Intervista a Rosy Bindi
Quando si parla di Sanità, la voce di Rosy Bindi, già Ministro della Sanità nel governo Prodi, svetta di molto sopra la medietas dei politici e dei discorsi da talk show. Da tempo ha abbandonato la politica attiva, ma non la militanza di pensiero. Madre di una riforma ancora in vigore, le chiediamo perché la Sanità è caduta così in basso e se sia tutto ascrivibile al coronavirus.
«I governi dell’Ulivo, dopo la riforma sanitaria del 1978 (L. 833), hanno cercato di dare compiutezza a quella grande impalcatura che aveva istituito il Servizio Sanitario Nazionale. Infatti la sua introduzione aveva incontrato subito due ostacoli: una applicazione non uniforme sul territorio nazionale e, soprattutto, la controriforma De Lorenzo che apriva al privato.
Perché non si cancellò allora quella controriforma?
Perché l’aziendalizzazione e il nuovo rapporto pubblico/privato avevano già preso campo e la mia riforma del 1999 (Legge n. 229) riaffermò il principio che la salute è un diritto fondamentale e non finanziarimente condizionato. Sembra un paradosso, ma nemmeno le controriforme si possono cancellare.
Dalla riforma sanitaria targata De Lorenzo la spesa sanitaria ha cominciato a lievitare.
La legge 229 stabiliva che i bilanci non sono dettati dalle compatibilità macroeconomiche, ma si formano sulla base dei “Livelli Essenziali di Assistenza” (LEA) stabiliti per legge, come dice la Costituzione, anche dopo la riforma del Titolo V. Quindi si ristabiliva il principio della programmazione, sia nazionale che regionale, perché nel frattempo c’era stato un processo di regionalizzazione non codificato dalla Costituzione, ma già abbastanza avanzato. Con quella riforma si volle regolare il rapporto pubblico/privato con le famose tre A: Autorizzazione, Accreditamento e Accordi per le prestazioni, che sono una novità assoluta. Ciò significa che occorreva l’autorizzazione sia per la costruzione di strutture sanitarie, sia per l’avvio di una qualsiasi prestazione sanitaria, anche privata. Perché l’esperienza insegna che quando l’offerta privata del mercato aumenta, finisce per imporsi come una possibile struttura accreditata, e quindi convenzionata, e per fare prestazioni per il servizio pubblico. Quindi nessuna attività privata, anche ambulatoriale, poteva essere avviata senza autorizzazione, perché la richiesta doveva corrispondere al principio di programmazione. Altro che apertura al privato, come accusa Gino Strada!
Su quali altri presupposti interveniva la sua legge di riforma?
Le altre due gambe della legge sono l’integrazione ospedale-territorio e l’integrazione socio-sanitaria (L. 328/2000). La legge 229 ha dettagliato anche l’organizzazione del Distretto. Quando sento dire che bisogna fare una riforma per la medicina del territorio, rispondo: c’è già. Come ci sono le Case della Salute, il rapporto esclusivo dei medici e altro.
Come si è arrivati a questo punto allora?
Io do tre spiegazioni. La prima è la riforma del Titolo V della Costituzione e l’applicazione distorta che ci ha portato già oltre la Costituzione.
Vuol dire che bisogna cambiare ancora il Titolo V?
Almeno bisognerebbe applicarlo correttamente. Bisogna prendere atto che il nostro sistema istituzionale si è ibridato. Da una parte è saltato il rapporto tra programmazione regionale e programmazione nazionale. Dall’altra i governatori hanno preso il sopravvento grazie a un modello istituzionale che li prevede eletti direttamente dal popolo. Così abbiamo un Presidente del Consiglio frutto dell’accordo tra partiti e i governatori eletti direttamente dal popolo, i quali esercitano un potere di veto enorme: democrazia contrattata e democrazia diretta nello stesso sistema.
E questo ircocervo, come lo descrive lei, cosa produce a livello istituzionale?
