Ciò che con troppa fretta e superficialità l’Umbria sembra aver derubricato è stato al contrario confermato dal Tribunale del riesame di Catanzaro, che, reputando legittime le tesi dell’accusa, conferma che quanto avvenuto in Umbria trattasi di infiltrazioni malavitose evidenti con alcune ‘ndrine della ‘ndrangheta Calabrese.
Quella che in un primo momento è sembrata una notizia importante, purtroppo, lentamente si è sgonfiata fino quasi a scomparire dalle pagine dei giornali e da quelle della politica. Alle roboanti affermazioni sulla legalità e il fermo contrasto alla criminalità organizzata si è lentamente sostituita l’apatia e il distacco. All’indignazione e alle prese di posizione dei primi giorni, si è andata lentamente sostituendo l’indifferenza. Cosicché ciò che riempiva le pagine e la cronaca locale si è alla fine ricomposto nei soliti e limitati ambiti di resistenza al fenomeno mafioso. Questo è in generale un grave errore, ma per l’Umbria lo è ancora di più.
La nostra regione, prevalentemente per cause derivanti dalla perdurante stagnazione economica e dal peggioramento delle condizioni generali, si rende più che in passato permeabile alle penetrazioni mafiose. Il declino della classe media, delle professioni e delle opportunità di lavoro in generale stanno da anni erodendo la cultura dominante della solidarietà e delle relazioni sociali. Tutto è diventato più liquido e confuso e la ricerca del reddito trova sempre più spesso nuove forme dal carattere cinico e opportunistico, agevolato dalla cetomedizzazione del sistema, dal familismo amorale e dalla politica del consenso.
Questa deriva è ben visibile nei tanti processi intentati contro la gestione della cosa pubblica, dell’ambiente, le clientele e forme sempre più esplicite di corruzione dilagante, nella disinvoltura delle classi dirigenti e di molti sedicenti imprenditori e procacciatori d’affari. Andrebbe inoltre considerato il declino e l’impreparazione di una classe politica inadeguata, frutto di un cambiamento dai caratteri antropologici, che ha visto svoltare non senza stupore il consenso da un modello solidaristico, responsabile e inclusivo a uno egoistico, individualista e divisivo, alimentato da percezione, insicurezza e disinformazione.
Recessione economica, disinvoltura e impreparazione della politica e delle classi dirigenziali pubbliche e private, unite a forme associative poco chiare come quella massonica – più volte richiamata nell’indagine e molto presente in Umbria –, concorrono a delineare un sistema di fragilità estremamente preoccupante e pervasivo del tessuto regionale. Anche in Umbria purtroppo dobbiamo avere il coraggio di ammettere di non potere più considerarci immuni da forme di declino morale e sociale, né al sicuro da comportamenti opachi se non esplicitamente illegali. Nei fatti degli ultimi anni, sanitopoli, appaltopoli e concorsopoli, sono visibili tutti i germi di una deriva culturale e morale della nostra regione. Un fatto che andrebbe affrontato con determinazione, coinvolgimento e tanta trasparenza e coraggio, evitando di negarlo o sottovalutarlo, come purtroppo ancora una volta sembra stia accadendo.
Se tra i fattori scatenanti, come detto, vi è quello economico, allora è bene considerare che l’Umbria in questo senso soffrirà ancora per lungo tempo di uno stato di stagnazione, che la renderà ancora più debole ed esposta alle penetrazioni malavitose in ogni ambito e a ogni livello. Per questo la credibilità delle vicende confermate dal tribunale calabrese non devono essere sottovalutate, perché da ciò che sapremo fare oggi, nel contrasto alla mafia, passerà il futuro e la qualità della vita dei nostri figli e delle nostre comunità.Nessuno sottovaluti il problema dunque, né si senta al sicuro.
Di Ulderico Sbarra