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Iran, gigante inquieto

il paradigma della forza3L’uccisione del generale Soleimani in Iraq a opera delle forze statunitensi ha accentuato la crisi in Me­dio Oriente. Ne parliamo con la dott.ssa Serena Doro, ri­cercatrice dell’Istituto Archivio Disarmo, studiosa della società iraniana.

Chi era Soleimani e quali im­plicazioni ha avuto la sua uc­cisione in Iran e nel più ampio contesto geopolitico medio­rientale? Soleimani era il comandante in capo delle Brigate Al Quds, che rappresentano la sezione este­ra dei Pasdaran. Era una figura molto vicina alla Guida Supre­ma Khamenei ed era conside­rato lo stratega iraniano e il tes­sitore delle relazioni tra le varie fazioni sciite in Medio Oriente. Gli Usa avevano in progetto di eliminarlo sin dai tempi dell’am­ministrazione Bush, ma nessuno si aspettava un’operazione così eclatante come lo strike irache­no di inizio anno. Washington ha giustificato l’atto di forza, come intervento a scopo difensivo in risposta all’attacco iraniano del 31 dicembre contro l’ambascia­ta Usa di Baghdad e all’abbat­timento di un drone Usa. Sono stati sollevati molti dubbi sulla legittimità di tale atto compiuto sul territorio di un Paese terzo e sulla risposta militare da par­te dell’Iran che ha lanciato tre missili contro una base Usa in Iraq. Questo serve anche a capi­re perché in Iraq le proteste po­polari di dissenso nei confronti del governo si siano tramutate in violente manifestazioni contro gli Usa e l’Iran, entrambi perce­piti come forze di occupazione straniere. E l’eco delle proteste irachene si è riverberato un po’ in tutto il Medio Oriente, soprat­tutto in Paesi in cui è più forte l’ingerenza iraniana come Liba­no, Siria e Yemen.

qassemSullo sfondo rimane lo scon­tro religioso fra Iran (sciita) e Arabia Saudita (sunnita), entrambi determinati ad as­sumere un ruolo egemone in tutto il Medio Oriente. Lo scontro religioso è soltanto un pretesto autorevole per ca­muffare interessi ben più terre­ni. La questione più impellente è porre fine alla guerra siriana, dove l’Iran sta uscendo vinci­tore avendo appoggiato Assad. Altro fronte caldo è quello dello Yemen, dove dal 2015 è in atto un’estenuante guerra di posi­zione tra la minoranza zaidista degli Houthi (sciita, sostenuta dall’Iran) e le brigate del gover­no di Hadi (sunnita, sostenuta da Arabia Saudita ed Emirati Arabi) che sta dissanguando il regime di Riyad, tanto da essere definita il Vietnam dei Sauditi. L’Arabia Saudita ha infatti speso tantissimo in termini economici e di vite umane per sostenere il regime di Hadi e sopprimere le rivolte degli Houthi. Peraltro, nel corso degli anni, il conflitto si è via via frazionato in ulte­riori micro-conflitti che hanno coinvolto anche organizzazioni come Isis e Al Qaeda, molto pre­senti nelle regioni più orientali dello Yemen.

Quali prospettive si prevedo­no per questo conflitto? Il protrarsi del conflitto ha pro­dotto divisioni anche all’interno delle stesse fazioni belligeranti degli Houti e degli Hadi. Fra gli Houti in particolare i più prag­matici vorrebbero trovare una soluzione diplomatica per por­re fine al conflitto, mentre i più intransigenti spingono per una prosecuzione dei combattimenti fino all’annientamento della co­alizione a guida Saudita.

L’altro fronte caldo è la Libia: cosa potrà accadere? In Libia è fortissima la presenza dell’Arabia Saudita e degli Emi­rati Arabi. È vero che in questo caso non c’è un coinvolgimento diretto dell’Iran, ma l’impegno sul fronte libico potrebbe di­strarre l’Arabia da altri scenari caldi e lasciare campo aperto alla Repubblica Islamica.

ScreenHunter 10 Feb. 22 16.27Per quanto invece riguarda la politica interna, quali riper­cussioni hanno avuto i recenti avvenimenti sulla società ira­niana nel suo complesso? Prima dell’uccisione di Soleima­ni ci sono state proteste di piaz­za che hanno coinvolto non solo i giovani, ma anche appartenen­ti all’upper middle class iraniana, che protestavano contro la crisi economica e le sanzioni ameri­cane che stanno danneggiando la struttura economica iraniana e per ottenere maggiori conces­sioni sul piano dei diritti civili. L’uccisione di Soleimani, para­dossalmente, è servita a ricom­pattare una società che poteva altrimenti andare verso la di­sgregazione e il conflitto sociale.

