Mercoledì, 06 Novembre 2024

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Una città senza più centro

Città di Castello. Radiografia del cuore della città: le piazze

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Chi ha un po’ di memoria – e l’età per proiettarla di qualche decennio nel passato – la crisi del centro storico di Città di Castello la percepisce con una semplice passeggiata. Piazza di Sopra e Piazza di Sotto si animano solo i giorni di mercato, e comunque meno di prima. Talvolta le vedi sconsolatamente semivuote. I capannelli di gente, in genere uomini, che si formavano spontaneamente in piazza in tarda mattinata e in serata sono sepolti nel passato. Ci ha pensato l’inesorabile scorrere del tempo a decimare quella schiera di uomini; ma mentre in precedenza c’era un ricambio, ora non più.

Per fortuna restano nel centro gli uffici comunali, il Vescovado e il Duomo (ma molta meno gente va a messa), un paio di banche (però il loro servizio è cambiato e sono molto meno affollate), la Pretura (anch’essa assai ridimensionata), diversi uffici di professionisti e, a quattro passi, l’ufficio postale.

E poi i negozi. Tuttavia è proprio nel commercio che si vede il declino inesorabile del centro urbano.

Ce ne accorgiamo già nelle due piazze principali, dove sono 7 i locali un tempo attivi commercialmente e ora chiusi. Gironzolando qua e là si tocca con mano l’entità del dramma: tra piazza Andrea Costa, via Mazzini e via Sant’Antonio 10 negozi cessati; e inoltre, tra piazza Fanti e corso Cavour 7, in corso Vittorio Emanuele 21, in via Marconi 12, in via del Popolo 7, in via Plinio il Giovane 7, tra via Albizzini e piazza Garibaldi 8, In tutto, 78 - diconsi settantotto - attività commerciali cessate. Sono le cifre di un disastro; cifre che si appesantiscono di molto se si aggiungono i dati dei rioni San Giacomo, San Florido e Mattonata.

Fa impressione leggere quei cartelli “vendesi” e “affittasi” in vie così centrali. Cartelli che comunque danno un’idea parziale della crisi, perché sono affissi all’ingresso di meno della metà dei locali dismessi.

Non c’entra il Covid. Circa il 10% delle attività suddette ha chiuso alla fine del 2019. Sappiamo tutti che il problema è preesistente. Le ripercussioni dell’emergenza sanitaria rischiano di aggravarlo, mettendo purtroppo in ginocchio i commercianti più vulnerabili finanziariamente.

Eppure abbiamo un centro urbano che piace ai turisti; siamo riusciti a limitare di molto il traffico per renderlo più godibile; abbiamo dei gioielli che lo impreziosiscono: il Museo capitolare, la Tipografia Grifani-Donati, la Tela Umbra, la Fondazione Burri. E nei rioni circostanti ce ne sono altre di gemme.

citta senza centro4Era davvero inevitabile questo declino? È davvero tutto e solo imputabile al mutamento irreversibile dello stile di vita e della concezione di città? Pensiamo proprio di no. La realtà è che la città nel suo insieme non è stata in grado di cogliere per tempo i segnali di crisi e di progettare un’alternativa. Un’alternativa comunque difficile, perché avrebbe richiesto – e lo richiederà ancora – una forte capacità di capire a fondo il problema, di coinvolgere la popolazione e le sue associazioni, di superare gli interessi di parte, di fare scelte coraggiose. Insomma, è il momento in cui farà bene a prendere di petto la questione chi ha un po’ di carisma a livello politico, economico e sociale. Ora vanno di moda gli “stati generali”, i “tavoli”, le “task force”. Chiamateli come cavolo vi pare: quello che serve ora è una grande assunzione di responsabilità, che deve ovviamente vedere i politici – se sono degni di tal nome – avviare una iniziativa politica all’altezza.

Lo spopolamento del centro storico.

All’inizio di giugno risiedevano entro le mura urbiche solo 3.186 persone. Attenzione! Non si creda che lo spopolamento del centro storico sia un fenomeno recentissimo. Nel 1999 ci vivevano poche persone di più, 3.264. Quindi il problema della scarsa attrattiva del centro storico per abitarci è di lunga data. Tuttavia, la crisi del commercio anni fa non c’era.

