«Intanto partiamo dal positivo: la voce e la predicazione di papa Francesco, in questo momento, sono un punto di riferimento spirituale per i credenti, morale per tanti altri, molto saldo, riconosciuto, efficace». Inizia così il dialogo con Marco Tarquinio, direttore di Avvenire quando gli chiediamo quali siano le forze che attaccano la figura del Papa e lo intralciano nel suo impegno pastorale.
«Questo non è un dato irrilevante perché gli attacchi contro di lui arrivano proprio a causa di questo, non per le prospettive che propone, sia da un punto di vista della corretta e piena vita cristiana, sia dal punto di vista del corretto rapporto con il mondo e relazione tra gli uomini e la costruzione della giustizia nelle nostre società, il messaggio evangelico nel suo complesso. Quelli che lo attaccano sono pezzi degli establishment d’Oriente e d’Occidente che non apprezzano l’efficacia del Magistero di papa Francesco e la sua altissima credibilità».
Potrebbe spiegare?
«Sono forze che, come sempre nella storia, puntano a incrinare il legame tra il popolo credente e il Papa e i pastori. Nella storia della Chiesa c’è sempre stata questa la linea d’attacco, da duemila anni. Questo continua a prodursi soprattutto nei circoli statunitensi, con dei contraltari che sono nell’altra sponda dell’Oriente europeo, ossia la Russia. Lo abbiamo visto a più riprese, sono organizzazioni ben identificate. A me non interessa far polemica con questo o quello, ma vedere il processo che è in atto e comprenderne le ragioni. È l’efficacia del Magistero del Papa sia all’interno della Chiesa cattolica che nel dialogo con il mondo, che è la parte integrante dell’annuncio cristiano».
Anche all’interno della Chiesa ci sono personaggi che ostacolano la riforma voluta dal Papa, vorrebbero tornare indietro?
«Se una riforma è vera e procede, è scontato che ci siano delle resistenze e delle reazioni, quindi le difficoltà che vengono incontrate in questo momento, anche da parte di uomini e donne di Chiesa sono evidentemente la misura della bontà di ciò che il Papa sta compiendo: adattare la struttura alla missione millenaria della Chiesa che in ogni tempo deve trovare il modo di integrarsi con la massima aderenza alla sua missione originaria».
Lei intravede in alcuni la nostalgia per la Chiesa pre-conciliare?
«Da che io ricordo, ho sempre visto manifestarsi alcune opposizioni al Concilio, ma quello è il Concilio della Chiesa, si tratta di un lavoro sviluppato per cinquant’anni e come papa Francesco ha ricordato proprio dalle pagine di "Avvenire", è il lavoro per i prossimi cinquant’anni. L’applicazione del Concilio richiede tempo, lo Spirito ha parlato, i padri hanno saputo ascoltare, a noi sta il compito di realizzarlo. Il dissenso e il dibattito fanno parte della ricchezza di sensibilità che esiste all’interno della Chiesa, l’importante è mantenere il bene dell’Unità».
Quali sono le sponde politiche che cercano di minare la credibilità del Papa e quali sono i loro intenti?
«Sono quelle di ambienti che si autodefiniscono cristiano-conservatori, uso in questo caso l’aggettivo cristiano e non cattolico perché sono variegati al loro interno. Ci sono sensibilità che non sono cattoliche e mi colpisce molto che persone appartenenti ad altre confessioni religiose pretendano di spiegare al Papa e ai cattolici come devono vivere la fedeltà a Pietro. Io credo molto nell’ecumenismo, ma non un ecumenismo dell’aggressione ai fratelli. Se parliamo dell’Italia, i personaggi politici si sono identificati da soli. A partire dall’attacco frontale a Giovanni Paolo II, costoro hanno sistematicamente attaccato tutti i papi con toni di dileggio e sono personaggi regnanti che fanno riferimento sia a settori di una destra populista, sia a settori più a sinistra, profondamente anticlericale. E sono irragionevolmente attestati su queste posizioni, qualunque cosa accada. Il fenomeno più pronunciato in questo momento si è visto nelle parole del leader della Lega Nord, Matteo Salvini, che ha utilizzato a più riprese immagini, simboli e gesti della tradizione cattolica per incentivare una polemica nei confronti del Papa, di vescovi e parroci che non sono allineati o abbastanza remissivi con il suo pensiero politico. Questo è intollerabile e penso che gran parte del popolo cristiano del nostro Paese abbia chiaro quale sia il limite e lo scopo di un’azione di questo tipo, che nulla a che vedere con la vita della Chiesa e con il bene della nostra società».
