Domenica, 08 Dicembre 2024

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I 500anni del Bartoccio

Società/Cultura. Bartoccio, la maschera carnevalesca perugina

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Il personaggio di Bartoccio è una figura minore ma persistente nella Commedia dell’arte, che nasce nel 1521 nell’ambito delle “rusticali” senesi, viene conosciuto a Roma con la diffusione delle stesse “rusticali”, quindi viene utilizzato come “villano” dai comici dell’arte e dai comici dilettanti, e come tale si incontra con il tipo del Perugino: la sintesi è operata da Francesco Maria Frollieri, giudice perugino che viveva e faceva teatro a Roma, e la figura del Bartoccio villano perugino, da Roma, torna a diffondersi prima tra i letterati perugini, come Francesco Stangolini, e quindi tra il popolo e in particolare nell’area del piano del Tevere, dando vita alle "bartocciate" prima anonime e manoscritte e poi anche pubblicate.

La figura non rimane perciò confinata nel tempo e sulla scena del teatro, come è avvenuto per tante maschere minori della Commedia dell’arte, ma trova una sua collocazione geografica (Perugia e la Piana del Tevere) e temporale (il carnevale), che le consente di attraversare i secoli e giungere fino a noi. Perciò la stessa figura vive nell’immaginario popolare di più secoli, ricomparendo in luoghi e tempi diversi, capace di mantenere una fisionomia unitaria (il villano bonario, arguto e disincantato), pur adeguandosi alle esigenze delle diverse epoche.

La tradizione di vedere entrare in città, ad ogni inizio di carnevale, un Bartoccio dalla parte di Porta S. Pietro (cioè dalla porta che guarda al Pian del Tevere) ci è confermata anche per l’Ottocento: “C’è, poi, chi si rammenta di aver veduto venire, nel carro tirato da buoi tutti infioccati, dal Piano del Tevere, ottanta, settanta, sessanta anni fa, nei giorni di carnevale, un vecchio, lodato cantatore di bartocciate, che, con una maschera sul viso e con un violino in mano, teneva allegra la folla per le vie e per le piazze di Perugia” (Onorato Roux 1898).

Hanno certo giovato al Bartoccio, paradossalmente, le proibizioni e le censure pontificie del convulso periodo napoleonico e della restaurazione, che porteranno poi, dopo l’Unità, la nuova classe dirigente liberale a farne simbolo di libertà e a celebrarlo come insopprimibile voce del popolo, al di là dei suoi effettivi “meriti” storici.

bartoccio1Nella seconda metà dell’Ottocento, come sappiamo, l’ingresso trionfale del Bartoccio in città è diventata una festa quasi ufficiale: la Società del Carnevale era presieduta da Raniero Coppoli, le bartocciate “ufficiali” (se mi si passa l’ossimoro) erano scritte da Ruggero Torelli, anche se circolavano tante bartocciate clandestine e critiche verso le delusioni del nuovo regime: basti pensare a Giuseppe Dell’Uomo e P. Majarelli.

Qualcosa del genere è accaduto anche col fascismo, che inizialmente ha mal tollerato il Bartoccio, per poi farlo scomparire e sostituirlo con la maramaldesca caricatura del Menchino Sbrana, per cui, dopo la Liberazione, di nuovo il Bartoccio è diventato la voce di antifascisti e democratici come Mariano Guardabassi.

Nella seconda metà del Novecento, finite le iniziative pubbliche, rimasero, a mantenere il filo della tradizione, le bartocciate: e le bartocciate dunque hanno finito per caratterizzare non solo il carnevale, ma in generale l’espressività satirica popolare della città.

Con il secondo decennio del Duemila, la tradizione dell’ingresso del Bartoccio in città è stata ripresa dalla Società del Bartoccio, insieme al rilancio delle "bartocciate" che ormai circolano tutto l’anno, e non solo a Carnevale: e veicolo e canale oggi non son più le cantonate dei vicoli, ma le schermate delle reti sociali. Effimere le une e le altre, ma efficaci comunque per esprimere l’insopprimibile e incontenibile bisogno liberatorio di ridere dei potenti.

La satira è dunque il motivo conduttore che segue la storia della maschera: questo spiega la simpatia popolare che sempre l’ha accompagnata e che oggi di nuovo si manifesta ampiamente. Per questo siamo certi che, anche se la maschera dovesse ancora scomparire per qualche tempo, finirà prima o poi per riaffiorare più viva che mai. ◘

La Tesea è gita ‘n rosso
Ma la presidente rassicura: a Montefalco ha amministrato bene! E se il bilancio si è colorato di rosso scuro, è perché...
A Montefalco nun c’è ‘l buco, nun c’è grando e nun c’è ciuco! Nun è ver che col bilancio io fo i buffi e pu m’arancio, che i guadrin butto tol fosso e pu sperp’ro a più non posso: ve sbajate, con quil rosso nn’è che gimo a catrafosso e che semo ardutti a l’osso, no, è ‘l colore del bon vino, è ‘l color del sagrantino!

Il Bartoccio

di Renato Zuccherini


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