La grande periferia tifenate

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Dalla Madonna del Latte alle Graticole

Eccola qua la nuova periferia settentrionale di Città di Castello. Scende giù dal colle di Montedoro e dal Camposanto, per estendersi fino alla Madonna del Latte, alla Tina, al Salaiolo e alle Graticole. La cingono, verso il centro urbano, il Gorgone e il Fiorentino e la solcano due torrenti del Tevere, il Cavaglione e la Scatorbia, termine solitamente usato al femminile. Sono questi i toponimi tradizionali della zona, che ancor oggi resistono all’incedere della modernità.

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Fino a poco dopo la seconda guerra mondiale, se si eccettua il piccolo sobborgo del Gorgone, era tutta campagna, attraversata dalla strada per Belvedere. Le foto che pubblichiamo a corredo dell’articolo, con le date in cui furono scattate, documentano con chiarezza sia il territorio rurale “mangiato” dalla periferia, sia l’epoca in cui si è costruito.

Gran parte dei tifernati vive in questi quartieri periferici. Chi ha dai 60 anni in su ricorda vividamente come si è formato questo “insieme” urbano, come si è progressivamente arricchito di nuovi insediamenti; e come il lievitare della periferia abbia portato con sé, oltre a qualche pregio, pure diversi problemi talvolta, purtroppo, molto ingarbugliati.

Partiamo dalla zona tra la Tina e il “Polacchino”. Bello, questo nuovo toponimo. Il lungo viale omonimo ricorda un giovane polacco aggregatosi alla banda partigiana di Montebello, quella dei tifernati della Brigata San Faustino. Morì in combattimento contro i tedeschi. Si chiamava Enrico e parlava poco l’italiano. Per i compagni di lotta era semplicemente il “Polacchino”: ora porta il suo nome l’asse fondamentale del quartiere.

Un quartiere sul cui destino si battagliò molto, da un punto di vista politico e amministrativo, tra la fine degli anni ’60 e la metà dei ’70 del secolo scorso. L’esito di quello scontro tra visioni divergenti di sviluppo urbanistico, sotto l’asfissiante – e inquinante – pressione di interessi privati, è quello che abbiamo sotto gli occhi. La parte più “vecchia” – tra via della Tina, via Ferrer e vie limitrofe – non è proprio un granché: strade contorte e strette (con conseguenti inconvenienti di traffico e parcheggi), accozzaglia di villette residenziali e di edilizia popolare, spazi verdi ridotti all’osso, una scuola media soffocata dagli edifici circostanti. La zona nuova – tra il “Polacchino” e i viali Moncenisio, Sempione e adiacenti – più ariosa e ordinata, con ampie aree verdi, la chiesa parrocchiale ed edifici scolastici non strangolati dal cemento. Con il tempo, poi, il quartiere ha visto sorgere alle sue estremità diverse strutture sportive. L’estetica degli edifici è nel complesso assai modesta, ma questo è un problema di tutte le periferie italiane.

Al di là dell’asse Viale Moncenisio - Viale Alfonsine si estende l’adiacente area periferica del Salaiolo e delle Graticole. Anch’essa si è sviluppata in varie fasi e alterna zone residenziali di recente urbanizzazione ad altre dove il radicamento sociale è più datato. L’esistenza di diverse “macchie” sul piano urbanistico rende più difficile anche l’amalgama comunitario.

Un po’ per questi problemi, un po’ per l’ineluttabile cambiamento degli stili di vita, non è che alle Graticole e intorno al “Polacchino” ci sia grande vita sociale. Mancano punti di incontro, manca una “piazza”. Inoltre, se si eccettua Viale Moncenisio, mancano punti di commercio e di intrattenimento; per chi ha un negozio o un caffè oltre il viale è dura sopravvivere. Le due chiese hanno, fisicamente, una posizione centrale nei due quartieri. Ma, lo si sa, molta meno gente va in parrocchia rispetto a prima. Restano comunque punto di riferimento per gruppi di giovani che non si vedono offerte dalla società laica altre occasioni di incontro che non siano i bar o le sedi sportive.

