In tempi di “democratura”, di sfiducia verso i sistemi democratici, visti spesso come farraginosi, inconcludenti – e mentre si va affermando l’idea che un uomo “con pieni poteri” risolverebbe tutti i problemi di una politica corrotta e incapace – possiamo chiederci: ma che cosa in ultima analisi fa di un sistema politico un sistema democratico?
In effetti non è sufficiente il diritto di voto. Per essere esercitato con cognizione di causa occorre avere con una certa affidabilità almeno le informazioni fondamentali. Rousseau ha scritto che la vita politica deve svolgersi “sotto l’occhio pubblico”: un’espressione che va intesa in modo corretto. Nell’opera Sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini (1755) condanna la riflessione ed esalta il sentimento immediato. È interessante che porti ad esempio i “festival popolari”. È una via ambigua: spesso ciò che “salta all’occhio” è ciò che è eccezionale, o è stato scientemente costruito per colpire. Ci ricordiamo non poche sceneggiate a uso di telecamere che abbiamo visto anche in tempi recenti. Resta vero che l’informazione è assolutamente vitale per la democrazia, lo aveva ben capito James Madison che scrive in una lettera del 4 aprile 1822: «Ogni governo popolare senza informazione popolare o i mezzi per acquisirla è il prologo di una farsa o di una tragedia, o forse di entrambe». Eppure ha sostenuto anche (e non vi è contraddizione) che «per la Convenzione che doveva redigere la Costituzione fu meglio riunirsi a porte chiuse». L’apparente “trasparenza” dello streaming impedisce di fatto la forza dell’argomentazione, il lasciarsi convincere, trovare una soluzione comune. L’esposizione pubblica può indurre a non dire ciò che pensa, ma ciò che ritiene utile per avere il consenso degli elettori. Quante volte abbiamo visto che mettere in pubblico il privato dei politici serve ad acquisire voti, mentre vanno sotto silenzio le contraddizioni politiche. Ha scritto Foessel: «I politici ci intrattengono su loro stessi per non doverci parlare di come noi siamo messi». Quella che veramente conta è la trasparenza degli output, degli atti decisionali.
Questo non vale solo in politica. Cercare il consenso istante per istante: saremmo in grado di creare un’amicizia, un rapporto amoroso, una paternità? Uno dei guai che subiamo, e non il minore, è la frequenza esasperata del mostrare l’efficacia della nostra performance. Può essere la gratificazione di un like al nostro post, oppure la relazione del Ceo di turno, che mostra agli azionisti i risultati mirabolanti delle sue opere negli ultimi tre mesi (e magari sono le stesse azioni che comprometteranno la società nei prossimi dieci anni), o anche la rincorsa del politico all’ultimo sondaggio.
Domanda: ma se Mosè avesse avuto i sondaggisti (e soprattutto se li avesse seguiti) avrebbe potuto portare gli ebrei fuori dalla schiavitù di Egitto?
di Anselmo Grotti