Cinema. il centenario di Alberto Sordi
Alberto Sordi è stato uno dei più grandi attori del nostro cinema. Esordisce giovanissimo in trasmissioni radio, ma è soprattutto come attore che esprime il meglio di sé rappresentando una serie di personaggi che riflettono l’italiano medio di sempre: un cialtrone sostanzialmente vigliacco e ipocrita di fronte ai potenti, ma arrogante e prepotente con i più deboli, un cinico insensibile sostanzialmente a ogni richiamo di responsabilità civile e sociale, un furbo della furbizia del vile, un ignorante che si esprime con pomposità nel tentativo di apparire colto e via discorrendo. è dotato di una mimica facciale eccezionale, capace di commentare fatti con la sola espressività del viso o del corpo senza ricorrere alla parola. «... maschera di personaggio piccolo borghese fasullo e arrangione, comico e triste, che l’ha aiutato a costruire un’inimitabile galleria di tipi caratteristici della storia del costume italiano ...». Nuccio Madera).
Ha interpretato innumerevoli film: Mamma mia che impressione! dove è un boy-scout dell’Azione Cattolica saccente, petulante, impiccione, sciocco, ridicolo. In Lo sceicco bianco (1952) e in I vitelloni (1953) è uno dei perditempo in una cittadina di provincia.
Ma il film che lo lancia definitivamente è Un americano a Roma (1954), di Steno, dove impersona Nando Moriconi detto “l’americano”, un giovane infatuato di un’America inesistente e immaginaria che viene dal cinema. Straordinaria la scena in cui Nando seduto a tavola dove c’è un piatto americano a base di yogurt, marmellata e latte da un lato e un piatto di spaghetti e un bicchiere di vino dall’altro sceglie gli spaghetti dicendo “Maccarone m’hai provocato e io te distruggo ... te magno”.
Nell’Arte di arrangiarsi (1954), di Luigi Zampa, è un arrampicatore sociale e politico voltagabbana, prima socialista, poi interventista nella grande guerra, quindi fascista, comunista e infine democristiano. In Un eroe dei nostri tempi (1955), di Mario Monicelli, è un conformista che non è disposto ad assumersi alcuna responsabilità; ne Il moralista (1959), di Giorgio Bianchi, è un bigotto e implacabile censore che nella realtà è a capo di una organizzazione che sfrutta donne, ma nessuno può denunciarlo perché possiede documenti per ricattare gli altri; ne Il vedovo (1959), di Dino Risi, è un imprenditore oberato da debiti che trama per eliminare la ricca moglie onde ereditarne le sostanze; in Gastone (1960) è un attore di varietà che si dà arie da viveur ma sostanzialmente è un mediocre; ne La grande guerra (1959), di Mario Monicelli, insieme a Vittorio Gassman è un soldato vigliacco nella guerra 1915-18, ma che alla fine andrà dignitosamente davanti al plotone d’esecuzione. Rappresenta pure talvolta personaggi positivi. Basta pensare in Tutti a casa (1960), di Luigi Comencini, dove è un ufficiale sbandato che, nel settembre del 1943, con un gruppo di commilitoni cerca disperatamente di tornare a casa. In Una vita difficile (1961), di Dino Risi, dove è un giornalista ex partigiano che tenta di opporsi con tutte le sue forze a un sistema reazionario. Ma proseguiamo con altri personaggi solitamente tutt’altro che positivi. In Il giudizio universale (1962), di Vittorio De Sica, è un abietto e losco trafficante di bambini; in Il boom (1963), sempre di De Sica, è un industriale meschino disposto a vendere un occhio pur di pagare i propri debiti e continuare a condurre una vita agiata; in Il mafioso (1962), di Alberto Lattuada, è un individuo equivoco: irreprensibile da un lato e dall’altro legato alla mafia; in Il maestro di Vigevano (1963), di Petri, è un maestro elementare che per soddisfare le ambizioni della moglie dà le dimissioni e investe la liquidazione in un affare che fallirà miseramente; in Il medico della mutua (1968), di Luigi Zampa, èun classico del carrierismo a ogni costo; in Detenuto in attesa di giudizio (1971), di Nanny Loi, è un povero diavolo che finisce in galera per errore e dovrà rimanervi a lungo prima di essere riconosciuto innocante; in Bello, onesto, emigrato Australia, sposerebbe compaesana illibata (1972), di Luigi Zampa, è un emigrante che cerca una moglie per corrispondenza; in Polvere di stelle (1973), diretto dallo stesso Sordi, è un attore di teatro con un successo effimero; nella feroce satira Un borghese piccolo piccolo (1977), di Mario Monicelli, è un uomo tranquillo quanto egoista che si trasforma in un implacabile e feroce giustiziere della notte dopo che gli hanno ucciso il figlio; in Il marchese del Grillo (1981), sempre di Mario Monicelli, è un nobile cinico e fuori tempo.
Un artista che, come pochi, ha saputo raccontare l’Italia del secondo novecento. ◘
Di Pietro Mencarelli