Bolivia: Perchè è calato il silenzio
Di Gennaro Carotenuto - Docente di storia contemporanea all'Università di Macerata e giornalista
Il golpe in Bolivia, con l’appoggio del sistema mediatico, ha abbattuto una “dittatura” che esisteva solo nelle fake news, ed è stato costruito per rappresentarsi come istituzionale e democratico, anche se un “golpe democratico” con i morti in strada e l’UNHCR (Commissariato Onu per i rifugiati) che accoglie i rifugiati è un ossimoro irricevibile. Riassumiamo sinteticamente. La prima parte è stata costruita a partire dalla stigmatizzazione, distruzione dell’immagine, demonizzazione di Evo Morales, trasformato in una specie di mostro for export, l’autocrate, il narcoindio (se non è razzista l’espressione “narcoindio”…). Il secondo passaggio è stato far passare un governo legittimo come illegale (i presunti brogli che, nella sua preveggenza, la OEA – Organizzazione degli Stati Americani - ha denunciato da prima che accadessero e smentiti da fonti ben più autorevoli) e liberarsene con la violenza. Era il golpe che non c’è, almeno per i grandi media. Ora siamo alla terza fase, quella della normalizzazione che implica la rappresentazione dell’ex-opposizione, trasformatasi in “governo di fatto”, come espressione di quella liberaldemocrazia occidentale così incapace di autocritica, quanto capace di gettare la croce addosso a chiunque le faccia ombra, come è accaduto in Bolivia e in America latina nel XXI secolo.
COSE SULLE QUALI I GIORNALI TACCIONO a) Al primo posto i gorilloni militari tirati fuori dalle caserme con un decreto legge che promette loro l’impunità, esattamente come quelli che emanavano le dittature degli anni ’70. b) Ha causato dolore e scandalo il sistematico distruggere e bruciare nelle zone “bianche”, ma non solo, la wiphala, la bandiera dell’integrazione tra i popoli, che i bianchi invece odiano, perché si considerano al di sopra dei popoli, a mostrare la natura razzista del golpe. c) La scelta di una presidente autoproclamata presa dal mazzo, Jeanine Áñez. Una politica di serie B di un partito di estrema destra col 4% dei voti, così debole e illegittima da essere famosa soprattutto per il fondamentalismo religioso e per i tweet ultrarazzisti contro gli indigeni e la maggioranza dei boliviani. d) Ciò comporta le minacce (di arresto, di persecuzione) verso chiunque non si adegui, siano voci critiche boliviane o quel po’ d’informazione non allineata, bollata come sediziosa.
Voglio citare due delle voci oggetto di minacce. La prima è Eva Copa, indigena e femminista di El Alto, presidente del senato del MAS, oggetto di una campagna d’odio sessista e razzista ripugnante. La seconda è l’83enne cardinale Toribio Ticona, anch’egli pubblicamente minacciato dai golpisti. Toribio Ticona ha tutte le caratteristiche per attrarre l’odio delle destre, ancorché cristianissime: è un indigeno quechua, ha sempre vissuto in povertà assoluta, ha accusato le destre di essere responsabili della violenza, ed è perfino amico di Papa Francesco. Per fortuna non ci sono più i vescovi di una volta in America latina che benedicono i golpisti, né i papi che si affacciano al balcone con Pinochet. e) Infine c’è un ministro degli interni di fatto, Arturo Murillo, che proclama la “caccia all’uomo” per tutti i membri del governo Morales e per tutti i parlamentari del MAS (Movimento Al Socialismo). Molti di loro sono entrati in clandestinità o si sono rifugiati nelle ambasciate, o hanno visto le loro case saccheggiate o bruciate. Ma gli evento non hanno superato il muro del silenzio. I grandi media sono partiti per silenziare e stigmatizzare le ragioni della sinistra, per chiosare la fine dei governi progressisti in America latina e hanno continuato tacendo sui crimini della destra. Come hanno sempre fatto; non mi stancherò mai di ripetere che il Corriere, Il New York Times eccetera dicano di Chávez o Kirchner o López Obrador o Evo Morales esattamente le stesse cose che dicevano di Allende nel 1973. Balle certificate.
LE CONDIZIONI IN CUI LA DESTRA VUOLE CHE SI VOTI
Il ritorno alle elezioni è vincolato a una serie di passaggi che condizionino a tal punto il voto futuro da produrre come ovvia conseguenza la vittoria delle destre stesse. Ciò traccia una agenda e delle condizioni precise sulle quali è bene essere chiari: 1) L’eliminazione di Evo Morales dalla partita. Al di là delle campagne di demonizzazione, la verità è che nessuno può cancellare nelle masse boliviane il grande avanzamento degli ultimi 13 anni in termini di diritti civili e di miglioramenti economici identificato col suo governo. Anche se è normale lo sfilacciamento e la legittima critica dopo 13 anni di governo, la verità è che il paese sa che la Bolivia di Evo Morales è andata come un treno. Evo Morales ha appena preso il 47% dei voti e nessuno sa davvero se i fatti di questi mesi lo hanno rafforzato o indebolito. Di sicuro da una parte della base la consegna che continua a venire è per il ritorno di Evo Morales che, piaccia o no ai liberaldemocratici europei, continua a incarnare una sintesi tra le distinte anime del movimento, popoli indigeni, sindacati, sinistra tradizionale. Visto dall’Europa questo è un errore. Ma l’Europa non è l’unico punto di osservazione della realtà boliviana, e neanche il migliore. 2) Disinnescare il potere legislativo, la Camera e il Senato, tutt’ora in carica. Al momento di scrivere in Bolivia convivono un potere legislativo legale e un potere esecutivo “di fatto”. Non sfugga a nessuno che, visto da destra, sia una situazione identica a quella venezuelana.
Ma qui l’Occidente trae conclusioni opposte e sta con l’esecutivo contro il legislativo. Chissà perché. 3) Proscrivere o debilitare il più possibile il MAS. La proscrizione del partito di maggioranza sarebbe il segnale definitivo che le destre sono disposte alla guerra civile pur di riprendersi la Bolivia. 4) Ove la proscrizione non fosse possibile, è già in corso il processo di debilitazione del partito per metterlo in condizione di competere con le mani legate. Senza leader, con ministri e parlamentari che devono temere per la loro libertà e la vita loro e delle loro famiglie, qual è l’agibilità politica che il regime di fatto garantisce al partito di maggioranza? Il MAS in questi anni ha generato con grande difficoltà quadri provenienti dal campo popolare, portatori di istanze comunitarie, di comunità isolate, a volte arretrate, con poca formazione. Né i leader, né i quadri politici si inventano in due settimane. Perché mai il MAS dovrebbe rinunciare ai dirigenti più esperti, affidabili, noti? Che elezioni sarebbero con il maggior partito oggetto di persecuzione? Quanti punti vale, in termini elettorali, l’eliminazione delle figure visibili, delle teste pensanti, dei leader comunitari nei quali gli elettori hanno fiducia? 5) Ultimo punto.
Nominare e controllare pienamente un nuovo Tribunale elettorale, anche qui esautorando il parlamento, per decreto. Quelli che hanno denunciato i falsi brogli di Evo si predisporrebbero a controllare le elezioni, contando nuovamente sulla complicità degli osservatori infedeli della OEA (Organizzazione degli Stati Americani). Elezioni controllate dal gatto e dalla volpe, con un tribunale nominato dal governo “di fatto”, senza avallo parlamentare e “garantite” dalla OEA, sarebbero una farsa. Questo è lo stato attuale della cucina boliviana: preparare la legittimazione della frode futura.