Scuola. Cura dei territori, cura delle relazioni, cura dei contesti educativi devono diventare gli orizzonti del cambiamento
Quando sarà diminuita l’attenzione su questa difficile riapertura della scuola dovremo cominciare a riflettere a fondo su quale istruzione, educazione, scienza e cultura possano aiutarci ad affrontare con intelligenza e lungimiranza la pandemia ancora in corso e i problemi futuri.
Nell’ottobre 1957, quando i sovietici varcarono per primi i confini dell’atmosfera terrestre inviando lo Sputnik nello spazio, negli Stati Uniti lo sconcerto fu enorme. Per reagire allo shock di quella sconfitta scientifica e tecnologica che aveva importanti conseguenze militari, si ritenne necessario ripensare l’intero sistema di istruzione. Se si era rimasti così indietro, infatti, bisognava ristrutturare metodi e contenuti, fin dalla scuola primaria. Così, con pragmatismo anglosassone, furono riunite le migliori menti in campo scientifico, educativo e psicologico per ragionare su cosa si potesse apprendere efficacemente nelle diverse età, e come farlo. A coordinare quel vasto progetto di riforma statunitense fu chiamato Jerome Bruner, che ha segnato la pedagogia del secondo Novecento inaugurando i curricoli, croce e delizia di ogni progettazione didattica.
Ho ricordato questo episodio perché, in quel caso, la reazione a una sconfitta inaugurò una fruttuosa stagione di ricerca e innovazione educativa di cui tutti abbiamo goduto.
La necessità di cambiare paradigma
Di fronte al diffondersi della pandemia e all’inarrestabile riscaldamento globale, il rischio è che oggi le sconfitte siano ben più gravi di quella che offese l’orgoglio della prima potenza mondiale. Ciononostante, siamo ben lontani dall’assumere scelte di ricerca e istruzione all’altezza delle sfide che abbiamo davanti.
Eppure, per la prima volta da quando il capitalismo e la finanza sono penetrati in ogni angolo del pianeta, in quasi tutti i Paesi il primato indiscusso dell’economia ha dovuto cedere il passo, anche se per breve tempo, alla difesa della salute pubblica, che in tanti vorrebbero rapidamente dimenticare e rimuovere. È stato un avvertimento che ha sovvertito molte certezze ritenute inattaccabili e che potrebbe aprire uno spiraglio a idee coraggiose, lungimiranti e del tutto inedite, se non lo richiudiamo in tutta fretta.
Dobbiamo cambiare paradigma e questa azione non può non riguardare la scuola, la formazione e la ricerca. Non è semplice, sia perché possiamo contare solo su forze frammentate, sia perché chi non vuole rovesciare il dogma economico fondato su certezze e privilegi è ben piazzato ai vertici della società.
Ma il tema di quale cultura e quale educazione possano aiutarci nelle sfide dei prossimi decenni è urgente ed è stato sollevato con forza e lucidità in tutto il mondo da Greta Thunberg e dai giovani di Fridays for future.
Per dare vita a una conversione ecologica sempre più necessaria – dal punto di vista sia agricolo sia industriale, ma che deve riguardare anche il nostro modo di abitare le città, viaggiare e consumare – bisogna cominciare a pensare in altro modo e stabilire nuove scale di priorità.
Lo sconcerto e le tante incertezze che ci hanno colto devono esserci di insegnamento perché siamo tutti di fronte a domande legittime, a cui nessuno sa dare risposte certe. Si tratta di una straordinaria lezione di umiltà, che dovrebbe portarci a guardare al futuro provando ad abbandonare ogni strada già tracciata.
E allora, per far sì che le scuole restino aperte, non dobbiamo solo usare le giuste precauzioni per arginare la diffusione del virus, ma immaginare nuovi scenari ed evitare che noi insegnanti ci si chiuda come ricci in noi stessi, aspettando che passi la nottata.
Tre curricoli
Questo è il momento di osare e pensare in grande, coinvolgendo in prima persona bambine e bambini, ragazze e ragazzi. Bisogna ricercare e raccogliere tutti gli elementi utili a individuare le trasformazioni necessarie per prestare davvero attenzione alla salute di tutti e inaugurare un decennio dedicato alla cura.
