Martedì, 10 Dicembre 2024

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Dio, uomo e cosmo

DOSSIER:  Raimon Panikkar: un pensatore profetico

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Non dimenticherò mai l’ultima volta che vidi Raimon, il mio Maestro più caro, poche settimane prima della sua morte, nella sua casa del “piccolo Tibet” di Tavertet, nei Pirenei spagnoli, i “monti di fuoco”, come di fuoco era il suo insegnamento.

Stava ritto sulla porta d’ingresso, sorretto da Carmen, la sua amorevole governante, e ci salutò, me e Achille, con quello straordinario sorriso in cui si rispecchiava tutta la figura del “mite filosofo dell’Amore”, dell’Amore universale, e cioè cosmoteandrico. E proprio l’intuizione cosmoteandrica è il cuore del suo insegnamento: la relazione, cioè, costitutiva e irriducibile della dimensione divina con quella umana e quella cosmica, di Dio Uomo e Cosmo, che caratterizza la Realtà, in ogni sua parte, dal filo d’erba alle stelle, a Dio. La Trinità radicale insomma, che rappresenta la più alta intuizione su Dio e al tempo stesso l’orizzonte più fecondo e denso di futuro della teologia e della filosofia contemporanee. Direi meglio, una via obbligata per qualsiasi “considerazione” (cum sidera, pensare con le stelle) su Dio e il suo “destino”. Un pensiero profetico e per noi irrinunciabile, che ci dice che l’uomo non si realizza, non incontra se stesso, non cresce in sintonia con una Realtà che proprio per essere reale è libera, se non incontra in sé e fuori di sé il divino e il cosmico, che costituiscono in definitiva la sua vocazione e la sua vera natura. Da qui la sua esortazione a fare pace con la Terra, con la Natura e con l’Universo, affermazione che acquista oggi – con l’esperienza della pandemia, che ci ha fatto perdere il mondo – un valore di immensa attualità. Questo, innanzitutto, significa che non esiste una realtà a noi esterna, già data e fissata, che (da Cartesio in poi, passando per Kant, ma già prima con Parmenide) possiamo conoscere con l’“ermeneutica del cacciatore”, come Raimon ironicamente definiva l’attività conoscitiva, che con il pensiero presume di catturare la realtà, divenendone il padre-padrone (Cartesio lo enunciava esplicitamente). È vero l’esatto contrario – come non si stancava di ripetere Panikkar – in quanto noi siamo parte costitutiva della realtà, come dimostra da ultimo anche la fisica quantistica, da Heisenberg in poi. E dunque l’ermeneutica non può essere che “partecipativa”, secondo quel dinamismo di “conoscenza e amore” sviluppato in particolare dall’induismo, in specie nella Baktimarga.

Ne discende che la scienza e la sua applicazione tecnologica dovrebbero riacquistare quella dimensione sapienziale che fino a Galilei e a Cartesio custodiva e guariva l’umano, invece di aggredirlo fino a mutarlo in quell’ibrido - il cyborg - che sta dolorosamente prendendo forma. Occorre cioè cambiare radicalmente la direzione autodistruttiva presa dalla cosiddetta civiltà tecnoscientifica (e che letteralmente ci aliena) e rifare, come diceva questo “profeta del dopodomani”, la nostra esperienza terrestre!

Ora, questa medesima prospettiva, quasi del tutto ignorata dalla cultura contemporanea, è stata invece ripresa da papa Francesco, che nella Laudato si’ imputa al paradigma tecnocratico la distruzione della Natura e il drammatico impoverimento dei due terzi dell’umanità. Nell’Enciclica, il papa latino-americano parla esplicitamente della Trinità che è presente in ogni parte del Creato, evocando la Trinità radicale di Panikkar. Tutto è vivo, scrive Francesco, tutto si tocca e convive in una unica Famiglia universale. E come con il pensiero di Panikkar, così anche di fronte a questa Enciclica rivoluzionaria il mondo culturale (anche ecclesiastico) è rimasto inerte e afasico, nonostante due intellettuali non credenti, della caratura di Edgar Morin e di Zygmunt Bauman, l’abbiamo definita “il primo passo di una nuova civiltà”. E che questa sia la giusta direzione da intraprendere, lo dimostra da ultimo lo stesso pensiero scientifico più avanzato. È di questi giorni la pubblicazione di un importante libro del fisico quantistico Carlo Rovelli, in cui si afferma che: «La realtà è un po' meno reale di quanto ci appare, avendo la fisica quantistica distrutto l’immagine della realtà fatta di particelle che si muovono lungo traiettorie definite (...) dove la materia nel suo insieme è rimpiazzata da fantasmatiche onde di probabilità». Insomma – osserva lo scienziato – si tratta di una «realtà più sottile di quella del materialismo semplicistico delle particelle nello spazio. Una realtà fatta di relazioni, prima che di oggetti».

