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il paradigma della forza3

A Gianni Tamino, docente di Biologia generale all’Università di Padova, già deputato e membro del Comitato Scientifico di Isde (Associazione medici per l’ambiente) e dell’Associazione italiana per lo sviluppo dell’economia circolare, rivolgiamo alcune domande.

Molti analisti sostengono che l'ecosistema umano e gli ecosistemi naturali sono entrati in conflitto. Quali sono le cause?

«Ogni forma vivente ha come obiettivo quello di riprodursi per colonizzare l’ambiente di vita. Ma questa dinamica può entrare in conflitto con lo stesso obiettivo degli altri organismi viventi. Da questo equilibrio di relazioni si sviluppano gli ecosistemi secondo regole e limiti imposti alla crescita delle popolazioni e dei consumi di ciascuna specie. In ecologia si parla di carrying capacity (o capacità di carico) per spiegare che, sulla base delle caratteristiche di un ecosistema, gli individui di una popolazione non possono superare i limiti imposti dalle risorse disponibili».

Per gli umani vale la stessa regola?

«Per la popolazione umana si parla di “impronta ecologica”, cioè la misura del territorio in ettari necessario per produrre ciò che un uomo o una popolazione consumano».

Cosa rivela questo sistema?

«Con essa si può dimostrare che l’impronta media di ogni residente delle città ricche degli Usa o dell’Europa è enormemente superiore a quella di un agricoltore di un Paese non industrializzato, per cui sul pianeta un solo statunitense “pesa” più di 10 afgani».

Esistono altri modi per misurare il consumo di risorse naturali da parte dell’uomo?

«L’Overshoot Day è il giorno in cui il consumo di risorse naturali da parte dell’umanità inizia a superare la produzione che la Terra è in grado di mettere a disposizione per quell’anno: nel 2019 questo giorno è stato il 29 luglio. Dunque in circa sette mesi, abbiamo usato una quantità di prodotti naturali pari a quella che il pianeta rigenera in un anno».

Cosa significa in pratica?

«Che il nostro deficit ecologico, pari a cinque mesi, provoca da una parte l’esaurimento delle risorse biologiche (pesci, alberi ecc.), e, dall’altra, l’accumulo di rifiuti e inquinamento, responsabile anche dell’effetto serra. Le attività umane stanno, dunque, cambiando l’ambiente del nostro pianeta in modo profondo e in alcuni casi irreversibile. L’attuale sistema produttivo industriale e agricolo sta gravemente compromettendo anche la biodiversità del pianeta. Molte specie di animali e di piante sono ridotte a pochissimi esemplari e, quindi, in pericolo o, addirittura, in via di estinzione».

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Questo processo si è accelerato nel corso del tempo?

«Il rapporto tra popolazioni e risorse naturali è stato sempre dinamico nei millenni: ogni volta che le risorse disponibili diventavano insufficienti, le popolazioni venivano ridimensionate, attraverso sistemi di autoregolazione».

Fino a 12 mila anni fa la popolazione umana di raccoglitori e cacciatori, già presente in tutto il pianeta, per motivi di disponibilità di cibo, non superava probabilmente 1-2 milioni di abitanti, dato che ogni tribù doveva avere un ampio territorio di raccolta e di caccia e quel cibo costituiva il limite alla crescita. In seguito, in varie zone del pianeta, come nella mezzaluna fertile, in Medio Oriente, un importante cambiamento climatico favorì la cosiddetta rivoluzione neolitica, cioè l’agricoltura e l’allevamento. In tal modo la popolazione aumentò perché, seminando piante e allevando animali, sullo stesso territorio si potevano sfamare fino a 1000 persone anziché 40-50».

Le epidemie o pandemie come la Covid-19 sono dei meccanismi di controllo della popolazione?

«Epidemie e migrazioni sono stati potenti agenti di regolazione della popolazione. Tra queste, vanno ricordate le ricorrenti epidemie di tubercolosi, malaria, colera, dissenteria, Aids, Ebola e soprattutto le recenti pandemie di influenza (spagnola, asiatica, Hong Kong, suina e aviaria), oltre ad altri tipi di coronavirus, precedenti il Covid-19 (Sars e Mers), e non va dimenticata la comune influenza stagionale, che, pur con un tasso di letalità inferiore a 0,1 (cioè meno di un decesso per mille malati), causa ogni anno, secondo l’Oms, circa mezzo milione di morti in tutto il mondo».

