Intervista a Anne Fernández Moreno, giovane ingegnere guatemalteca ideatrice di Guacayán, piattaforma di servizi dedicata allo sviluppo di soluzioni integrali in consulenze imprenditoriali
Durante l'incontro “L’economia di Francesco” tu hai affermato che le nuove tecnologie possono offrire vantaggi o fare molto danno. Ma se il mondo è in buona parte fuori controllo è anche perché oggi le grandi transnazionali controllano e condizionano le opinioni pubbliche, comandano sulle istituzioni, sull’economia e sulla politica.
«È così. La politica dovrebbe essere un bene comune per il benessere della maggioranza dei cittadini, ma nelle presenti circostanze le grandi corporazioni transnazionali usano la democrazia per aumentare i propri profitti, non per produrre beni utili alla collettività. Tutti i membri delle diverse comunità, alle quali ciascuno di noi appartiene, devono valutare la qualità e gli orientamenti che la politica esprime e utilizzare le nuove tecnologie come strumento, sapendo che queste possono determinare positive opportunità ma anche grandi rischi. Per questo ci servono nuove forme di apprendimento delle tecnologie che siano inclusive, che non lascino fuori dal processo le persone, perché dobbiamo crescere come società, non solo come individui».
Il modello capitalistico-finanziario è dominante in tutto il mondo. È gestito da una minoranza dell’1% della popolazione mondiale che detiene la ricchezza equivalente del restante 99%. Da tempo Papa Bergoglio esorta a uscire dal binomio produzione-consumo per dare vita a un nuovo paradigma di economia solidale circolare. Condividi che questo sia il tema planetario centrale?
«Sì, assolutamente, e determinate scelte ci stanno portando a una crisi globale. È urgente creare un nuovo “sistema Onu” e un nuovo modello economico che abbia come priorità la relazione più che la produzione. Dobbiamo cambiare i nostri schemi mentali, non ricercare soluzioni solo un poco più convenienti. È importante investire in un prodotto che contenga in sé il valore delle persone coinvolte nella realizzazione del prodotto stesso. Che consideri gli impatti ambientali, che non sia solo una produzione “del momento” ma che diventi una produzione stabile, responsabile, duratura. Superando la logica dell’economia capitalista fondata sulla produzione immediata e sul consumo altrettanto immediato».
Come si possono regolamentare le tecnologie in un contesto globale che consente alle transnazionali di realizzare profitti immensi seppur in una forma di illegalità sostanziale, pagando il 3% delle tasse mentre tutte le altre aziende pagano il 50% e oltre?
«La domanda è relazionata all’individuazione di chi detiene il potere oggi. Il più ricco, quello che più può e che più fa. Le nuove tecnologie sviluppate in questo ultimo secolo, tutto quello che poi è arrivato con le reti sociali, sono strumenti che prima non esistevano e che si sono sviluppati in tempi rapidissimi. Oggi la maggioranza delle persone è dipendente dalle reti sociali, però quando queste furono create nessuno ha pensato “come le regolamentiamo”? E questo in considerazione dell’enorme impatto che hanno sulle persone, sulle società e sulla democrazia. Quando creiamo una nuova tecnologia ci dobbiamo chiedere se questa ci aiuta a risolvere problemi o ne genera altri, quali e con quali effetti. Non è solo un aspetto tecnologico, ma soprattutto sociale e ambientale. Significa cambiare la mentalità del potere. Occorre stabilire priorità chiare, come quella che i primi ad usufruire delle scoperte devono essere gli ultimi. È vero, come tu dici, che ci sono settori diffusi responsabili e impegnati nel cambiamento, non solo settori della Chiesa bergogliana, ma movimenti civili, comunitari e associativi radicati in tutti i continenti. Una forza importante che produrrà risultati, ma non immediatamente. Più avanti».
Quanto più avanti ?
«Credo che sia un lavoro di carattere generazionale».
Quando i rischi sono drammatici, il tempo diventa sostanza. Ad Assisi, Papa Francesco ha detto «... non dobbiamo solo pensarlo il cambiamento, ma costruire risposte concrete che coinvolgano tutti per trasformare questa economia predatoria in una economia civile e solidale». Non dà una risposta solo morale o spirituale ma indica anche un fine misurabile?