Altra questione: gli stranieri. Attualmente vi risiedono 751 stranieri, il 23,6% del totale della popolazione. Nel 2003 gli stranieri erano il 14.2%; ma già nel 2008 la loro percentuale nel centro storico aveva raggiunto le cifre attuali. Il fenomeno dell’incremento degli stranieri è indubbiamente un fatto eclatante, da una dozzina di anni si è stabilizzato e non sembra che siano loro “il” problema dell’odierna crisi.

Come ripopolare il centro storico?

Il fatto è che un maggior numero di cittadini deve tornare a vivere nel centro storico. Non è una chimera. Esistono importanti provvedimenti a livello governativo di carattere fiscale ed economico per calmierare gli affitti e incentivare il recupero e la ristrutturazione delle abitazioni dei centri storici. Quali azioni può intraprendere il Comune per sostenere ulteriormente questo processo? Quali misure può prendere di carattere fiscale, di decoro pubblico, di disciplina del traffico e dei parcheggi, di recupero delle zone più in abbandono, e via dicendo? I tifernati hanno bisogno di “condividere” con l’amministrazione comunale un progetto di ampie vedute che al momento non c’è. Ci possono essere dei provvedimenti che vanno in tal senso, ma non sembrano tessere di un mosaico progettuale chiaro e, appunto “condiviso”. Su questioni di così ampia portata, non c’è destra, centro o sinistra che tengano: ci vogliono da un lato carisma, autorevolezza e idee da parte dei politici, dall’altro spirito civico da parte della popolazione e delle associazioni che essa esprime.

Un centro storico per bere e mangiare, ma non per passeggiare.

 A giugno 2020 risiedevano entro le mura urbiche solo 3186 persone

 

Nel 1999 ci vivevano poche persone di più, 3264

 

Attualmente nel centro storico risiedono 751 stranieri, il 23,6% della popolazione

 

Nel 2003 gli stranieri erano il 14,2%


È sin troppo evidente: non c’è più il passeggio di una volta; non si fanno più le “vasche” su e giù per il corso. Qualche volta avviene, ma troppo di rado. Meno gente che passeggia significa meno gente che guarda le vetrine, che si incuriosisce ai prodotti esposti, che entra per informarsi, che alla fine qualcosa compra. Di ciò si lagnano a ragion veduta tutti i commercianti.

Però è un centro dove non mancano locali per stare in compagnia, per farsi un aperitivo, per mangiare fuori di casa. Facendo un rapido calcolo, le quattro piazze centrali e le vie adiacenti offrono la bellezza di 22 tra bar e caffè e 12 tra ristoranti e trattorie. Qualche bar e caffè ha saputo trovare una sua formula e fa buoni affari. Diversi altri faticano: si contendono la poca gente che gira per il centro ed è per loro dura sbarcare il lunario.

Ciò di cui il centro non ha bisogno sono locali chiassosi, che assembrano una clientela maleducata. Ne abbiamo avuto un esempio poco tempo fa in piazza Fanti. La mattina della domenica e del lunedì si sentiva odore di piscio nel loggiato all’ingresso della pretura. Lo si è dovuto disinfettare più di un volta…

Commercio e caro-affitti

Se hai un’attività commerciale nel centro storico e il locale è il tuo puoi fare affari, o almeno sopravvivere. Ma se devi pagare l’affitto sono dolori. Anche perché certi proprietari vogliono mungere la vacca finché fa latte e non si preoccupano se alla fine crepa. Sono convinti, gli ingordi, che arriverà un’altra vacca da mungere… Quegli avvisi “vendesi” e “affittasi” stanno a dimostrare il contrario. Sarà sempre più difficile, con i tempi che corrono, trovare vacche da mungere. Ecco che quindi il calmieramento degli affitti diventa una priorità. Non potrebbe l’amministrazione comunale assumere una iniziativa in tal senso, convocando le associazioni dei commercianti e dei proprietari?

I grandi eventi.

