Giovedì, 18 Aprile 2024

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Vietnam: epopea di una sconfitta

Cinema

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La guerra del Vietnam, a differenza della seconda guerra mondiale dove si esalta la lotta per la democrazia e la libertà contro il nazi-fascismo (ed è dunque “giusta”), viene considerata “sporca” e di scarso valore patriottico.

Il primo film di rilievo che porta il Vietnam sullo schermo è a favore dell’intervento americano contro i vietcong e ha il titolo Berretti verdi (1968). Diretto e interpretato da John Wayne ha una prospettiva di destra “militante”. Celebre la scena finale in cui il sole tramonta ad est. Ma vediamo altri film di tenore ben diverso. Cominciamo da Un mucchio di bastardi (1970) di Jack Starrett, su una vicenda nelle Filippine, nella quale una banda di mercenari motorizzati su incarico della CIA va nella giungla cambogiana al fine di salvare un diplomatico prigioniero. La missione avverrà a bordo di moto Yamaha modificate con lanciagranate e mitragliere di elicotteri. Si tratta di un’opera granguignolesca che verrà molto apprezzata da Tarantino. Poi I ragazzi della Compagnia C (1978) di Sidney Furie,  un film crudo e venato di una sottile ironia nera, che, con la sua struttura addestramento-battaglia, sembra essere stato fonte d’ispirazione per il capolavoro di Kubrick che vedremo fra poco. Proseguiamo. Vittorie perdute (1978) di Ted Post, un film assai realistico su una pattuglia americana massacrata nella giungla dai vietcong. Tornando a casa (1978) di Hal Ashby un film pacifista su un capitano, reduce dalla guerra del Vietnam, che frustrato dal fatto di non essere diventato un “eroe di guerra”, diventa paranoico e si suicida. Da segnalare oltre l’analisi profonda sugli effetti della guerra del Vietnam sulla popolazione locale, l’ottimo lavoro sulla fotografia (luci fredde da cinema documentaristico). Il cacciatore (1978) di Michael Cimino racchiude un po’ tutto l’immaginario del Nam-movie e l’”epopea di una sconfitta”. Appaiono gli scontri bellici e gli assalti ai villaggi vietnamiti, la prigionia, la tortura e il supplizio, i reduci che tornano e non trovano un reinserimento adeguato nella società, e il famoso gioco della “roulette russa”. Apocalipse now (1979) di Francis Ford Coppola è un adattamento del romanzo Cuore di tenebra di Joseph Conrad ed è incentrato su un viaggio attraverso un fiume verso l’inferno della guerra. Assistiamo, fra l’altro, agli inizi del film ad uno spettacolare bombardamento aereo da parte degli americani su un villaggio vietcong mentre un colonnello americano sta facendo il surf dichiarando di assaporare l’odore del napalm, e, nella parte finale, ad un Marlon Brando da antologia nei panni di un graduato folle che si è titirato nella giungla e combatte una personale guerra contro tutti. Platoon (1986) di Oliver Stone è sui comportamenti di fronte alla guerra di due americani diversi fra di loro (un sergente umano che fuma gli spinelli e uno sanguinario e folle). Proseguiamo.  Nato il quattro luglio (1989) e Tra cielo e terra, (1993) due belle pellicole realistiche, ancora di Stone, sui reduci e in cui le sequenze belliche occupano uno spazio ridotto. Poi citiamo i vari Rambo (1-2-3 rispettivamente del 1982 - 1985- 1988) e Rombo di tuono (1984), tutte opere dall’andamento fumettistico. Andiamo avanti. Urla del silenzio (1984) di Roland Joffé è un dramma intenso su due amici (un americano e un cambogiano) che assistono in Cambogia all’arrivo dei khmer rossi che impongono un regime di terrificante durezza. Vengono messe comunque in primo piano le responsabilità americane della guerra. Ed infine arriviamo a quel capolavoro che è Full Metal Jacket (1987) di Stanley Kubrick.

Alcuni giovani vengono rigidamente addestrati per essere spediti nel Vietnam. A sottoporli al durissimo addestramento fisico accompagnato da insulti umilianti è il burbero e spietato sergente Hartman. Soldati suoi sottoposti sono, fra gli altri, l’aspirante giornalista Joker e il goffo Palla di Lardo, oggetto di continue vessazioni da parte dell’istruttore. La notte prima della partenza per il Vietnam, mentre Joker è di turno come piantone, Palla di Lardo in preda alla follia, spara al sergente Hartman, uccidendolo, per poi suicidarsi sotto gli occhi attoniti di Joker. Più tardi, ritroviamo Joker in Vietnam, impiegato come giornalista per una rivista militare. Annoiato dalla vita monotona delle retrovie, frustrato dalla censura militare e bramoso di emozioni, si fa spedire al fronte assieme a un amico fotografo. Qui vedrà il vero volto dell’orrore della guerra. Il finale è surreale: mentre avanzano marciando i soldati intonano la “Marcia di Topolino”.

“... Full Metal Jacket ha lo spessore di una tragedia assoluta dove la lacerante contraddizione fra ansia di vita e pratica di morte si traduce nel film nel continuo contrappunto fra partecipazione e straniamnto (e giustifica così il ricorso costante a un umorismo greve e osceno, necessario ai militari per mantenere il loro equilibrio di fronte alla paura e alla morte)” (Paolo Mereghetti). 

Di Pitro Mencarelli

 


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