Personaggi. Tina Madotti: fotografia e lotta di classe (Prima parte)
È nella grande manifestazione promossa per la liberazione di Sacco e Vanzetti il 20 giugno 1926 a Città del Messico che Tina vede per la prima volta Antonio Mella. È lui il giovane comunista cubano arrivato esule in Messico che dal palco arringa la folla. Solo molti mesi più tardi avrà modo di parlargli. Partiamo da qui per raccontare la vita della Modotti. Prima però ricordiamo la storia dei due anarchici italiani che in quel dannato 23 agosto 1927 vengono condannati alla sedia elettrica negli Stati Uniti: Nicola Sacco, pugliese, Bartolomeo Vanzetti, piemontese, emigrati negli USA nel 1908. Accusati dell’omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio di South Braintree, vengono condannati alla pena capitale. False sono le accuse rivolte ai due anarchici. Chiaro è il disegno repressivo e altrettanto limpida è la risposta popolare con grandi manifestazioni di protesta per chiederne la scarcerazione.
Tina prova a resistere per lungo periodo all’attrazione che prova per Mella. Lei è ancora legata a Xavier Guerrero, mandato dal partito comunista messicano alla Scuola Lenin di Mosca per tre anni. Alla fine deciderà di scrivergli: «...non c’è dubbio che questa è la lettera più difficile, penosa e terribile che io abbia mai scritto in vita mia... so quale terribile effetto farà su di te… è venuto il momento di dirti ciò che devo dirti. Amo un altro uomo... ho lottato con me stessa per sradicarlo dalla mia vita… E pensando a quanto mi sei stato d’aiuto, ecco che te ne ripago a questo modo... ma sento che ciò che adesso accade è inevitabile e che non posso fare altrimenti...». Arriverà un telegramma di risposta da Mosca “Lettera ricevuta. Addio. Guerrero.”
La storia con Antonio Mella conosce giorni esaltanti. È forte l’affiatamento che salda la coppia. Tina adesso vive tutta l’intensità politica e amorosa di cui è capace. Lavora come traduttrice dall’inglese e spagnolo. L’attività politica e il lavoro al giornale sono particolarmente intensi. Denuncia l’azione di Mussolini e del suo regime. È il 12 maggio 1928 e proprio ne “El Machete”, in prima pagina, appare un appello di protesta per la morte di Gastone Sozzi ammazzato dai fascisti a febbraio, in Italia, in carcere a Perugia.
Camminavano abbracciati anche quella sera del 10 febbraio 1929. Un colpo di pistola alla schiena e Julio Antonio Mella è a terra ferito. La corsa all’ospedale. La ferita è mortale. Stravolta dall’assassinio, Tina trova tuttavia la forza di fotografare per l’ultima volta il suo uomo ormai cadavere. In quella foto Mella sembra che dorma. Giorni e giorni di interrogatorio. Il pubblico ministero Valente Quintanas vuole incastrare Tina, che pure negli interrogatori si difende con fermezza. Sarà il pittore Diego Rivera a prenderne le difese e a smascherare i tentativi di coinvolgerla nel delitto con una serie di prove balorde. Nei giornali intanto esce una sequela di menzogne e volgari pettegolezzi che tendono a logorare la Modotti, la sua immagine e credibilità personale e politica. Lettere e foto intime, sequestrate nella perquisizione della sua casa, vengono date in pasto ai lettori. Solo con l’allontanamento del pubblico ministero Quintanas e l’incarcerazione di José Magriná, uomo che a Cuba gode di equivoca reputazione e del sostegno della dittatura di Gerardo Machado, si passa dalla tesi del delitto passionale a quella dell’assassinio politico. Tina può sentirsi più leggera. Rifiuta l’offerta del governo messicano di essere nominata fotografa ufficiale del Museo Nazionale.
È questa la sua sdegnata protesta per la costruita negligenza nelle indagini sul caso Mella. Vittorio Vitali, membro del Soccorso Rosso Internazionale (S.R.I.) convince Tina a prendersi un periodo di riposo. È così che arriva nel piccolo centro di Salina Cruz. Quando scende dal treno stringe tra le braccia la sua preziosa “scatola nera” Graflex, bella pesante. Ritrova la luce del Messico che lei adora. La notte riesce addirittura a dormire. È tutto colorato, le iguane, le zucche dipinte, le donne con quel passo lento e che in testa trasportano enormi ceste di frutta. L’occhio di Tina è pronto e anche lo scatto della sua macchina fotografica. Proviamo a immaginare quante volte questa ritrovata, momentanea tranquillità, riconduca il pensiero indietro, anche alla sua fanciullezza e alla luce e agli odori friulani. ◘
Di Giorgio Filippi