Scuola. Intervista ad Alessandro Artisi Presidente dell'Anp-Toscacna
La Scuola italiana - come tutto il Paese - ha subìto lo sconvolgimento provocato dalla diffusione del coro navirus. Quali conseguenze prevede potranno registrarsi nei prossimi mesi?
Il poeta Euripide, nel V sec. a.C., ci aveva ammoniti circa l’imprevedibilità del futuro. In realtà se è difficile prevedere l’ambito di un’emergenza (virus, terremoto, eruzione vulcanica…), forse non lo è altrettanto trovare un metodo nella preparazione all’inatteso. Da questo punto di vista, le scienze dell’organizzazione hanno molto da suggerire. In questa prospettiva, il Coronavirus è una emergenza tra le tante. In questi ultimi decenni, infatti, abbiamo vissuto crisi politiche, economico-finanziarie, ambientali… Alcune delle quali sono state drammatiche. Forse dovremmo rassegnarci all’incertezza e, come suggerisce Morin, scegliere nella consapevolezza del carattere aleatorio di qualsiasi scelta. Nel
nostro Paese, tuttavia, vi è un sovrappiù d’incertezza, dovuto all’identità del decisore politico (Presidenza del Consiglio o Governatori regionali), ai tempi di durata del Governo, al necessario coraggio nel compiere scelte che abbiano valore strategico, ecc. Questo clima si avverte anche nella scuola, dove si registra, ormai da anni, una penosa assenza di idee. Le scelte compiute in ambito scolastico, fino alla chiusura, in relazione al virus sono apparse spesso contraddittorie e, comunque, imperfette, come la sequenza di atti normativi attuata in questi ultimi giorni. La didattica a distanza rappresenta una retorica antivirus, più che una realtà effettivamente praticabile a livello nazionale. La scuola a distanza, realizzabile nel tempo, rappresenta una rottura del tradizionale paradigma d’insegnamento, fondato sulle classi e sulla prossimità fisica tra docente e discente. Implica, altresì, una nuova soggettività antropologica, almeno apparentemente
impoverita di quella dimensione amicale e affettiva che solo la compresenza fisica può consentire. Lo psicologo americano Zimbardo, di origine italiana, ha scritto libri sui nuovi modelli di educazione sentimentale che si sviluppano nell’età dei social. In sostanza, la teledidattica è possibile (come il telelavoro), ma occorre evitare le banalizzazioni.
Può dirci che cosa è emerso dai confronti confronti a livello nazionale e quali sono le direttive che l’Associazione ANP ha diramato ai suoi iscritti? Sono state concordate analisi e proposte anche con altre associazioni sindacali della scuola?
L’Associazione si muove su molteplici piani “politici”: quello della tutela dei ragazzi e del personale, quello della sicurezza degli edifici scolastici, dell’abbattimento dei confini disciplinari, della carriera dei docenti, dello stress lavorativo dei dirigenti, della difesa della Scuola, della difesa della salute di tutti gli alunni mediante l’obbligo vaccinale e potrei andare avanti a lungo. In alcuni casi abbiamo ottenuto dei successi e, quando non abbiamo raggiunto gli obiettivi prefissati, abbiamo avuto comunque il merito di accendere i riflettori dell’opinione pubblica su temi altrimenti posti in subordine. Ovviamente, le prese di posizione sono state non solo plausibili, ma anche doverose. Tuttavia, occorre definire con maggiore precisione l’ordine delle priorità per le quali battersi. Ad esempio, per quanto mi riguarda, proporrò al prossimo Consiglio Nazionale di ripartire dall’autonomia scolastica, di cui quest’anno ricorre il ventesimo anno dal suo varo (dopo il DPR 275, cioè il Regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, emanato nel marzo del ’99, l’autonomia è stata posta in essere dal 1° settembre del 2000). Le ricerche al riguardo indicano che l’autonomia, nei suoi tre versanti (didattico, organizzativo ed economico) è stata disattesa. Infatti, essa è stata realizzata solo parzialmente. Ciò, nonostante altre ricerche dimostrino, in maniera perspicua, che maggiore è l’autonomia della singola scuola, migliori sono i risultati.
La scuola del nostro Paese sta affrontando un periodo difficile. Leggi emanate negli ultimi anni non godono di buon nome né presso gli studenti né presso i docenti. Un nuovo disegno dell’educazione e della formazione dei nostri ragazzi non sembra all’orizzonte. Cosa propone l’Associazione da lei rappresentata.
Nessun partito e, più in generale, nessuna parte politica, e neppure sindacale, esprime idee innovative sul futuro della scuola. Ciò accade in parte perché la scuola non interessa, in parte perché non è facile approfondire il tema. Il corpo docente, inoltre, non riesce a formare una posizione comune, con l’elencazione di alcuni specifici obiettivi.
I docenti sono frammentati al loro interno e la loro soggettività, quando ragiona in termini costruttivi, si suddivide in mille rivoli. Molto più facile, invece, è negare validità alle posizioni altrui. Per questo i docenti elevano fiere proteste a qualsiasi progetto di riforma. I politici, poi, molti dei quali attenti alle performance nel presente, non hanno una visione strategica di lungo periodo, atta a sostenerli anche in un confronto dialettico con i docenti. Meglio lasciar perdere…
Il pensiero corto, dunque, è una caratteristica della politica attuale. Esso si correla alla durata breve dei governi, inadatta a riforme di ampio respiro.
Nell’epoca della rivoluzione digitale la scuola sembra non operare da protagonista. Quali sono le vostre proposte sulla nuova didattica che utilizzando i nuovi strumenti e i nuovi linguaggi possa veramente generare processi formativi, e quindi conoscenze e competenze concrete?
Noi siamo favorevoli all’innovazione didattica, ma ciò pone un problema di governance della scuola. Oggi, 5 marzo 2020, le cronache dei giornali riferiscono notizie relative all’attivazione di lezioni online, per evitare che l’attuale interruzione del servizio scolastico possa nuocere alla preparazione degli allievi. Ma per sviluppare forme nuove di comunicazione didattica occorre una revisione della normativa scolastica. Le nuove didattiche sono il futuro della scuola, una scuola che si appresta a mutare un volto secolare, caratterizzato da una nobile tradizione. Non sappiamo bene dove finiremo e lo stesso sistema della pubblica istruzione sarà posto in gioco. Se esso non funziona adeguatamente e non garantisce in maniera universalistica una determinata soglia di apprendimenti o una certa efficienza, tutto sarà ridiscusso. Le pressioni per provvedere autonomamente all’istruzione dei figli da parte delle famiglie benestanti si faranno più forti e, inevitabilmente, il sistema di istruzione subirà una frammentazione.
Ancora oggi l’istruzione statale è complessivamente migliore di quella privata. Ma non è detto che questa situazione permanga a lungo inalterata, se la spinta antimeritocratica non dovesse attenuarsi.
Di Matteo Martelli