Chiesa: L'allontanamento di Enzo Bianchi dalla Comunità di Bose a seguito di una visita apostolica voluta dal Papa
Se si cerca nell’enciclopedia Treccani alla voce “sciacallo”, il secondo significato, quello metaforico, indica chi approfitta e gode delle sventure altrui. In occasione della frattura emersa recentemente, all’interno della comunità di Bose, tra la linea del fondatore Enzo Bianchi e il rinnovamento garantito dal priore attuale Luciano Manicardi, subito si sono fatti avanti molti sciacalli. Intendo quanti hanno colto quest’occasione per sostenere che Bianchi e tutta l’esperienza da lui inaugurata nel 1965 sono viziati dall’eresia, da un progressismo laicista e da un ecumenismo rovinoso per la difesa della verità della Chiesa. Questa compiaciuta espressione di scandalo rivela a mio avviso l’ignoranza del Vangelo da parte di chi oggi si erge a giudice e conferma quanto la realtà della Chiesa non coincida mai con l’autocertificazione di cattolicesimo di chiunque voglia esibirla, perché invece vive solo nelle donne e negli uomini che cercano di vivere al modo di Gesù.
In realtà la dolorosa frattura verificatasi nella comunità di Bose, una volta che sia intesa in una luce evangelica, offre due insegnamenti di fondo. Il primo è che non c’è niente da giudicare. Basta anche solo un primo incontro con le monache e i monaci di Bose per riconoscere che si tratta di persone sinceramente impegnate a vivere la fede in povertà, comunione e fedeltà esistenziale. E ciò vale sia per i singoli che per la comunità nel suo insieme. Naturalmente con i difetti e le cadute che si ritrovano in ogni essere umano. Chi volesse scagliare la prima pietra è stato messo in fuori gioco già tanto tempo fa.
Se si mantiene uno sguardo lucido, si riconosce che, dal 1965 a oggi, Bose è fiorita non solo per l’autentico carisma e la fecondità di Enzo Bianchi, ma anche perché con lui ha preso forma una comunità di persone libere, non un gruppo di comparse all’ombra del fondatore. Molti sono i doni che finora sono venuti da questo cammino: l’accoglienza, la ricerca ecumenica, l’aiuto a chi è in ricerca, la rara capacità di fare proposte vive ai giovani, gli stimoli a superare il clericalismo e la salvaguardia del senso della fede in un Paese come il nostro, così incline a mistificarla e a strumentalizzarla. Che si verifichino dissidi e tensioni, oltre tutto in una comunità così ampia, è fisiologico, soprattutto nel momento dell’avvicendamento delle generazioni e del rinnovamento. Grande è la fatica che deve aver fatto Enzo Bianchi nel decentrarsi in una comunità di cui si è preso cura per tanti anni, così come immagino sia grande la fatica di Luciano Manicardi nel continuare questo cammino senza ingessarlo nelle sue forme passate.
Chi guarda a Bose da fuori dovrebbe solo prendere atto serenamente di questa difficoltà, deponendo la voglia di giudicare o di schierarsi. La stessa commissione vaticana incaricata di accertare lo stato di salute della comunità avrebbe fatto bene ad astenersi dal proporre provvedimenti disciplinari, così come il cardinale Parolin e papa Francesco avrebbero dovuto confidare una volta di più nella luce della misericordia e non certo nei provvedimenti del potere, sempre sterili e dannosi. L’errore di richiedere l’intervento vaticano ha preparato l’errore di allontanare Enzo Bianchi, due monaci e una monaca, mandando il messaggio che Bose è una realtà da mettere sotto tutela.
Il secondo insegnamento che viene da questa vicenda è che siamo sempre in tempo per tornare sulla via della misericordia. Ora i suoi protagonisti diretti e gli spettatori esterni possono imparare a purificare il cuore e lo sguardo. Questo vale non nonostante, ma grazie alla caduta rappresentata non solo dalle divisioni interne, ma anche (e forse peggio) dai provvedimenti disciplinari. Non si tratta affatto di punire il fondatore e di normalizzare Bose. Questo ne segnerebbe la morte. Si tratta invece di revocare le misure disciplinari. E soprattutto, qualunque sia il ruolo che ciascuno può avere rispetto a questa storia, si tratta di fare la propria parte per tornare nella luce della misericordia di Dio, che sempre rigenera la comunione anche dopo divisioni che sembravano inestinguibili.
Bose oggi è come uno specchio per tutta la Chiesa italiana: mostra quanto siamo ancora lontani dal Vangelo e nel contempo quanto possiamo rialzarci insieme. A una sola condizione: dismettere le armi del potere per mettere in campo l’accoglienza, la stima, la fiducia, la solidarietà, la generosità evangeliche. Per lunghi anni la comunità di Bose ha accolto singoli fedeli, associazioni e vescovi della Chiesa italiana, ora la Chiesa italiana deve riaccogliere Bose, incoraggiandola a rinnovare una comunione dove ognuno trovi il suo spazio di fratello o di sorella.
di Roberto Mancini