Editoriale. Willy, Maria Paola e don Roberto
Il filo comune che lega le morti di Willy, Maria Paola e don Roberto è la diversità. Diversità uccise da altre diversità: quella dei bulli di Colleferro allevati alla scuola delle arti marziali, coltivate per riempire vuoti esistenziali, nuove carte di identità di territori dove le regole sono state abolite. Diversità è anche quella del fratello di Maria Paola la cui famiglia non tollerava il suo fidanzamento con un ragazzo transessuale: diversità nelle diversità che si rincorrono in un territorio, quello di Caivano, che lo Stato ha letteralmente abbandonato alla criminalità. Terra di nessuno dove abbondano droga, prostituzione ed esercizio della violenza allo stato puro. Così come diverso era il tunisino, che avrebbe dovuto essere rimpatriato e che invece per protesta ha scaricato la sua violenza su chi lo ha aiutato e protetto. Questa diversità è quella più insopportabile, perché colpisce proprio chi si è fatto più prossimo all’escluso. Così sono stati uccisi Charles de Foucauld, Roger Schutz, Gandhi, Romero, come don Roberto e tutti coloro che scelgono di identificarsi con gli ultimi. Chi è in prima linea sulla frontiera della Carità sa che può essere il bersaglio più facile per tutti. Vittime due volte: “uccisi” simbolicamente dallo stesso pregiudizio che colpisce i diversi per i quali vivono e lavorano, uccisi fisicamente da chi non è riuscito a liberarsi dalla propria condizione di escluso. La Carità quando si fa dono comporta sempre una dose di rischio, cosa che lo Stato non potrà mai correre, perché il suo Statuto si fonda sulla legge, sulle regole, sulla carta dei diritti e dei doveri. Lo Stato guarda la persona, la carità guarda l'essere umano. Si tratta di una dialettica ineliminabile e necessaria, che deve essere sempre tenuta presente.
Ma in tutti questi casi colpisce l’assenza, non la presenza. Qui le vittime sono abbandonate a se stesse, alla mercé di chiunque. Willy è poco più che un ragazzino, gracile, cresciuto alla scuola della precarietà della vita, come tutta la comunità capoverdiana a cui appartiene, che ha lavorato duramente per farsi accettare in terra straniera. Provenendo da questa scuola capisce che la violenza non paga e lui, vittima, prendendo la parte di un coetaneo aggredito, col suo gesto riscatta tutte le vittime divenute tali per pregiudizio o abbandono. Paradossalmente riscatta anche i suoi aggressori, anche loro vittime di un sistema e di uno Stato assenti, abbandonati alla nullificazione nei territori della noia, del non senso che si trasforma in odio e violenza, gli unici sentimenti che hanno cittadinanza, surrogando il senso della vita laddove vita non c’è. Anche Maria Paola vuol liberarsi dal pregiudizio della diversità. Nella sua esperienza vive una relazione liberatrice; a lei non importa della diversità del compagno, anzi vuole, assieme a lui, emanciparsi dalle regole opprimenti della famiglia che, a sua volta, le ha mutuate da un ambiente privo di risorse, dove l’assenza della scuola, della cultura e del lavoro sono il terreno su cui cresce il risentimento. E le vittime sono i bersagli preferiti di questo meccanismo escludente, come accade in tutte le periferie del mondo, dalle banlieue parigine agli slum di Minnenapolis, di cui la cronaca dà quotidianamente conto. Luoghi di nessuno, anzi, non luoghi, abitati da persone non riconosciute come soggetti portatori di diritti, zombie che non hanno altro modo di farsi percepire che la violenza.
Don Roberto ha scelto di essere dallo loro parte, uno che ha accettato di identificarsi con gli ultimi. Per questo la sua morte ha provocato molti pianti, ma pochi rimpianti. Tutti coloro che scelgono questa strada sono considerati “sovversivi”, persone da prendersi con le molle, perché anche la Carità "ha le sue regole", affermano i custodi di una certa morale caritativa cattolica: si possono aiutare i poveri, ma con judicio, ossia mantenendo le proprie prerogative e distinzioni. Per don Roberto l’unica cosa che conta è l’umanità, regola non scritta nei codici delle leggi, ma nel cuore dell'Uomo: viene prima. La Carità non ha altra regola che la Carità stessa: non può essere sottoposta a condizioni, è libera, è dono gratuito di sé. Le regole le dà lo Stato, la Carità va oltre. È questo andare oltre la vera fonte della paura, perché rompe gli schemi del calcolo e delle convenienze, dei privilegi e delle garanzie, delle abitudini e delle regole. Anche per le vittime. Sul terreno della Carità niente è garantito. Negare questo aspetto del dono senza ritorno e senza condizioni, cose che invece pretende lo Stato, significa entrare nel terreno dell’indifferenza che è quello oggi imperante e ripetutamente condannato da papa Francesco. ◘
Antonio Guerrini