Politica internazionale
L’immagine è quella di Janusz Korczak che, di prima mattina del 5 agosto 1942, accompagna la lunga fila di bambini raccolti nell’orfanotrofio di via Sienna, del ghetto di Varsavia. Si racconta che quei bambini erano ben ordinati e vestiti di tutto punto. Pan Doktor (lo chiamavano così i bambini) era il loro medico che volle accompagnarli, per l’ultimo viaggio, verso l’Umschlagplatz, la piazza da dove partivano i treni in direzione di Auschwitz/Treblinka, nel nord di Varsavia. Qualcuno, ignaro, sorrideva, qualche altro sudava dall’emozione, si sentiva anche qualche pianto. Janusz Korczak, oltre che medico, era un grande pedagogo, allievo di Pestalozzi. In Israele, il museo all’Olocausto, Yad Vashem, gli ha dedicato una piazza e un monumento/ricordo in bronzo. L’opera rappresenta il volto di “Pan Doktor” e una grande mano tesa ad abbracciare tutti i bambini.
Un’altra immagine è quella dell’attuale senatrice Liliana Segre. Nel 1944 fu deportata, in quanto ebrea, nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese. Fu scaraventata nel binario 21 della stazione di Milano. Era una bambina di 14 anni. Forse era disperata, con qualche lacrima agli occhi, ma le avevano raccomandato di essere forte e di resistere.
La terza immagine è quella del medico Marek Endelman. Orfano a 14 anni. Era praticamente ancora un bambino quando entrò nel “Bund” (Movimento operaio ebraico polacco). A soli 24 anni divenne uno dei leggendari comandanti della resistenza nel Ghetto di Varsavia. Tra i pochi sopravvissuti, si rifiutò, polemicamente e costantemente, di andare a vivere in Israele. Dopo il 1946 esercitò come medico, nella città di Lodz in Polonia.
Altre immagini.
A 8 anni, durante la prima “Intifada”, nel 1987, Ramzi Aburedwan lanciava pietre contro l’occupante israeliano. Qualcuno lo aveva fotografato. L’immagine ha fatto il giro del mondo. Si vede un bambino di otto anni che fatica a tenere in mano le pietre. Per lui è stato come un gioco, nel tumulto della rivolta. Oggi Ramzi ha poco più di 40 anni. A Ramallah ha fondato l’Associazione “Al Kamandjati” (il violinista, in arabo) insieme a un Conservatorio per bambini dai 4 ai 12 anni, dove s’imparano a suonare vari strumenti. Ramzi stesso vi insegna, essendo un violinista di professione. Ramzi è anche insegnante di violino al Conservatorio di Angers, in Francia. «Il futuro della Palestina è in mano ai bambini», usa ripetere Ramzi.
Habed oggi ha 28 anni. È un palestinese di Betlemme che vive nel campo profughi di Azza, proprio vicino a dove Gesù ha vissuto da bambino. «Quando avevo compiuto i miei 16 anni, i soldati israeliani sono venuti a prendermi alle 1,30 di notte. Hanno buttato giù la porta, hanno svegliato mia madre bastonandomi davanti a lei. Mi hanno bendato e ammanettato». Habed venne trasferito nel carcere di Al Mascobiyya, a Gerusalemme. Racconta di essere stato interrogato, pestato e umiliato per 45 giorni. Habed iniziò uno sciopero della fame per chiedere un equo processo: «Ero sfinito, ero certo che sarei morto. Ho perso 16 chili, ancora oggi ne soffro le conseguenze». Era ancora un bambino, ma venne giudicato come un adulto dalla Corte Militare di Ofer. Lo condannarono a una pena di prigione di 5 anni per il lancio di pietre, più tardi ridotta a due anni e mezzo. Habed passò dalla prigione di Ofer a quella di Hasharon, da Nafah ad Askhelon, dal Negev a Deman, tutte prigioni all’interno del territorio d’Israele. «Oggi mi sento come un marziano – racconta Habed – Tante cose sono cambiate (…) ho perso tre anni, ho abbandonato la scuola. Continuo a sentirmi un alieno. Chiudo gli occhi e mi sento di nuovo in prigione».