Cura dei territori che abitiamo, con la coscienza che la Terra è una sola, che ogni cosa è interconnessa e che nessun confine ci può proteggere da quello che accade negli altri continenti. Cura delle relazioni, alla ricerca di un’arte del convivere all’altezza delle sfide poste dalle nuove migrazioni e dagli spostamenti massicci di persone, inevitabili nei prossimi decenni. Cura dei contesti educativi, perché a tutti sia data la possibilità di acquisire le conoscenze necessarie a operare scelte complesse e difficili, in grado di mettere in gioco consuetudini consolidate...
E poiché anche noi partecipiamo attivamente a questa spirale distruttiva, l’impresa del cambiare radicalmente il punto di vista non è per nulla facile.
Per questo penso che dovremmo attraversare con intelligenza questa crisi senza rimuoverne le cause più profonde e lontane, elaborando nuovi curricoli.
Curricoli della lungimiranza, capaci di azzardare nuove connessioni tra lo studio di arte, scienza e storia, e le domande dell’oggi, imparando ad arricchire la lettura del presente con il necessario aiuto di tanta matematica e statistica.
Curricoli dell’incertezza, capaci di portare nella ricerca e nello studio il paradigma della complessità, come da decenni auspica l’approccio ecologico e sistemico alla conoscenza.
Curricoli del rammendo per cercare di affrontare e ricucire le troppe discriminazioni e lacerazioni, una cosa possibile solo se impariamo a costruire relazioni tenendo presente diversi punti di vista e dando dignità alla presenza di ciascuno.
Una nuova educazione civica
Un appiglio interessante per cominciare l’impegnativa opera di revisione delle priorità la offre la nuova educazione civica, introdotta da una legge pasticciata votata nel 2019, che ha tuttavia il pregio di porre all’attenzione dei docenti una grande quantità di ambiti da trattare, auspicando necessari incroci interdisciplinari.
Prevede infatti lo studio della Costituzione e delle istituzioni nazionali e internazionali; l’approfondimento dei temi dell’agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile; l’educazione alla legalità, al rispetto e al patrimonio culturale; la promozione dell’educazione stradale e del volontariato; un’attenzione particolare alla cittadinanza digitale “per sviluppare le capacità di avvalersi consapevolmente e responsabilmente dei mezzi di comunicazione virtuale”.
Il mondo intero, insomma, da trattare in 33 ore all’anno. Ora, poiché è evidente che una mole così vasta di nodi concettuali e problemi non può essere confinata nell’ora settimanale prevista in ogni ordine di scuola, per prendere sul serio questa “provocazione legislativa” dobbiamo immaginare momenti del tutto inediti di cooperazione educativa tra docenti.
Al momento solo nella scuola primaria sono previste due ore alla settimana di programmazione per calibrare, confrontare e mettere a punto le proposte didattiche dei diversi insegnanti. Mentre nelle medie e nelle superiori i docenti si incontrano solo durante i consigli di classe, dedicati prevalentemente alla valutazione degli alunni. Sarebbe interessante mettere in discussione questo aspetto dell’organizzazione del lavoro, superato dalle stesse indicazioni nazionali per il curricolo, diventate legge nel 2012.
Bisognerebbe immaginare collaborazioni in grado di mettere a confronto le competenze disciplinari dei singoli docenti per nutrire conoscenze nuove e indispensabili, tutte da costruire. Tenendo conto che l’educazione civica è come un Giano bifronte. Se da una parte richiede la conoscenza delle leggi e della Costituzione, dall’altra non può che inverarsi in una pratica concreta e quotidiana di democrazia, fondata sul dialogo, l’ascolto reciproco e la capacità di fare delle mediazioni.
Dobbiamo tutti convincerci che la scuola deve essere un luogo di costruzione culturale e non di pura trasmissione di conoscenze, e che mai come oggi nessun insegnante può trincerarsi dietro alla sua disciplina perché la sfida è quella del fare scuola e, insieme, fare la scuola.
Alla fine del secolo scorso, ormai anziano, Jerome Bruner criticò alcune rigidità degli anni Sessanta nell’elaborazione dei curricoli, scrivendo saggi di grande interesse sulla narrazione come struttura connettiva di ogni scienza e conoscenza. Definì il curricolo, in questa nuova prospettiva, come una “conversazione animata”. Ed è di questo che oggi ha estremo bisogno la scuola, che tra l’altro chiede di non risparmiarci. ◘
Franco Lorenzoni