Che ogni Regione si è fatta il proprio modello organizzativo. I principi confermati del SSN dalla 229, non si sposano con qualunque modello; richiedono le coerenze organizzative. Non si può pretendere di realizzare quei principi senza rispettare anche le coerenze organizzative. Questo meccanismo è saltato quasi ovunque. E non è la pandemia che l’ha fatto saltare, perché dove c’era, ha funzionato. Tutte le fragilità sono state abbandonate a se stesse. Compresa la legge 180 che aboliva i manicomi, la quale affermava il principio che le fragilità non si possono istituzionalizzare. Tutto ciò che è scoppiato nelle Rsa è la dimostrazione che per dare cure sicure ai nostri anziani bisogna ripensare probabilmente anche quel sistema. Le piccole comunità di anziani sono state tenute sotto controllo, ma nelle megastrutture con 400 e più persone è successa l’ira di Dio. Non possiamo quindi pensare che la sommatoria di 21 servizi regionali diversi faccia un servizio sanitario nazionale unico.
Accennava ad altre cause: quali?
La Sanità da molti anni è sottofinanziata. Nonostante ciò nel piano del Recovery Fund sono previsti solo 9 miliardi per la Sanità. E non si vuol prendere il Mes! Questi signori non si rendono conto, e mi meraviglio che il Ministro Speranza non si faccia sentire e che le stesse Regioni non si facciano sentire. Dare solo 9 miliardi alla Sanità in questo momento significa scegliere di non scommettere più sul sistema universalistico.
Fonti governative affermano che sono più di 9 miliardi.
Ma dove! Sono 9 miliardi e basta, uno stanziamento che non copre nemmeno la sottostima degli ultimi 15 anni. E il Ministro tace? Le Regioni tacciono? Non si è sentito nemmeno il Presidente della Conferenza Stato-Regioni, peraltro di Sinistra. Nessuno ha alzato la voce. Solo i sindacati, le associazioni di categoria, un po’ le organizzazioni dei medici, ma non c’è parola su questo. Ciò significa aver scelto che dopo la pandemia avremo un sistema sanitario a due velocità.
Lei è convinta di questo?
Ma certo! Non possono dare un’altra spiegazione. Chiaramente adesso non lo si può esplicitare dopo aver fatto tanti discorsi a favore del servizio pubblico nella prima fase, e aver pianto sulla nostra Sanità pubblica. Con 9 miliardi non si fanno investimenti in strutture, in tecnologie, non si scommette sulla ricerca, ma soprattutto non si rilancia la medicina del territorio e la sanità di comunità. Non si fa un investimento sul personale che è stata la carenza più grave! È terribile. E poi si dice: le terapie intensive ce le abbiamo, però ci manca il personale…
La razionalizzazione in Umbria ha significato chiusura di ospedali, taglio di letti, di personale, anziani costretti a fare 50, 70, 90 chilometri per fare esami, raccontando che la qualità dei servizi resi al cittadino sarebbe aumentata.
La facilità di accesso che tenga conto del territorio, dell’età, delle fragilità, è diventato uno dei settori non di spesa ma di risparmio nel sistema, e questo non lo capiscono.
Da molti anni si afferma di volere separare la politica dalla Sanità, ma il risultato non è pervenuto.
La Sanità è un settore che la politica dovrebbe governare, mentre vedo che il mio partito – se lo scrive mi fa un gran piacere –, o quello che dovrebbe essere il mio partito, assegna alla Lorenzin la responsabilità della Sanità. E che cosa ha fatto? Cinque anni di non governo coperti da grandi accordi con l’industria farmaceutica fatti passare come grande rivoluzione sulla vaccinazione. Ed è una responsabile del Pd! Dentro i governi di Centro-Sinistra insomma c’è stato un ministro come la Lorenzin che era di Centro-Destra. I risultati sono evidenti! La Sanità è un settore abbandonato, salvo considerarlo una grande torta di spartizione clientelare. E questo è continuato. E continua. E spesso calpesta professionalità, capacità manageriali, oltre ai diritti delle persone.
Si teme che la mafia approfitti della enorme quantità di denaro che arriverà con il Recovery Fund. Lei condivide tale preoccupazione?
Gli unici soldi veri che sono arrivati al settore pubblico negli ultimi anni sono stati quelli della Sanità e dei Fondi europei. E naturalmente le Mafie, soprattutto nel Mezzogiorno, si sono concentrate su questi due serbatoi con il metodo di sempre, trasformando i diritti in favori, con la politica condizionata dai modelli mafiosi che fa da garante. Questo è accaduto in Sicilia, in Calabria in maniera particolare, in Campania e altrove. È accaduto anche al nord, soprattutto in Lombardia, dove la ‘ndrangheta si è letteralmente insediata. Ha cominciato da Pavia, dando delle lauree fasulle alla Facoltà di Medicina e poi si è inserita nella esternalizzazione dei servizi: le lavanderie, le mense, le pulizie ecc.., attraverso le cooperative, in maniera particolare: questa è stata la strada maestra percorsa dalla ‘ndrangheta. Quindi è chiaro che il Recovery Fund per le mafie è un piatto ricco.