Si fa fatica a crederci.
L’ONG “Defence for Children International-Palestine” denuncia che, ai bambini palestinesi arrestati, la legge militare israeliana «non assicura il diritto alla presenza di un genitore o di un avvocato», come prescrive all’articolo 37 la “Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sui Diritti del Bambino” del 1989, ratificata anche da Israele. La stessa ONG afferma che: «Israele ogni anno arresta tra i 500 e i 700 bambini per processarli secondo le leggi militari. La stima, dal 2000, è quella che le autorità israeliane hanno detenuto, interrogato, braccato e imprigionato 13.000 bambini palestinesi. Oggi, 2020, 15 bambini palestinesi sono in isolamento e 168 incarcerati per ragioni di sicurezza». Anche il giornale, quotidiano israeliano, Yediot Ahronot (non progressista) ha affermato che «Tra il 2017 e il 2019, le Forze Militari in Cisgiordania e a Gerusalemme est hanno arrestato 5.000 bambini palestinesi di età tra i 12 e i 18 anni. (…) Sono stati bendati e ammanettati e molti di essi riferiscono di colpi alla schiena con il calcio di fucili». “Save the Children”, la più grande e nota organizzazione internazionale che opera in 120 Paesi, riferisce: «I bambini palestinesi, dopo il brutale arresto, vengono ammanettati e bendati per delle ore». Issa aveva appena 15 anni quando fu arrestata. «Mentre venivo interrogata – spiega Issa – continuavano a urlarmi contro, appoggiando un’arma sul tavolo per spaventarmi. Dicevano brutte, brutte parole. Non ci voglio pensare. Il carcere era un posto terribile. Suonavano le sirene a mezzanotte, alle 3 e alle 6, in modo tale che non potessimo dormire a lungo. Se non ti svegliavi venivi picchiato. Anch’io sono stata picchiata alcune volte con bastoni di legno». Fatima aveva 14 anni quando è stata arrestata in un posto di blocco militare mentre andava a scuola: «Mi parlavano in ebraico, una lingua che non conosco. Mi hanno ammanettata, buttata a terra, mettendomi i piedi sulla schiena».
Nessuna comparazione o parallelismo.
Abbiamo descritto, con pena e rispetto, del dramma che hanno subito i bambini nell’Europa nazista e che oggi colpisce i bambini nella Palestina occupata. Lontano da noi dal comparare l’orrendo e indicibile massacro dei bambini ebrei nel secolo scorso e la persecuzione e umiliazione dei tanti bambini di oggi nella Palestina occupata. Abbiamo riflettuto sui bambini orrendamente assassinati di ieri e i bambini umiliati di oggi. La nascita d’Israele ha «fatto venire alla luce una nuova categoria di paria rappresentata dal popolo palestinese». Una riflessione peraltro contenuta nella mirabile opera Le origini del totalitarismo, di Hannah Arendt. Ci chiediamo, drammaticamente, come mai oggi il popolo palestinese sia costretto a condurre una «vita mutilata» (considerazioni di Theodor W. Adorno in Minima moralia, riferite agli Ebrei perseguitati del secolo scorso), per metà esiliata, in una «esistenza fatta di privazioni materiali e spirituali, di precarietà e di abbandono»? Spesso d’impossibilità di gioire anche dei propri bambini. Come sia potuto avvenire che un popolo, cosmopolita e universalista che ci ha dato, come per miracolo, donne e uomini di assoluto ingegno nel campo della scienza, della filosofia, della musica e dell’arte in generale, sia diventato un brutale e irriducibile oppressore di un altro popolo in nome della conquista/rapina di una terra che gli era stata promessa da una improbabile metastoria biblica? Ci riflettiamo spesso ma, per chi scrive, resta ancora un enigma. ◘
Israele ogni anno arresta tra i 500 e i 700 bambini per processarli secondo le leggi militari. La stima, dal 2000, è quella che le autorità israeliane hanno detenuto, interrogato, braccato e imprigionato 13.000 bambini palestinesi |
di Antonio Rolle