Recensioni
A 18 anni dalla morte il pensiero di Ivan Illich resta di attualità in moltissime sue parti e non passa anno che anche in Italia non escano libri sul suo pensiero o vengano ristampate alcune delle sue opere. Proprio in questi giorni è uscito il Vol I delle opere complete curate da G. Agamben, col titolo Celebrare la consapevolezza, ricco di molti inediti. A fine 2019 è uscito invece L’età dei sistemi nel pensiero dell’ultimo Illich. scritto da Jean Robert, che di Illich fu uno dei più assidui frequentatori ed amici. Qui una breve recensione.
Il libro è dedicato principalmente al lavoro intellettuale di Illich dopo il 1976, anno della chiusura del CIDOC, il Centro Interculturale di Documentazione di Cuernavaca, che per 10 anni era stato punto di incontro mondiale di gran parte dell’intellettualità critica del tempo. Per vivere Illich divenne durante 25 anni professore visitante di università di diversi Paesi, secondo una rigida regola autoimposta: mai più di un trimestre all’anno in una stessa università, con temi da lui liberamente scelti, rifiutando di dare voti e attestati agli studenti e con l’obbligo di un solo pomeriggio di insegnamento per settimana. Ma nelle vicinanze sempre una casa ampia in cui abitare, con una cantina di buoni vini e la biblioteca personale, aperta giorno e sera ai suoi studenti per animate living room conversations. Questo per 6 mesi all’anno. Nei restanti si ritirava a Ocotepec, vicino a Cuernavaca, nella sua casa di mattoni di adobe (fango).
Tanto era stato famoso prima, tanto poco si seppe di lui dopo. La sua fu una stagione di densa ricerca, con nuove intuizioni e dialogo con gli amici più cari. È su questo periodo che Jean Robert punta le luci, ricordando che verso il 1980 Illich si rimprovererà di aver condotto fino ad allora la sua analisi delle idee moderne in un modo troppo esclusivamente concettuale, con un occhio solo e una gamba sola. Da quel momento in poi si interessò degli aggregati di evidenze sensoriali e di idee generalmente acquisite che secondo lui costituivano il fondamento della topologia mentale moderna. Con i suoi amici e i suoi allievi, intraprenderà una sorta di esplorazione archeologica di tali certezze. Fu di aiuto in questo l’interlocuzione con Barbara Duden, eccellente storica della medicina. Robert, per condensare in una sola frase il tema dei 20 anni di collaborazione fra i due studiosi, riprende una frase di Illich: «I fusi su cui si filavano le evidenze sensoriali di un’epoca sono sepolti nei suoli della storia più profondamente dei telai su cui si tessevano le sue certezze concettuali». I due si impegnarono a esplorare quanta parte di queste certezze derivano da esperienze di vita e dalla percezione dei sensi e non da pura riflessione intellettuale. Un altro tema impegnò Illich, grande storico della funzione degli strumenti nella vita dell’uomo. Egli ebbe l’intuizione prima, e la certezza poi, che l’epoca storica degli strumenti si stava esaurendo, assorbita nella nascente società dei sistemi, dei quali l’uomo stava divenendo un'appendice. Se il mio computer è ancora uno strumento quando lo uso come macchina da scrivere – dice Robert –, quando lo connetto in rete, è parte di un sistema: mi sta accanto e mi spia, mi fagocita nel suo “buco nero”. Una visione pessimista quindi, senza vie di uscita? No, dice Robert interpretando il pensiero di Illich: esse sono la gratuità dell’azione e la pratica gioiosa dell’amicizia. Prezioso questo lavoro di Robert sul pensiero meno conosciuto di questo grande intellettuale sul quale si stanno riaccendendo oggi i riflettori.
Di Aldo Zanchetta