In tale scenario, il centro storico resta un punto di riferimento essenziale per persone di ogni generazione. Ma devono andarci in macchina o in autobus. Pesa la completa assenza di un percorso ciclo-pedonale che colleghi questa ampia zona periferica al centro, nemmeno tanto distante. I punti di accesso sono essenzialmente tre: 1) Via Ferrer, addirittura senza un marciapiede, e il cavalcavia di Viale De Cesare; 2) il sottopassaggio ferroviario di Viale Moncenisio (stretto e pericolosissimo per i ciclisti, oltre che con pendenze da giro d’Italia); 3) per chi viene dalle Graticole, il sottopassaggio ferroviario di Via Pieve delle Rose e lo sbocco nella strada statale, con un tratto senza nemmeno il marciapiede!

L’insediamento periferico della Madonna del Latte (dal nome dell’edicola religiosa ancora posta al bordo della rotonda di ingresso al quartiere) ha un analogo problema di accesso al centro storico. Bisogna per forza percorrere il transitatissimo Viale Aldo Bologni – con marciapiedi ora fatiscenti, ora occupati da vetture in sosta – e superare il pericoloso cavalcavia di Viale De Cesare. Non proprio l’ideale per i pedoni; da sconsigliare per chi va in bici. Insomma, come succede anche per il quartiere Montedoro, il centro storico è malamente accessibile per via ciclo-pedonale. Solenne smacco per una cittadina che pure ambirebbe a qualificarsi “europea”, con tutti gli aggettivi di “green” e “smart” che l’essere davvero europei implicherebbe.

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Preso in se stesso, il quartiere “Madonna del Latte” non è poi così male. Qualcuno lo chiama pure “la 167”, dal nome della legge urbanistica del 1962 le cui disposizioni furono seguite per la sua edificazione. Non manca certo il verde, in una zona del resto a ridosso della campagna tra Belvedere e Fontecchio. Né la circolazione è costipata. Inoltre vi hanno trovato una acconcia sistemazione sia villette residenziali, sia case popolari, sia le “stecche” dei complessi di appartamenti costruiti in cooperativa. Talvolta l’estetica lascia a desiderare, ma – lo si è detto – è un problema ovunque. Il centro commerciale, la chiesa, il distretto sanitario e la sede rionale formano un insieme che potrebbe favorire la socializzazione. Poco più a monte, degrada verso la Scatorbia l’ampia area degli orti sociali comunali intitolata a Gualtiero Angelini.

Presa nel suo insieme, questa periferia non soffre di seri problemi sociali. Non vi sono zone di degrado, né di emarginazione. Ogni tanto incombe minaccioso lo spettro dei furti negli appartamenti da parte di malviventi forestieri, ma si tratta di una preoccupazione che riguarda l’intero territorio. Insomma, si vive abbastanza tranquilli. Con il rischio di accontentarsi di quello che si ha, anche se è di mediocre qualità.

Infatti, quello che stupisce è la totale mancanza di discussione e di approfondimento delle problematiche urbanistiche e sociali. Vero è che non ci sono situazioni drammatiche da affrontare; ma è altrettanto vero che la vivibilità dei quartieri potrebbe migliorare e di molto, se solo ci fossero al riguardo idee chiare e condivise. Invece niente. La “morte” della politica e della partecipazione la si vede anche in questo. Un tempo i partiti svolgevano un ruolo importante nei quartieri; il glorioso PCI vi aveva pure delle sedi. Un tempo esistevano i consigli di quartiere e di frazione, ricordate? Un tempo i partiti avevano pure dei battaglieri consiglieri comunali che, come si soleva dire, “si facevano interpreti delle istanze del territorio”. Un tempo… Ora non restano che le società rionali, talora prospere e attive, che però per loro natura si dedicano quasi esclusivamente agli eventi che aggregano, e in qualche modo “divertono”, la comunità: i veglioni, le sagre, le gare sportive. Un’attività certamente encomiabile, perché cerca di rivitalizzare i quartieri e di dar loro una identità; ma che non riesce a mettere al centro dell’attenzione le questioni più importanti che riguardano i residenti. ◘

 

di Alvaro Tacchini