Ebbene, tutto questo Panikkar lo aveva affermato già a partire dagli anni Settanta, in un contesto ben più ampio e strutturato (si veda il mio Raimon Panikkar - Profeta del dopodomani, ed. San Paolo, in specie alle pp. 73-102), giungendovi alla fine di un lungo percorso in cui aveva fatto dialogare in profondità le antiche sapienze dell’Oriente e dell’Occidente, in particolare il buddhismo, l’induismo e il cristianesimo. Facendo genialmente interagire i linguaggi simbolici, nella cornice aperta di una comprensione che integra il sapere razionale del Logos in quello superiore del Mythos, con un approccio che armonizza conoscenza e amore. Da notare che lo stesso Rovelli, in un altro intervento, ha riconosciuto come la visione scientifica abbia una straordinaria assonanza con la visionarietà della poesia.

E così, mentre Panikkar rimane profeta inascoltato (e colpevolmente quasi sconosciuto), continua con cadenza quotidiana lo sterile lamento di filosofi e intellettuali che in vario modo ripetono quanto Heidegger scriveva già nel 1929: «Non abitiamo più la Terra, abitiamo la tecnica, che ci domina». Eppure, da più di mezzo secolo, Panikkar ha indicato la soluzione a questa cruciale questione in un radicale cambiamento di visione, in cui consiste l’intuizione cosmoteandrica, capace di far tornare la tecnoscienza nell’alveo dell’umano e di una più generale cura della Vita, come suo strumento di crescita e non come sua coercizione e distruzione.

La verità è che abbiamo ereditato dalla filosofia e dalla scienza dell’8-900 un mondo assurdo, dove la realtà appare come massa inerte, un magazzino cui infinitamente attingere, e dove fra tutte le specie solo noi saremmo dotati di coscienza e di anima. Ma sta germogliando, per fortuna, una sensibilità nuova, anche grazie al profetico pontificato di Francesco, che per tanti versi si conferma papa panikkariano (Bergoglio conobbe di persona Raimon in Spagna e ne ebbe una grande impressione). Tutto panikkariano è, ad esempio, il magistero di Francesco sul dialogo (usa perfino le stesse espressioni), e profondamente panikkariana è l’ispirazione della Laudato si', che evoca persino la Trinità radicale (paragrafi 239-240) e afferma che tutto è una sola Famiglia universale (n. 89). Anche la nuova Enciclica Fratelli tutti sulla Fraternità universale (che sarà firmata non a caso ad Assisi la sera del 3 ottobre, vigilia della festa di san Francesco), non solo riprenderà la forte Dichiarazione di Abu Dhabi, ma in linea con la Laudato si', svilupperà il tema della fratellanza cosmica con tutti i viventi, anche in risposta alla drammatica sfida della Pandemia. Per tutta l’estate, nelle sue solitarie udienze generali sul tema di “Guarire il mondo”, Francesco ha sviluppato una riflessione potente – come una sorta di architettura di pensiero spirituale politico sociale ed ecologico – su come debba essere il mondo del post-coronavirus; riflessione fondata, appunto, sulla nuova visione di una fraternità che abbracci, custodisca e rispetti, tutti i viventi, a partire dagli ultimi e dagli scartati, sia gli umani: il numero dei poveri cresce drammaticamente in un mondo sempre più disuguale; sia le creature vegetali e animali, anch’esse spaventosamente falcidiate. Si calcola che negli ultimi cinquant’anni sia scomparso il 60% di esse. In un mondo che segue una direzione ostinatamente contraria alla sua vocazione, e non a caso sempre più triste, pericoloso e impaurito, quando penso al caro Maestro indo-spagnolo mi illumino e riprendo coraggio, perchè nel suo straordinario insegnamento Raimon Panikkar si pone (o meglio si porrebbe) come la guida ideale nel passaggio delicatissimo che dovrebbe portarci dal non più sostenibile Antropocene (divenuto ormai biocidio e antropocidio) alla nuova era dell’Ecozoico, dove con “eco” noi, panikkarianamente, intendiamo ben più dell’ecologico: l’ecosofico. Parola coniata da questo stupefacente Maestro della parola, per dire che la “casa” dei viventi è essa stessa viva e possiede la sua propria saggezza e la sua anima: l’anima mundi. ◘

Di Raffaele Luise


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