Sembra che la Chiesa italiana sia un po’ assopita in questa fase del coronavirus e quindi manchi un po’ di coraggio nel sostenere il Papa e la sua azione riformatrice?
«Ho una percezione diversa. In questa crisi della pandemia stiamo vedendo una Chiesa italiana che, dal mio osservatorio e da quello dei miei colleghi, ha avuto anche una grande vitalità, un’effervescenza buona, a volte anche estemporanea, di iniziative pastorali che si sono adattate alla condizione data, con grande creatività e con risultati importanti. C’è stata una risposta da parte di tanti cristiani che stanno cercando di dare un senso a quello che viviamo. È vero anche che nei primi anni del pontificato di papa Francesco c’è stata una fatica a sintonizzarsi con la sua spinta nuova di intima continuità coi predecessori, per usare un’espressione cara a Benedetto, ma con modalità nuove che papa Francesco ha chiesto alla Chiesa italiana e universale. Per qualcuno questa fatica c’è stata e una delle cose che abbiamo fatto attraverso le pagine di Avvenire è stata quella di aiutare questo processo. Io la vedo in crescita questa sintonia e credo che l’azione riformatrice del Papa si stia dispiegando anche attraverso gran parte dell’episcopato. Io non ho questa sensazione, abbiamo manchevolezze nella Chiesa italiana che è grande e diversificata al suo interno, ma abbiamo anche tante energie buone. Lo stanno riconoscendo anche altri. In questi giorni, sulle pagine di giornali, penso a voci di scrittori noti acuti, e da voci di scrittori, c’è il riconoscimento della capacità della Chiesa di mettersi al servizio della gente e del Paese con una dedizione che è immediata proiezione della sensibilità di Francesco».
Di fronte al pericolo della pandemia l’Europa cerca di reagire o rischia di disgregarsi?
«L’Europa è sull’orlo del vulcano da molto tempo. Manca la spinta propulsiva dei primi decenni di vita e anche nella testa della gente non è più quella soluzione felice che ci ha consentito settant’anni di pace e progresso in una condizione di tranquillità che mai avevamo sperimentato.
Noi siamo la prima generazione che non ha versato un tributo di sangue grande e ingiusto sui campi di battaglia del vecchio continente. Quando qualcosa è assodato lo si dà per scontato, ma rischiamo di mettere in discussione la stabilità che era stata conquistata».
Ci siamo adagiati sugli allori?
«Prima che scoppiasse la pandemia avevamo già iniziato a fare distinzioni tra Stati, con i toni che usavamo agli inizi del ‘900 e la crisi attuale ci ha colti in questa situazione di debolezza, di polemica aspra e di fatica, tra affermazioni orgogliose e tonanti di sovranismo da parte di alcuni e pratiche sovranistiche da parte di altri, con un ritorno a veti e interessi piccoli piccoli. Da speranzoso e convinto sostenitore degli Stati Uniti d’Europa, prendo di questa situazione critica. Partendo da una condizione già complicata, l’Europa ha però saputo compiere uno dopo l’altro dei passi molto importanti per dare una risposta comune alla sfida che l’emergenza sanitaria ha amplificato. Paradossalmente il male che ci ha colpito ci ha costretti a compiere quei passi politici di concertazione tra i 27 stati che non avevamo compiuto prima. Mi auguro che sia l’inizio di un percorso nuovo che si consolidi. L’UE ha messo in campo tremila miliardi per i propri popoli, duecento in più di quelli che ha investito Trump. Dobbiamo usarli bene, anche per ricostruire un sentimento europeo forte, perché il vulcano è ancora sotto i nostri piedi».
di Achille Rossi