Che differenze ci sono fra i movimenti di protesta di oggi e l’Onda Verde del 2009? Quelli di oggi sono movimen­ti diffusi su tutto il Paese e non solo nelle aree urbane. Inoltre i manifestanti hanno una diversa estrazione sociale: non sono solo giovani, ma anche imprenditori e professionisti di mezza età che reclamano più diritti e vogliono riconosciuti i frutti del proprio lavoro anche sul piano econo­mico. Inoltre alla base delle pro­teste non ci sono solo ragioni di carattere politico o di costume, ma anche ragioni economiche, culturali e ambientali del tutto assenti dall’agenda dell’Onda Verde.

La scoperta del nuovo grande giacimento petrolifero nella regione del Khuzestan potreb­be contribuire ad arginare il malcontento della popolazio­ne e a sedare le manifestazio­ni di protesta nei confronti del regime? Questa notizia è stata diffusa dopo l’ondata di proteste per l’a­cuirsi della crisi economica. In effetti sembra che i vertici politici iraniani sapessero della scoperta di questo giacimento già dai pri­mi anni 2000. A questo punto la vera domanda è perché questa notizia non sia emersa prima e non sia stata usata come arma di contrattazione anche nei con­fronti di partner commerciali più potenti come Russia e Cina.
Lo sfruttamento di questo nuovo giacimento potrebbe veramente risollevare le sorti dell’economia iraniana, soprattutto qualora le altre potenze della comunità internazionali, contravvenendo agli orientamenti di Washing­ton, fossero disposte a comprare il greggio iraniano.

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Russia e Cina sono alleati dell’Iran, Usa ed Emirati Ara­bi dell’Arabia Saudita. C’è il rischio che il conflitto regio­nale possa degenerare in una guerra mondiale? ScreenHunter 10 Feb. 22 16.27Non credo a una guerra globale, se mai sono più probabili guer­re a bassa intensità circoscritte a contesti regionali come l’Iraq o il Libano, dove ci sono già dei disordini interni e i grandi pla­yers internazionali potrebbero intervenire in modo indiretto at­traverso delle proxy wars (guerre per procura ndr). L’Iraq resta sicuramente uno dei teatri più in­teressanti dal punto di vista stra­tegico, anche in virtù della sua posizione geografica: è all’inter­no della Mezzaluna Fertile, con­fina con la Siria e fa parte della coalizione internazionale che sta continuando a combattere lo Stato Islamico. In ogni caso in gioco c’è sempre l’imprevedibilità della politica estera di Washington. Nessuno si sarebbe aspettato l’uccisione di Soleimani, o quantomeno non con queste modalità e in modo così spudorato.

Quali sono le prospettive più realistiche dell’evoluzione dei rapporti fra Iran e Usa riguar­do al nucleare? Prima dell’uccisione di Soleima­ni si parlava di una rinegoziazio­ne del JCPOA (accordo nucleare) per chiarire in quali tempi l’Iran dovesse rientrare negli standard previsti dal trattato, adempiere a tutti gli impegni su come ar­ricchire l’uranio per scopi civili. Dopo l’uccisione di Soleimani sembra pressoché impossibile che di fatto Rohani e tanto meno Khamenei possano dare il via libera per la negoziazione di un altro accordo con gli Usa.

L’Arabia Saudita non ha mai nascosto l’intenzione di vo­lersi dotare di una bomba atomica. Perché da parte de­gli Usa e di tutta la Comunità Internazionale si adottano at­teggiamenti così difformi nei confronti di regimi illiberali che manifestano l’intenzione di volersi dotare di armi nu­cleari? Perché storicamente l’Iran è sta­to sempre percepito come una potenza rivoluzionaria che po­trebbe portare destabilizzazio­ne anche in altri Paesi dell’area, a differenza dell’Arabia Saudi­ta, che è un regime illiberale. E nel tempo si è macchiata di sanguinarie repressioni, come ad esempio nei confronti del­le proteste della popolazione sciita contro la famiglia reale sunnita in Bahrein nel 2011, per timore che avessero riper­cussioni anche all’interno della società Saudita. Non so quanto si possa ritenere lecito a livello internazionale il sostegno a una potenza che agisce al di fuori del diritto internazionale.


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