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«Se una volta finita “a nuttata”, tutto sarà come prima e non ci sarà un cambio di paradigma, le cose non andranno certo bene». Non fa sconti il dottor Gian Luca Garetti, medico e psicoterapeuta e vicepresidente di Medicina Democratica, sulla pandemia del Covid-19. Al professore, nonché collaboratore del giornale on line “PerUnaltracittà” chiediamo di chiarirci alcuni aspetti del problema.
È giusto puntare il dito contro l’inquinamento?
«Basti pensare che secondo quanto dice l’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno per l’inquinamento atmosferico muoiono circa 8 milioni di persone nel mondo. Nella sola Cina, il numero delle vittime è di oltre un milione. In Italia 80.000 morti sono dovuti al particolato, al biossido di azoto, all’ozono. Nemmeno va dimenticato che nei Paesi occidentali, il 91% delle morti è causato da malattie non trasmissibili (m.cardiovascolari, m. respiratorie, tumori), che sono strettamente collegate all’ambiente intossicato in cui viviamo, mentre il 9% è causato da malattie infettive. Per chi avesse desiderio di altri dati negativi, ricordiamo che ogni anno in Italia per il fumo di sigaretta, ci sono circa 90.000 morti (1-2 mila per il fumo passivo), per gli incidenti stradali ci sono 3.330 morti e 243.000 feriti, per l’antibioticoresistenza circa 10.000 persone muoiono ogni anno in Italia, l’antibiotico resistenza è una delle più importanti emergenze sanitarie. Ogni anno nel mondo per questo motivo muoiono 700 mila persone. Una delle cause è l’uso massivo degli antibiotici negli allevamenti animali. In Italia, secondo l’ultimo dato dell’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) quasi il 70% degli antibiotici venduti sono destinati agli animali da allevamento)».
Quale relazione sussiste tra inquinamento atmosferico e Covid-19?
«Salta subito agli occhi che i 2 più grandi focolai di questa pandemia, Cina e Pianura padana, sono due camere a gas, zone industriali ad alto tasso di inquinamento atmosferico. Sarebbe sorprendente scoprire che l’inquinamento atmosferico non ha influenzato il rischio di ammalarsi e di morire per Covid-19, dal momento che la sola esposizione al particolato è di per sé causa di mortalità, specialmente nelle persone con malattie preesistenti».
Ma esistono evidenze scientifiche che certifichino una tale correlazione?
«In un interessante studio sulla Sars di Yan Cui si stabilisce che “l’inquinamento atmosferico è associato a un aumento della mortalità dei pazienti con Sars nella popolazione cinese”… i malati di Sars che abitavano nelle regioni con qualità dell’aria peggiore presentavano un rischio di morte dell’84% più alto.
In un altro lavoro scientifico, dal titolo “L’impatto del PM2.5 sul sistema respiratorio umano” di Yu-Fei Xing, si dice che il danno del PM2.5 alle cellule polmonari è causato dalle interazioni tra cellule infiammatorie e citochine, in modo quindi del tutto simile e quindi sinergico al Covid-19.
Nel lavoro scientifico di Wei Su et al. dal titolo “Gli effetti a breve termine di sei inquinanti atmosferici [PM2.5, inclusi PM10, NO 2 , O 3 , CO e SO 2] sulla malattia simil-influenzale (ILI)” si dimostra che gli inquinanti atmosferici possono aumentare l’incidenza della malattia simil-influenzale, sia diminuendo le difese immunitarie, sia per l’alterata produzione di citochine. Non è quindi azzardato ipotizzare che la perversa sinergia fra il virus Sars-CoV-2 e l’inquinamento atmosferico, potrebbe essere una delle cause della particolare gravità e diffusione della pandemia di Covid-19, in Cina, nella Pianura Padana, nella Corea del Sud, cioè in zone accomunate da un alto tasso di inquinamento».
Sempre più frequentemente virus infettivi passano dall’animale all’uomo (zooonosi). Quali sono le cause?
«Molti virus animali hanno fatto il salto di specie (o spillover) cioè sono passati dai volatili (sia migratori, sia stanziali in allevamenti e mercati), per “pressioni” non naturali, dal loro serbatoio animale/naturale all’essere umano. Negli ultimi vent’anni, sono state registrate diverse epidemie virali: la sindrome respiratoria acuta grave (Sars-CoV) nel 2002-2003 e l’influenza H1N1 nel 2009. Più di recente, la sindrome respiratoria del Medio Oriente coronavirus (Mers-CoV), identificata per la prima volta in Arabia Saudita nel 2012 ed Ebola che attualmente sembra vada verso la completa remissione».
I pipistrelli sono i principali indiziati di questo fenomeno.
«I coronavirus (CoV) hanno probabilmente avuto origine da pipistrelli e poi si sono trasferiti in altri ospiti di mammiferi (ospiti intermedi), lo zibetto di palma dell’Himalaya per Sars-CoV e il cammello dromedario per Mers-CoV, prima di saltare agli umani. Le analisi genomiche suggeriscono che anche Sars-CoV-2, il virus dell’attuale pandemia, abbia avuto origine dai pipistrelli e abbia fatto il salto di specie o spillover, senza ospite intermedio. Difatti i primi casi della malattia Covid-19 erano collegati all’esposizione diretta al mercato all’ingrosso di frutti di mare di Huanan di Wuhan».
Perché il cambiamento climatico incide su questo passaggio dall’animale all’uomo?
«Gli animali selvatici possono essere portatori sani di virus. In un mondo normale non ci sarebbe contatto con l’uomo. Il cambiamento climatico costringe le specie a venire a contatto con altre specie che potrebbero essere vulnerabili alle infezioni. Ci avviciniamo troppo agli animali, invadiamo il loro habitat, aumentando così la nostra esposizione a vari agenti infettivi. Anche il cambiamento di uso del suolo, come la trasformazione di boschi in campi coltivati, per assicurare mangimi agli allevamenti intensivi o per bio-carburanti e la caccia, possono essere responsabili di un contatto alterato con la fauna. Al contrario mantenendo gli ecosistemi intatti, riducendo al massimo gli allevamenti intensivi, un vero flagello per il pianeta, si riducono le probabilità di contatto e trasmissione di agenti patogeni tra uomo, bestiame e fauna selvatica».
Quali altri fattori possono provocare questo eccessivo avvicinamento dell’uomo alla fauna selvatica?
«Circa il 70% delle malattie infettive emergenti e quasi tutte le pandemie recenti, hanno origine negli animali (la maggior parte nella fauna selvatica) e la loro emergenza deriva da complesse interazioni tra animali selvatici e /o domestici e umani. L’emergenza della malattia si correla con la densità della popolazione umana e la diversità della fauna selvatica ed è guidata da cambiamenti antropogenici come la deforestazione e l’espansione dei terreni agricoli (cioè il cambiamento nell’uso del suolo), l’intensificazione della produzione di bestiame e un aumento della caccia e del commercio della fauna selvatica. (https://www.pnas.org/content/117/8/3888)».
Il futuro: non andrà tutto bene
«Se non ci sarà un cambio di paradigma, la crescita della popolazione – circa 11 miliardi prevista per fine secolo – richiederà sempre più aumenti della produzione agricola e animale che amplierà l’uso agricolo di antibiotici, acqua, pesticidi e fertilizzanti e tassi di contatto tra esseri umani e animali selvatici e domestici, il tutto comporterà l’emergere e la diffusione di agenti infettivi».
A cura di Achille Rossi e Antonio Guerrini