Quindi?

«Quanto più si superano i limiti della disponibilità di risorse del territorio, quanto più si altera l’ambiente di vita, tanto più facilmente entrano in funzione meccanismi di regolazione, già descritti da tempo, come le epidemie, ma anche carestie, conflitti e migrazioni».

In tempi più recenti, quando è iniziato questo processo?

«A partire dalla rivoluzione industriale abbiamo imposto un’economia lineare su un Pianeta il cui sistema produttivo funziona in modo ciclico. La conseguenza è una continua crescita dell’inquinamento e un cambiamento climatico sempre più minaccioso per il mantenimento degli ecosistemi e della biodiversità. Tutto ciò comporta la morte prematura di molti milioni di persone e l’incremento di malattie cronico degenerative».

image 127Esiste quindi uno stretto rapporto tra ambiente e salute.

«Anzitutto va detto che a causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici muoiono ogni anno nel mondo milioni di persone. Inoltre i cambiamenti climatici e la riduzione delle foreste con l’alterazione degli habitat di molte specie animali, mettono sempre più facilmente a contatto animali selvatici con esseri umani, un contatto ancora più stretto quando questi animali vengono catturati per essere venduti in mercati affollati, rendendo più facile il salto di specie per i loro patogeni (si pensi al virus di Ebola). Inoltre gli allevamenti di polli e suini, con concentrazioni di molti capi in spazi ridotti, alimentati con mangimi contenenti antibiotici, favoriscono una forte pressione selettiva sui loro virus e batteri, che mutano velocemente verso ceppi e tipi più aggressivi anche verso la specie umana, come è avvenuto per l’influenza aviaria e suina».

Sta dicendo che l’epidemia da Covid-19 era nell’ordine delle cose?

«Era prevedibile e ampiamente prevista. Già nel 1972, nel rapporto del MIT per il Club di Roma, dal titolo I limiti dello sviluppo, si affermava che, se la popolazione mondiale continuava a crescere al ritmo di quegli anni, la crescente richiesta di alimenti avrebbe impoverito le riserve di risorse naturali (acqua, foreste, minerali, fonti di energia) e provocato conflitti per la loro conquista; malattie, epidemie, fame, conflitti avrebbero frenato la crescita della popolazione».

Quindi la comunità scientifica aveva avvertito la possibilità di tale evento?

«David Quammen, autore di Spillover, in una recente intervista spiega: “Nel 2012, quando il libro è stato pubblicato, ho previsto che si sarebbe verificata una pandemia causata da: 1) un nuovo virus 2) con molta probabilità un coronavirus, perché i coronavirus si evolvono e si adattano rapidamente ,3) sarebbe stato trasmesso da un animale 4) verosimilmente un pipistrello 5) in una situazione in cui gli esseri umani entrano in stretto contatto con gli animali selvatici, come un mercato di animali vivi, 6) in un luogo come la Cina. Non sono un veggente, ho semplicemente ascoltato le parole di diversi esperti che avevano descritto fattori simili"».

Perché non si è tenuto conto di queste previsioni?

«La soluzione di questi problemi richiede la modifica del modello economico e della gestione politica, una sanità diversa da quella basata sul profitto, una economia che non produca beni inutili e che favorisca un equilibrio con l’ambiente. Ma in questa fase i singoli Stati non sono capaci di cambiare politiche economiche, sociali e ambientali e manca una struttura mondiale in grado di governare gli effetti della globalizzazione».

Cosa si può fare per non ricadere nello stesso errore?

«Questa pandemia può costituire un utile avvertimento, per evitare nuove e più gravi pandemie, sicuramente probabili. Dobbiamo porre un freno a questo suicidio di massa, non solo cambiando il modo di produrre, di utilizzare le risorse naturali, ma cambiando completamente il paradigma culturale, economico, sociale e politico che ci ha portato a questo punto, che rischia di essere “un punto di non ritorno”».

..a causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici muoiono ogni anno nel mondo milioni di persone

 

A cura di Achille Rossi e Antonio Guerrini


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