Recensione
La filosofa Di Cesare, con questo bellissimo e poliedrico saggio, smentisce in modo assai persuasivo questo assioma così consolidato nella nostra cultura.
E lo fa attraverso un pensiero sensibile, pieno di sfumature eppure sistematico, lucido e profondo.
Anzitutto analizza puntualmente il ruolo dello Stato nei confronti del migrante ricostruendo il percorso storico che va dalla scoperta dell’America, al liberalismo di ieri e al sovranismo di oggi.
La parola migrare non è sinonimo di muoversi, come spesso si crede, ma viene dal sanscrito e poi dal latino e significa cambiare/ scambiarsi di luogo,«così come si scambiano i doni ospitali, di modo che lo straniero, piuttosto che nemico, sia accolto come ospite». «Anche in latino mutare non designa semplicemente il movimento, ma rinvia a uno scambio complesso… dove si inaugura la prassi etico-politica dell’ospitalità. Migrare è un atto politico e non la generica mobilità che ha caratterizzato l’uomo dalla notte dei tempi».
Lo scontro tra la ragione degli Stati e quello dello jus migrandi cominciò a delinearsi all’indomani dei viaggi di Colombo e della conquista dell’America e da lì è arrivato al XXI° secolo.
Nel secondo capitolo - FINE DELL’OSPITALITà - l’Autrice approfondisce la dicotomia tra il “Noi” e “Loro”, così tanto diffusa oggi; la tematica di tutte le barriere che sono state erette in Europa (con l’abdicazione ad una politica comune d’accoglienza); le storie esemplari di alcuni migranti; la metamorfosi dell’esule e le classificazioni impossibili; il diritto di asilo usato come dispositivo di potere attraverso l’ “integrazione” e la “naturalizzazione”.
«Lo straniero è lo xénos, externus, peregrinus, foreign, extranjero, étranger, Fremd, è esteriore rispetto a un dentro, in una assegnazione di posti che determina limiti, marca soglie, apre e chiude i passaggi».
«Lo straniero è l’estraneo, è strano, eterogeneo, straordinario (eccede l’Ordine)».
«I barconi dei migranti sono la versione recente delle navi dei folli …».
Nel terzo capitolo - STRANIERI RESIDENTI - si sottolinea come in nessuna epoca sia emersa, come oggi, la diasporizzazione: la condizione dell’esilio è diventata la norma.
E genera tanta inquietudine.
Per contro l’abitare (dall’habere, latino: continuare ad avere) presuppone continuità, identificazione, permanenza. Quindi, l’identità.
L’esistenza, d’altro canto (come sottolinea Heidegger) non significa solo stare nel mondo, ma implica una relazione «Abitare è un migrare che richiama lo scorrere di un fiume». «Se la corrente di un fiume è il luogo del soggiornare umano, allora l’abitare non può trovare legittimazione nel sangue o nel suolo». »La corrente trascina via con sé ogni titolo di possesso, ogni pretesa di eredità».
«Il luogo … è sempre erratico. L’abitare storico dell’uomo va scorto in questa migrazione, nell’incessante scorrere e passare in cui si apre la località di un possibile soggiorno. La corrente è il suo domicilio».
A partire dall’antica Grecia l’Autrice analizza il rapporto dell’uomo con la terra, il legame con il suolo e l’affermarsi del concetto di cittadinanza con le differenze tra i vari Stati che si sono succeduti.
In - COABITARE NEL TERZO MILLENNIO - (ultimo capitolo) i temi affrontati sono molti e concatenati tra loro, ma possiamo cercare di riassumerli con questa frase significativa della Di Cesare:
“Coabitare la terra impone l’obbligo permanente e irreversibile di coesistere con tutti coloro che, più o meno estranei, più o meno eterogenei, sulla terra hanno uguali diritti. Si può scegliere con chi convivere, con chi dividere il proprio tetto o il proprio vicino, ma non si può scegliere con chi coabitare”.
Di Ambra Bambini