Anche la distribuzione dei vaccini sembra diventata una partita difficile da gestire.
Qui siamo di fronte a una prima volta: mettiamola così. Ed è chiaro che la prima volta si pagano sempre prezzi molto alti. L’inesperienza in questo settore pesa più che in altri. E inoltre siamo di fronte a una sfida globale. Tuttavia dobbiamo fidarci della scienza, del controllo sulla produzione dei farmaci, che è molto accurato in America, in Europa e in Italia. Non abbiamo motivi per dubitare che ci inietteranno vaccini sicuri, e auguriamoci anche efficaci, capaci cioè di produrre l’immunità e gli anticorpi. I problemi sono altri.
Quali?
Non posso sentire che sia Arcuri a dirmi che mi devo vaccinare. Questa è materia che riguarda l’autorità sanitaria non di Commissari straordinari che sono gli stessi che hanno fatto i bandi per i banchi di scuola: mi spiego! Ci vuole una autorità sanitaria che governi questi processi. Poi la logistica diamola a chi ci pare, ma l’ambito è tipicamente sanitario. Non tutti gli organizzatori sono adatti a fare tutto, perché ogni materia ha una sorta di esigenze intrinseche di organizzazione. E non sono trasferibili da un settore all’altro.
Lei pensa che il governo ce la può fare a portare avanti questo compito così complesso?
A tutto il sistema, governo e pubblica amministrazione, è richiesto uno sforzo enorme. E poi c’è un’altra cosa come ha ricordato il Papa. In un mondo così disuguale, organizzato per produrre disuguaglianze, che conversione si deve fare perché non aumentino le disuguaglianze anche per la distribuzione del vaccino? Ho sinceramente paura delle disuguaglianze e del fatto che si riesca a distribuire i vaccini a tutti, anche in Italia e non solo nei Paesi poveri.
Soprattutto è fondamentale comunicare da subito i criteri delle priorità delle vaccinazioni per una questione di trasparenza e di controllo.
Intendevo chiedere se l’esecutivo ce la farà a reggere le tensioni politiche interne.
Credo che ci sia molta debolezza politica, ma non vedo alternative. È necessario non restare fermi; bisogna assolutamente intervenire perché se non si è capita la lezione adesso, non so cosa debba accadere. Se si perde la salute si perde tutto. Per questo occorre anche una mobilitazione dell’opinione pubblica e più senso di responsabilità da parte dei politici. ◘
Recovery: per associazioni e sindacati, da Pnrr schiaffo a sanità (ANSA) - ROMA, 07 GEN - Ad associazioni e sindacati non convincono le risorse per la sanità previste dal Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza. È per questo motivo che una rete di associazioni e centri di ricerca (tra cui Salute diritto fondamentale, Sos Sanità, saluteinternazionale.info, Copersamm, la Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo F. Basaglia e il Lisbon Institute of Global Mental Health) hanno promosso un appello con il quale lo giudicano uno “schiaffo alla sanità pubblica, briciole alla salute della popolazione”. “Non vediamo significativi mutamenti negli orientamenti del Governo sulle destinazioni alla sanità e ai servizi sociali del Recovery Fund - scrivono le organizzazioni in una nota - manca il radicale ripensamento sulla direzione di marcia per investire anche le poche risorse ora previste”. Si tratta, precisano gli organizzatori, di un “appello di una vasta coalizione di associazioni, di Cgil, Cisl e Uil e di centinaia di personalità dei mondi professionali, culturali e sociali”. Per i firmatari, “non convince il ritocco del Pnrr di queste ore, che per la sanità si passerebbe da 9 a 15 fino a 18 miliardi, ma questo è solo un rimescolamento delle risorse che erano già previste e che hanno mantenuto la medesima destinazione: resta una quantificazione insufficiente e qualitativamente inadeguata”. |
di Antonio Guerrini