Libri. Mario Angeloni
La vicenda umana e politica di Mario Angeloni è di un’intensità come poche altre: repubblicano in tempo di monarchia, eroe della Grande Guerra, massone, antifascista della prima ora, perseguitato dal fascismo, al confino a Lipari, Ustica e Ponza, carcerato, esule in Francia, segretario nazionale del Partito Repubblicano, morto combattendo per la Repubblica nella guerra civile spagnola, sposato con Giaele Franchini che ha condotto la sua stessa vita, condividendone gli ideali.
Eppure, nonostante una vita affascinante, dopo la morte è stato presto dimenticato; persino nella sua città per la maggior parte dei perugini non è che un lungo viale ingolfato dal traffico. Anche se su di lui sono usciti opuscoli: è ricordato in Due secoli di massoneria in Umbria di Vittor Ugo Bistoni; sono stati organizzati due convegni (dell’ultimo la principale anima è stata Serena Innamorati) dai quali sono nati due volumi; la moglie Giaele gli ha dedicato il commovente Nel ricordo di Mario. Ha beneficiato pure del culto di alcuni perugini come Paolo Mazzerioli, che è andato a Cesena dalla moglie Giaele, la quale ha organizzato un convegno su di lui, ha fatto coniare una medaglia, ha fatto sistemare la tomba degli Angeloni, ha invitato a Perugia Giuliano Vassalli a parlare di zio Mario e zia Giaele, ha incontrato Randolfo Pacciardi che definì Giaele “la cortigiana di Nenni”, a riprova che dopo decenni le tossine nate durante la guerra civile spagnola non erano ancora state espulse.
Che Mario Angeloni viva nel ricordo di pochi non deve meravigliare, perché quando la vita ti conduce tra una guerra mondiale, il confino, la cospirazione, l’esilio e una guerra civile, non si lasciano scritti, e se si muore si rimane solo nella memoria di alcune persone, che con il passare del tempo svanisce nel nulla.
Ha fatto bene Luca Gatti in Trentasei (edito da Bertoni) a scegliere la strada del romanzo storico per ricostruire la vita di Angeloni, del quale basta scorrere i titoli dei capitoli Mario, Perugia, Crisi agraria, Giaele, Milano, Parigi... per intuire che narrazione dopo narrazione ci si concentrerà su una persona, un fatto, un luogo. Una scelta felice, come felice è l’idea che l’io narrante sia Bixio, personaggio di fantasia, che raccontando una storia d’amicizia, coglie il clima del tempo, facendo intuire cosa significasse essere repubblicani nell’Italia monarchica, cos’ha voluto dire per gli italiani il periodo successivo alla Prima guerra mondiale, com’era la vita degli antifascisti durante la cospirazione, fino a “quel marzo del 1936”. Lo fa con uno stile pulito, senza farsi prendere dalla retorica, riuscendo a controllare l’empatia che prova verso Mario. È un volo radente sugli ideali di questi amici, i loro amori, i bar di corso Vannucci, i postriboli, le scazzottate, e su Perugia e le altre città italiane ed europee nelle quali si svolge la storia di Mario Angeloni. Azzeccata è anche l’idea di terminare la narrazione con l’inizio della guerra civile spagnola: «una notizia che scosse dal torpore tutto l’antifascismo europeo, e tra questi non poteva non esserci Mario», scrive Luca avviandosi alla fine del suo romanzo. Un libro che non può non far riflettere sui tempi nei quali ci è dato vivere con i populismi nascenti; sull’abisso verso il quale si può precipitare quando sempre più profonda è la distanza tra i più ricchi e i più poveri; su quanto sia duro e doloroso uscire dall’oscurità nella quale queste situazioni fanno piombare.
Trentasei termina nel marzo del 1936, ma la vicenda di Mario e Giaele continuò a Barcellona da dove Carlo Rosselli, commissario politico della "Colonna internazionale", invitò i “fratelli, compagni italiani” ad andare a combattere in Spagna, lanciando il proclama “oggi qui, domani in Italia”. Pochi giorni dopo Mario Angeloni, comandante militare, morì combattendo sul “Monte Pelato”. Nel breve lasso di tempo tra la frase di Rosselli e la morte di Mario finisce la cospirazione antifascista e inizia la Resistenza.
E Giaele? Rimase a fianco della Repubblica fino all’ultimo quando i suoi nuovi compagni socialisti, tra i quali Nenni, le dissero che non si poteva più restare. Tornò in Francia, poi andò a Marsiglia a caccia di un transito per espatriare in Messico, che dava la cittadinanza a chi aveva combattuto per la Repubblica spagnola. Dal Messico andò a New York e da lì tornò a Roma liberata collaborando alla Direzione nazionale del Partito Socialista Italiano. ◘
Di Vanni Capoccia