Mercoledì, 04 Dicembre 2024

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Alexandre Dumas e i Garibaldini

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C’è una goletta con bandiera francese che dal mare segue la marcia di Garibaldi e delle camicie rosse dalla Sicilia fino a Napoli. È “EMMA” il veliero di Alexandre Dumas (padre).Proprio lui l’autore dei tre moschettieri e del Conte di Montecristo. Il suo libro I garibaldini ci consegna un cronista d’eccezione, che racconta la spedizione dei mille. “Un raro esempio di cronaca contemporanea”, riconosce Antonello Trombadori che nel 1982 cura e traduce il libro per gli “Editori Riuniti”. Nella Palermo appena liberata quell’omaccione, che abbraccia Garibaldi, «è vestito di bianco e ha in testa un gran cappello di paglia, adorno di una penna azzurra, d’una penna bianca e d’una rossa». È forte e reciproca la simpatia che unisce Garibaldi e Dumas. Eccolo all’opera il nostro cronista dopo lo sbarco di Marsala: «Avvicinatosi al telegrafo per eseguire l’ordine di tagliare i fili, il sottotenente mette in fuga l’impiegato che abbandona la minuta di un dispaccio così concepito: “due piroscafi battenti bandiera sarda sono appena entrati in porto e stanno sbarcando uomini armati”». Il dispaccio è indirizzato al comando militare di Trapani. Mentre ne legge il testo, il sottotenente si accorge che stanno trasmettendo… “quanti sono e che vengono a fare?”. Ecco la risposta del garibaldino: «Mi sono sbagliato: si tratta di due mercantili carichi di zolfo provenienti da Girgenti». Il telegrafo ricomincia a battere e dice: «Siete un cretino!». Il sottotenente taglia i fili e torna dal generale Turr per il rapporto. Ed è proprio del generale Stefano Turr che Dumas ci parla a proposito di Santo Meli, un picciotto che si è unito a Garibaldi senza perdere il vizio di rubare appena l’occasione si offre. Sorpreso e riconosciuto proprio dal generale stavolta rischia una condanna. «Credi che sarà fucilato?» chiede Dumas al generale. «Amico mio, risponde Turr, a Roma Garibaldi ha fatto fucilare un legionario che aveva preso trenta baiocchi a una vecchia; Garibaldi non ha altra dote che due paia di pantaloni, due camicie rosse, due sciarpe, una sciabola, una pistola e un vecchio cappello di feltro; Garibaldi chiede in prestito un carlino per fare l’elemosina a un povero, perché carlini in tasca non ne ha mai; tutto ciò non ha evitato che i giornali di Napoli lo trattassero da filibustiere e quelli di Francia da pirata. Coi tempi che corrono bisogna essere tre volte puri, tre volte coraggiosi, tre volte giusti, per essere calunniati soltanto un po’. Seguendo questo comportamento può darsi che dopo dieci o dodici anni i vostri nemici comincino ad apprezzarvi, ma ce ne vorrà almeno il doppio perché ciò accada con coloro ai quali avete reso un servigio». Dumas ricorda come Santo Meli viene sottoposto, per i suoi misfatti, a un processo puntiglioso. Vuole anche non dimenticare i metodi “sbrigativi” della giustizia borbonica che, in particolare sotto la guida di Salvatore Maniscalco e dei suoi sbirri, rielabora e inventano “fantasiose” torture, come il “berretto del silenzio”, una specie di sbadiglio traumatico, o lo “strumento angelico”, una maschera di ferro che ingabbia la testa, la comprime per mezzo d’una vite e la frantuma così, millimetro per millimetro. «Mi hanno mostrato delle manette, dice ancora Dumas, che, per quanto esili siano i polsi destinati a sopportarle, non possono chiudersi senza penetrare nelle carni fino all’osso». Intanto che il proprietario dell’EMMA a bordo scrive i suoi resoconti, la goletta trasporta fucili e munizioni e, ormai Napoli vicina, imbarca alcuni sarti della città per cucire camicie rosse. È proprio sull’EMMA che salirà clandestinamente Liborio Romano, ministro di Francesco II, per elaborare una strategia di ingresso in città di Garibaldi, senza sparatorie e spargimento di sangue. Operazione questa di cui Alexandre Dumas si dimostrerà particolarmente orgoglioso. Ecco come scrive a Garibaldi: «In nome del cielo, amico mio, non più un solo colpo di fucile! Non serve, Napoli è vostra. Venite subito a Salerno e, appena arrivato, avvertite Liborio Romano; o verrà a cercarvi a Salerno con una parte dei ministri, o vi aspetterà alla stazione di Napoli. Venite senza perdere un minuto. L’esercito non vi occorre:il vostro solo nome è un esercito…». ◘

a cura di Maria Luisa De Filippo e Giorgio Filippi


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