URBANISTICA. Recupero area ex FAt
Quando verrà inaugurata, la Piazza dell’Archeologia sarà inondata di bollicine, ammiccamenti, in un tripudio di applausi e di inchini. A chi ricorda a cosa era ridotto quel luogo, pieno di erbacce, di rifiuti e ricettacolo di animali, l’attuale rimodulazione apparirà come un paradiso ritrovato. Il nuovo scaccia il vecchio, ma non tutto il nuovo è buono per definizione e il vecchio cattivo perché superato. Occorre un esercizio di memoria per valutare l’oggi in rapporto a ieri e a prima di ieri. I politici tendono spesso a favorire la memoria corta, quella del pesce rosso per intenderci, mentre lo sforzo per capire la complessità delle cose non può limitarsi a questo.
Apparentemente l’intera area ex Fat non ha nulla a che vedere con il nuovo PRG. Invece, dal modo in cui è stato attuato questo progetto si può capire come potrebbe svilupparsi la pianificazione urbanistica della città e del territorio.
L’area ex Fat è un tutto unico, aggregata tra parte abitativa e commerciale e realizzata con contributi pubblici e investimenti privati, mentre la piazza è stata realizzata con sole risorse pubbliche. È ormai assodato che nelle aree urbane interventi di consistenti dimensioni coinvolgono sia interessi pubblici sia privati. Così come è ugualmente assodato che le istituzioni non dispongono delle risorse necessarie per poter programmare interventi ricostruttivi in piena autonomia. E peraltro, vista la commistione delle cose, non sarebbe nemmeno auspicabile. Pertanto se da una parte il rapporto pubblico- privato è una via obbligata, dall’altra si tratta di capire come si possano soddisfare gli interessi della generalità dei cittadini senza ledere quella dei singoli, quelli della architettura e quelli della storia. L’intervento alla ex Fat è emblematico proprio perché soddisfa a tutte queste condizioni: recupero di volumi di proprietà privata in un ambiente urbano, pubblico, con caratteristiche storiche e sociali di alto valore. Procediamo per gradi.
Società civile contro istituzione: chi aveva ragione? La lunga e tortuosa vicenda che ha visto contrapporsi, come mai era avvenuto prima in città, il Comitato Prato-Mattonata e l’Amministrazione comunale, come è andata a finire? Con una massiccia occupazione di cemento ampiamente osteggiato dal Comitato che si era opposto a tale progetto. Quello che una volta era orto e ornamento di un insediamento religioso del 1300, successivamente occupato da un opificio tabacchicolo, uno spazio urbano con caratteristiche in netto contrasto con l’ambiente circostante.
Incompetenza. La preoccupazione prevalente dell’Amministrazione comunale è stata quella di non far prevalere il punto di vista del Comitato, accusato di cedere a una impostazione eccessivamente ambientalista. “Vogliono farci un giardino”, disse all’epoca l’assessore in carica: “E dopo chi lo controllerà? Diventerà il luogo dello sballo per drogati”. Attribuendo al Comitato una posizione ideologica e non pragmatica, ostruzionistica e non dialogante, priva di qualsiasi fondamento, con argomentazioni al limite del ridicolo è stata insabbiata una esperienza promettente per piegarsi col cappello in mano ai desiderata del privato. Cosa che, oltre a essere irrispettosa nei confronti di tutti coloro che presero parte a quel confronto, non tenne conto della qualità delle proposte avanzate dal Comitato stesso. Bisogna ricordare che in quella fase furono prodotti progetti e studi nonché soluzioni legalmente praticabili per dare un volto diverso a quell’area. Ma il Comune in totale malafede si schierò con l’allora Sindaco (Bacchetta) e l’assessore all’Urbanistica (Cestini) smaccatamente a favore della proprietà.
La scelta tra pubblico e privato è stata risolta in modo radicale: l’area più grande situata all’interno della cinta muraria è stata invasa da una colata di cemento con vista su un fazzoletto di verde, in parte in discesa.
