo scatenarsi delle guerre, l’alimen­tazione dei conflitti, la voragine delle spese militari, la cancel­lazione della verità e l’indebo­limento delle democrazie. E gli Stati Uniti (gli Stati Uniti, non il solo Trump) da quel momento, cioè dal momento della scom­parsa del nemico che giustifi cava tutto questo, sono entrati in un corto circuito, hanno rad­doppiato gli sforzi (e le guerre) dopo aver perso di vista l’obbiet­tivo.

Diversi analisti “occidenta­li e tradizionalisti” continuano a ripetere dal 1990 che il siste­ma neoliberale supererà questa prova, che torneremo all’ordine politico ed economico garantito negli ultimi decenni dagli Sta­ti Uniti e che Trump si rivelerà solo una contingente anomalia negativa. È una visione parziale e sbagliata, che non considera la storia, le dinamiche, le scelte e le responsabilità di questi ulti­mi 30 anni. Come un moderno uroboro dedito all’autocanniba­lismo, in questi ultimi 30 anni gli Stati Uniti si sono dedicati a divorare, delegittimare e distrug­gere l’impianto, gli organismi e i principi del sistema liberaldemo­cratico internazionale, che loro stessi avevano inventato, difeso e diffuso dal periodo post bellico a oggi. Trump è solo il più bru­tale, volgare e psicopatologico presidente americano che si è de­dicato a questa missione, il cul­mine di un processo già avviato da anni e che aveva contrasse­gnato la politica estera degli Stati Uniti dalla fine del bipolarismo Usa-Urss all’universo multipola­re degli anni novanta. È più faci­le attaccare Trump che capire la sua strategia con serietà e rigore intellettuale. E allora vedremmo che la scelta di agire in solitudine a partire dalla priorità degli in­teressi economici e commerciali americani, con una logica unipo­lare in un mondo nel frattempo diventato multipolare, è una scel­ta fatta non solo da Trump, ma anche dai precedenti presidenti, Democratici e Repubblicani, da Bush come da Clinton.

L’Onu e il Wto non sono più per gli Sta­ti Uniti organismi di riferimento per la regolamentazione dei rap­porti e il contenimento dei con­flitti, militari o commerciali, ma trascurabili e vecchi ingombri che non vengono più né sostenuti né rispettati. Sbaglia a mio avviso chi pensa che questo sia un mo­mento di crisi contingente, che ­sarà presto superata riprenden­do a vivere e crescere as usual. La crisi di oggi non è una crisi “nella” democrazia, che riguarda solo alcuni aspetti del funziona­mento delle nostre società, è una crisi “della” democrazia, così prolungata e profonda da mette­re in discussione le fondamenta stesse del sistema democratico in quanto tale. Gli Stati Uniti sono passati dalla fase di imperialismo extracontinentale a quella com­piutamente imperiale, decidono loro quali leggi fare o rispettare, considerano tutti gli altri, amici o nemici, sudditi. E, come i tiranni medioevali, esigono il pagamen­to di tributi per conservare un rapporto bilaterale o per scongiu­rare una rappresaglia. Fanno la guerra a chi vogliono o usano le sanzioni come un’arma di guerra per strangolare Paesi non allinea­ti o che contrastano affari e com­merci americani. Il minacciare o il ricorrere alla forza è una dimo­strazione di debolezza. In questa “hybris unipolare” gli Stati Uniti si stanno mettendo contro tutto il mondo, stanno perdendo tut­te le guerre (Afghanistan, Siria, Iraq..), con una aggressività che comporta rischi enormi per la si­curezza globale.

Guerre senza liniti, senza con­trollo e senza legge
L’estrema pericolosità del mo­mento storico in cui viviamo è determinata dalla concomitanza di tante crisi: crisi della demo­crazia crisi ambientale, crisi morale, crisi economica, crisi sociale, crisi umanitaria, conflit­ti, riarmo. Uno scenario inedito di un mondo senza autorità, sen­za regole, senza leggi, né giudici, nel quale le guerre proliferano senza che nessuno sia in grado di controllarle o di fermarle. Nell’e­poca della conflittualità bipolare Usa – Urss e della guerra fredda c’erano delle regole, c’erano dei limiti, i conflitti erano “la conti­nuazione della politica con altri mezzi”, ma avevano un loro “or­dine”, patologicamente negativo come tutti quelli che accompa­gnano le guerre, ma necessario per impedire che “un pezzo” del conflitto mettesse in discussione “il tutto”.

Oggi l’equilibrio del terrore non esiste più, è stato cancellato l’equilibrio ed è rima­sto solo il terrore. L’assenza del limite è la nuova e pericolosa dimensione che accompagna e alimenta guerre sempre più dif­fuse, sempre più incontrollabili e sempre più vicine alle capitali degli imperi. Una guerra globale “a pezzi”, fatta di conflitti incon­trollati, che si moltiplicano con modalità totalmente anarchizza­te. Tragico specchio di un mon­do caratterizzato da instabilità permanente e generale insicu­rezza, dall’assenza di un qual­siasi ordine, consuetudinario o giuridico, e dalla più evidente incapacità politica di governare gli accadimenti. Una condizione di guerra totale incontrollata, nella quale le armi uccidono sia quando vengono usate sia, per le esorbitanti risorse che assorbo­no, quando non sparano. Il capi­talismo, analogamente al comu­nismo, ha fallito, ma nella sua corsa patologica e devastante, per i livelli di dipendenza da un sistema tecnologico e di coman­do che oramai sfugge ai controlli democratici e alle finalità pub­bliche, rischia di trascinare tut­to con sé. Come un eroinomane alcolizzato di 150 chili, che col­lassa mentre si sta abbuffando e trascina nella caduta tavolo, cibo e commensali.