Sanità. Il Registro dei Tumori chiude? No, assicura la Giunta Tesei, ma il suo destino è passato dalla Politica ai partiti
La vicenda del mancato rifinanziamento del Registro Tumori Umbro, al centro di un aspro dibattito in seno alla Giunta regionale, offre un interessante spunto di riflessione che trascende l’importanza oggettiva della problematica, su cui peraltro si sono già espresse le volontà di risoluzione che ne garantiranno la sopravvivenza.
La vicenda permette una più ampia riflessione sulla funzione dell’analisi epidemiologica generalmente concepita e sulla deriva, intrapresa ormai da anni, del sistema sanitario ad impianto pubblico. Al di là delle prevedibili strumentalizzazioni delle decisioni (non) prese dalla giunta Tesei, vale la pena rammentare che la depauperizzazione delle risorse riservate al Registro Tumori risale al governo regionale precedente, con un decremento del finanziamento da più di mezzo milione di euro ad appena 180 mila.
Il Registro Tumori Umbro di Popolazione (RTUP), istituito nel 1993 e gestito dal Dipartimento di Igiene dell’Università degli studi di Perugia, è nato dal connubio tra intelligenza organizzativa della Regione e capacità scientifica dell’Università. Ha consentito di organizzare l’osservazione epidemiologica in campo oncologico in maniera sistemica, non più per progetto, e reso possibile un impianto di finanziamento e gestione strutturata. Il successivo passaggio, nel 1998, all’accreditamento da parte dell’Associazione italiana dei registri tumori (AIRTUM) ne ha garantito la valutazione sulla base degli indicatori di performance dimostrandone l’oggettivo valore epidemiologico e di clinical governance.
La progressiva aziendalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, partita in quegli stessi anni, si è tradotta in logiche proprietarie per cui nelle nomine dei Direttori Generali e di Struttura non si risponde più solamente a criteri tecnici, ma anche politici: questo porta spesso a non considerare soltanto il principio di competenza, ma quello di obbedienza. Può accadere che il secondo criterio prevalga sul primo e che si creino logiche più centrate sul potere che sul puro interesse per il progresso medico-scientifico. In questo clima si colloca anche il variare del modello di riferimento per l’indagine epidemiologica dei determinanti di salute, cioè di tutti quei fattori che influenzano lo stato di salute e il rischio di contrarre una malattia da parte di un singolo soggetto e della collettività in generale (compreso il rischio oncologico). L’epidemiologia tradizionalmente intesa non indagava soltanto l’influenza dei determinanti prossimali, cioè di tutti quei fattori correlati direttamente all’individuo, sia immodificabili come sesso ed età, sia modificabili come comportamenti e stili di vita, bensì considerava fondamentale l’indagine sui cosiddetti determinanti distali. I determinanti distali di salute comprendono il contesto ambientale, sociale, economico, produttivo, educativo in cui l’individuo vive e sono i fattori che determinano maggiormente le disuguaglianze in termini di salute tra un’area o una popolazione e un’altra. Spostare il baricentro sui determinanti prossimali determina da un lato la responsabilizzazione individuale nella gestione del rischio, ma tende a depenalizzare i soggetti responsabili dei determinanti distali, quindi di fatto il contesto politico e le scelte e gli interventi in ambito preventivo e sanitario in senso più esteso. Il Registro si è discostato dalla nuova linea di indirizzo e ha continuato l’indagine su entrambi i tipi di determinante, elaborando, a titolo di esempio, sistemi di georeferenziazione per indagare il grado di correlazione tra determinati insediamenti produttivi e incidenza di specifiche tipologie di tumori. Le potenzialità di queste indagini non sono state colte, ma hanno portato invece a un taglio dei fondi, che sono stati fatti dalla precedente Giunta di Centro-sinistra. È difficile stabilire quanto gli interessi politici privatistici, fino ad arrivare agli schietti personalismi del recente passato, abbiano giocato sulla progressiva perdita d’importanza del Registro e della gestione pubblica e neutrale dell’analisi epidemiologica. Certo è che è venuto a mancare, nel tempo, il rapporto fiduciario che lega l’opinione pubblica alla medicina preventiva in campo sanitario. Nelle scelte politiche sulla salute, la prevenzione viene sempre più percepita come fattore subordinato all’economia e alla produzione e la popolazione umbra, così legata al proprio contesto territoriale, non fa di certo eccezione: lo dimostra la nascita diffusa di associazioni cittadine ambientaliste che cercano autonomamente risposte agli interrogativi di salute, non fidandosi più di quelle istituzionali. La scelta, che sembrerebbe ormai definitiva, di togliere il Registro dalle mani dell’Università in favore di un soggetto terzo, di natura privata, rischia di esacerbare ulteriormente un rapporto già compromesso e la credibilità dell’intero sistema. Soprattutto se la scelta dovesse ricadere su qualcuno che, al di là delle specifiche competenze, abbia un legame partitico evidente. L’Università ha, peraltro, subito un indebolimento sostanziale che la rende vulnerabile in questo gioco delle parti: il fatto che non esista più un Dipartimento d'Igiene, diventato sezione del Dipartimento di Medicina Sperimentale, è già indicativo di un quadro decisamente mutato.
Lo scenario che viene a delinearsi evidenzia perciò un problema più complesso della sola sopravvivenza del Registro, perché abbraccia l’intera concezione della sanità, soprattutto in campo preventivo, sacrificandola a una logica partitica che sottrae a questo settore la sua funzione di tutela universale, imparziale, garantita, al riparo da interessi, sospetti e conflitti d’interesse.
«La Medicina è una scienza sociale e la Politica altro non è che la Medicina su larga scala». (Rudolf Virchow, patologo, antropologo e politico tedesco). ◘
Di Chiara Mearelli