L’estetica. Il vuoto spaziale creato dalla eliminazione dei capannoni recupera la piena visibilità della Pinacoteca, uno degli edifici più preziosi della città, simbolo della magnificenza dei signori Vitelli, che di arte si intendevano, ma in un contrasto stridente con il contesto. In particolare gli aspetti decorativi: da una parte il giardino all’italiana di età rinascimentale; dall’altra cemento compatto a tutta vista. Di fronte all’ingresso di questo monumento, tra i più ammirati dai turisti, è stata realizzata non una piazza, come viene asserito, ma una suola di cemento necessaria per coprire un’area di parcheggio. Una spianata che si innalza proprio davanti all’ingresso della Pinacoteca con un parapetto di uscita pedonale alto un metro, anch’esso in cemento (altrimenti detta veletta, roba da condominio anni ‘70), e con tutto il sistema di ingresso e di uscita proprio di fronte all’ingresso della Pinacoteca, con una serie di manufatti, anch’essi in cemento, ben rialzati sul piano stradale che ricordano i tanti supermercati presenti. Dettagli? Una griglia di ferro, come marciapiede, sempre sopraelevata che, già visibile lungo la Manicalunga senza un gran risultato estetico, avrebbe dovuto forse sconsigliarne l’utilizo proprio davanti all’ingresso della Pinacoteca. Un bel pugno sullo stomaco a uno dei luoghi più preziosi della città dove archeologia e tante esperienze artistiche si sono incontrate.
Il rendering delle fiabe. Peraltro la pavimentazione lascia molti dubbi sulla qualità del materiale scelto (chi l’ha scelto). Il vuoto della piazza è interrotto da una apertura che dovrebbe dare visibilità a quel che resta dei reperti archeologici testimoni dell’origine della città. Sulla circonferenza di tale semicerchio, originariamente contornato da una ringhiera in ferro battuto, come appare sul famoso rendering illustrativo e illusorio, è stato costruito un parapetto in cemento che circoscrive un buco aperto su un vuoto storico. Vuoto perché, come si vede dalle immagini riportate, sono stati cancellati i reperti ivi rinvenuti.
L’eclissi della storia. L’unico presidio storico a vista è un tratto di muro bugnato, muto testimone di un imbarbarimento incomprensibile. Averla chiamata Piazza dell’Archeologia è un insulto prima che all’archeologia alla intelligenza e alla storia. In altre parole è stata portata a compimento la devastazione di un sito archeologico, sicuramente molto ricco per la qualità del materiale che vi è stato ritrovato all’epoca e per quello che si suppone essere stato distrutto, attestante le origini romane della città. Non tutti hanno la fortuna di possedere una simile ricchezza; noi ce l’avevamo, ma prima con l’opificio, poi con la Manicalunga e ora con la Piazza dell’Archeologia e i volumi costruiti il disastro è stato completato. In passato bisognava dare lavoro: certo! Poi i diritti proprietari: certo! Infine la speculazione: anche! Ma che le istituzioni pubbliche, inclusa la Soprintendenza, abbiano favorito l’eclissi della storia a favore di una modernità di segno puramente speculativo dovrebbe far riflettere. I soldi hanno sconfitto la cultura e la bellezza. Non c’è che dire!
I monumenti. L’intera area ex Fat si trova al centro di un comparto monumentale inclusivo della Chiesa della Carità (1200), della Chiesa di San Domenico (1300) con annesso chiostro (1300), dell’ex ospedale (1700) e del Palazzo Vitelli alla Cannoniera (Pinacoteca) (1500). Il Louvre, a Parigi, è circondato da abitazioni, ovvero dalla città, ma al centro ha una piramide di vetro, ovvero una architettura che valorizza esteticamente il contesto. Il nostro “Louvre”, invece, al centro ha 30 appartamenti e un probabile centro commerciale.
Bulimia di parcheggi. La parte sottostante alla suola di cemento chiamata piazza, è stata adibita a parcheggi con funzione di servizio all’edificio sovrastante. Da notare che in tempi non sospetti era già stata creata una apertura di accesso sotto la cinta muraria da Viale Franchetti, Manicalunga, per l’ingresso ai parcheggi. Quindi già illo tempore si sapeva che quella sarebbe stata la destinazione finale: parcheggi all’interno e parcheggi all’esterno, togliendo anche i pallai per il gioco delle bocce, che erano l’unico punto di aggregazione per pensionati. Così tutta la fascia perimetrale della città è stata circondata da parcheggi: a sud (Via Franchetti), a ovest (ansa del Tevere), a est zona Coop, via Lapi e traverse, a nord (ex Bacchi), nonché in molte fasce interne e traverse: parcheggi ovunque eppure ritenuti insufficienti. A cosa servono tanti posti per le auto? A portare la gente in città, asseriscono tecnici e politici. Ma una città circondata da una cintura di quartieri da cui è difficile raggiungere il centro a piedi o in bicicletta, che non ha piste ciclabili, deve dotarsi ancora di parcheggi o di una mobilità diversa da quella delle auto private?