«Sì, è una urgenza reale. Questi mesi di lavoro con gli altri colleghi mi hanno fatto toccare con mano quanta voglia di cambiamento ci sia nei giovani in generale e nei giovani professionisti come me in particolare. Dobbiamo costruire relazioni e incanalare le forze. Anche il Covid-19 ci ha detto questo. Ci ha mandato un messaggio chiaro, ci dice che se vogliamo sopravvivere, il cambiamento è necessario e dobbiamo farlo tutti insieme. Il nostro pensiero non ha previsto nulla, nessuno si aspettava che avremmo dovuto abbandonare le relazioni fisiche per sostituirle con quelle virtuali. Credo che le persone si stiano rendendo conto che non torneremo a una vita come quella precedente, e abbiamo bisogno di proposte concrete. Tutti abbiamo diritto alle stesse conoscenze, e questo è il lavoro più importante che richiede tempo. Le nuove tecnologie, non in forma sostitutiva delle relazioni, ci possono aiutare molto ad apprendere e comunicare.
Al simposio di Assisi nel mio gruppo c’erano ragazzi di diversi Paesi; in alcuni di questi la diseguaglianza è talmente grande che impedisce ai giovani di formarsi e diplomarsi. Il sistema educativo è pensato per quelle fasce che possono mandare i figli prima alle high school e poi all’università. Per questo uno dei progetti concreti uscito dal nostro gruppo è stato quello di acquistare computer e programmi di formazione tecnica e telematica finalizzati a educare giovani a distanza, che poi possono diplomarsi e avere delle opportunità. Questa è solo una delle tante proposte concrete uscite dall’evento “L’economia di Francesco”. Non siamo quattro giovani che si riuniscono per discutere di come vivono, ma per elaborare proposte realistiche e realizzabili».
La regolamentazione delle nuove tecnologie in modo trasparente e pubblico si scontra contro coloro per i quali i social non sono “bene comune” ma fonte di profitto. Gli Stati o le istituzioni pubbliche possono essere i soggetti che realizzano questa nuova dimensione no profit dei social?
«Questo è un aspetto fondamentale che abbiamo affrontato anche nelle nostre analisi, il tema di chi governa questi strumenti. Bisogna uscire dalla disputa “social si o social no”. Le reti sociali esistono, e sappiamo che possono essere uno strumento positivo o generare grandi danni alle persone e alla democrazia. Gli Stati e le istituzioni certamente devono sentirsi coinvolti nella gestione delle reti sociali, perché c’è un confine sensibile tra libertà e responsabilità. E c’è una responsabilità non solo delle istituzioni pubbliche, ma anche nostra. Come cittadini e consumatori dei prodotti social dobbiamo pretendere che il sistema sia regolamentato.
È imperativo che le istituzioni pubbliche partecipino e si mettano a fianco dei consumatori, non pensando solo a raccogliere proventi delle tasse, e ricordando sempre che le tasse hanno come fine quello di migliorare la vita delle persone».
Essere “ottimisti, nonostante tutto” è diventato per noi un messaggio e un impegno. Anche dal tuo punto di osservazione mi pare di poter dire che, pur partendo da un dato di realtà problematico, il messaggio sia: “c’è speranza”.
«Sì, c’è una ricchezza rappresentata dalle tante persone, dai movimenti e dalle comunità che esistono in tutte le realtà. Ognuno ha le proprie radici e specificità. Sono queste differenze che costituiscono la base di una nuova unità a livello globale per ritrovare nuove forme di eguaglianza. Per me è molto importante la relazione, conoscere l’altro. Non è importante affermare ciò che io desidero, ma soprattutto condividerlo. Costruire relazioni è il primo passo per cambiare la realtà del nostro mondo. Dobbiamo cambiare il nostro pensiero, è lì che passa non solo un nuovo modello economico, ma qualcosa di più, persino di filosofico e di spirituale. È fondamentale costruire a partire dalla relazione e dalla condivisione. Costruire società più giuste ed egualitarie, fondate sulla relazione e non sulla produzione. Redistribuire i poteri mettendo al centro della nostra azione i più svantaggiati. Un mondo più giusto si costruisce solo partendo dai più vulnerabili». ◘
Credo che le persone si stiano rendendo conto che non torneremo a una vita come quella precedente, e abbiamo bisogno di proposte concrete |
di Luciano Neri