Da qualche anno a questa parte c’è chi si lascia abbagliare dalla luce dei “grandi eventi”. Vuoi promuovere l’immagine di Città di Castello? Vuoi portarci gente? Vuoi sollevare le sorti del centro storico? Allora organizzaci un “grande evento”. Ecco quindi “Only Wine”, “Mostra Mercato del Tartufo”, “Altrocioccolato” e via dicendo. Non si tratta certo di demonizzarli, ma una pacata riflessione sarebbe utile. Anche tra i commercianti c’è chi la pensa in un modo, chi in un altro: dipende da cosa e da quanto vendono. La “sbotacièta” di gente che in tali circostanze si riversa nelle piazze dal sabato alla domenica è, a nostro parere, come il nubifragio che butta giù tanta acqua in poco tempo ma non irriga i campi. Non sono le migliaia di persone che inondano il centro per fare acquisti tra i vari stand quelle che si fermano nei negozi cittadini. Anzi, qualche commerciante è imbufalito con l’amministrazione comunale, perché tiene bloccate le piazze per due mesi con le impalcature delle mostre-mercato. Così facendo, impedisce il regolare svolgimento dei mercati del giovedì e del sabato, che tradizionalmente riempiono davvero il centro portandoci gente e consumatori. Come esempi positivi vengono portati da un lato le aperture notturne estive dei negozi, con eventi musicali collaterali, e dall’altro la Mostra del Rigattiere, che riesce ad attirare gente da fuori senza essere troppo “invadente” nell’occupazione delle piazze.

Traffico e parcheggi.

Che il centro sia nel complesso più gradevole di prima è fuori di dubbio. La limitazione del traffico è stato un passo importante e decisivo – qui come in tutta Italia, è bene ricordarlo – per salvarlo da un peggiore degrado. I commercianti più lungimiranti se ne rendono conto. Tuttavia ve ne sono alcuni che attribuiscono il calo degli affari proprio ai divieti di accesso in macchina. In generale, concordano sul fatto che l’insieme dei parcheggi ad oggi disponibili non è sufficiente per favorire l’afflusso di gente al centro.

Tasse e agevolazioni.

Come tutti gli operatori economici (e gli italiani in genere…), i commercianti si lamentano del carico fiscale. Quelle che si decidono localmente riguardano l’occupazione del suolo pubblico, gli spazi pubblicitari e la nettezza urbana. Ci sono senz’altro margini perché Comune e commercianti si vengano incontro, soprattutto ora che l’emergenza sanitaria costringe a scelte innovative per salvare l’intera baracca. Ma, lo abbiamo già sottolineato, ci vuole una iniziativa politica autorevole e immediata. È in grado l’amministrazione comunale di assumerla?

Centro e periferia.

Chi vive nelle aree periferiche di Città di Castello generalmente resta confinato in quei quartieri. Saltuariamente capita nel centro-storico. Ciò avviene nelle grandi città; qui non ha senso. Da via del Polacchino e dal quartiere San Pio si arriva in centro in meno di dieci minuti di passeggiata; figurarsi in bicicletta. Lo abbiamo sottolineato più volte: la mancanza di percorsi ciclo-pedonali sicuri e gradevoli tra le zone periferiche e il centro è una delle cause più evidenti della “spaccatura” tra le due parti della città. Non si può pretendere, tanto per fare un esempio, che un residente della Madonna del Latte venga giù a piedi o in bici lungo viale Bologni e De Cesare. Quindi, è giusto che ci siano buoni parcheggi intorno al centro storico, ma di pari passo bisogna agevolare un altro genere di mobilità, lasciando la vettura a casa.

Piazza Burri eccetera.

Ce lo dicono da un po’: il centro storico cambierà volto quando ci sarà la possibilità di ristrutturale l’attuale piazza Garibaldi con le sue adiacenza (scuola elementare in abbandono, ruderi del molino Brighigna). Nessun dubbio che sarà così. Molti dubbi invece sui tempi. Diciamocelo chiaramente: non si può aspettare la fantomatica “Piazza Burri”, con gli altrettanto fantomatici benefattori arabi… Il Covid-19 non si è fatto tanti scrupoli; non è stato così carino da aspettare di caderci addosso perché avevamo ancora bisogno di tempo per risolvere i nostri problemi urbanistici.

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Di Alvaro Tacchini


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