La Giunta è immobile, qual piuma al vento, muta d’accento e di pensier. L’edificio a scopo abitativo e commerciale sorto sulla piazza è stato realizzato con oltre 2milioni di finanziamenti pubblici e 5 milioni privati, per costruire 28 appartamenti a canone concordato, diventati 30 e che avrebbero dovuto essere completati entro 565 giorni dal 2014 (entro il 2016). Siamo nel 2020 e tutto tace. Lo stato dell’arte rinvia l’eco di scricchiolii e dubbi sulla possibilità di vedere la fine del costrutto in tempi brevi, e quindi di riportare la gente al centro storico per rivitalizzarlo. Mancano gli acquirenti, pare, come era facilmente prevedibile vista la sorte della ex Bacchi e dell’ex Cinema Vittoria e del mercato immobiliare immobile. Qual è il ritorno pubblico degli oltre 2 milioni regalati al privato?
Il privato detta, il pubblico esegue. Al piano terra dello stabile sono stati previsti anche spazi commerciali, oltre 2mila metri quadrati, in cui allocare negozi cosiddetti di prossimità. Ma visto che i negozi sono quasi tutti emigrati alla Zona Industriale Nord e che gli abitanti in quel comparto urbano non ci sono, anzi diminuiscono, anche la prossimità è emigrata altrove. A meno che si aprano le porte a un’altra possibilità, quella di trasformare singoli negozi in un unico spazio commerciale. Appetibile per chi? Per chi ha interessi nella grande distribuzione. D’altra parte è ormai acclarato che la terziarizzazione della città sia prevalente rispetto alla definizione di altre funzioni da assegnare allo spazio urbano.
Il commercio equo e amicale ha la prevalenza su tutto. Questa amministrazione ha molti amici nell’area commerciale e nell’area edilizia, quindi per qualcuno i conti potrebbero tornare.
Ma ha senso definire funzioni così parcellizzate all’interno di un comparto urbano in cui non si conosce ancora il destino dell’ex ospedale, in parte destinato ad assistenza mentre nella parte più estesa ancora non si sa cosa metterci?
L’economia dei furbi. In altre parole gli affari hanno avuto la meglio sulla storia, sulla identità di una città, sulla valorizzazione del suo tessuto storico, che avrebbe potuto ottenere, se sapientemente sfruttati, anche risvolti economici interessanti. Ma chi investe sul cemento ha bisogno di incassi immediati, non può attendere i tempi di una economia di risultato che manifesta i suoi effetti a lunga scadenza. Quali sono? Turismo, accoglienza, recettività, musei, circolazione di persone. Se si uccide la storia e la cultura, tutto ciò si nega. Questo avrebbe dovuto pretendere un pubblico decente da un privato speculativo.
Pubblico/privato. Con la ex Fat si è inaugurato un modello di rapporti di scambio in cui soggetti privati, dotati di un consistente potere contrattuale, possono dettare le regole e i progetti da realizzare baypassando le norme stringenti degli appalti pubblici. Per la realizzazione di Piazza Burri è stata già annunciata questa strada e probabilmente tutta l’area circostante, Molini Brighigna e dintorni subiranno lo stesso trattamento. Anche per l’ex Cinema Vittoria la via maestra non è stata diversa. Questo metodo che esclude la partecipazione, il confronto progettuale e l’apporto di più competenze, inaugura un modello che consente ad alcuni “maggiorenti”, in combutta con amministratori collusi, di mettere le mani sulla città e di poterla disegnare non solo in house, in casa propria, ma for house, ossia per propri interessi. Alla città non resta che piangere su un sogno perduto!
di Antonio Guerrini