Rubrica
Con il boom economico degli anni sessanta anche il mondo del giardinaggio ha avviato la sua evoluzione, gettando le basi dell’attuale produzione vivaistica, che per molti aspetti è cresciuta accanto allo sviluppo dell’edilizia. Grazie al supporto della chimica sintetica e a una scelta di piante di medie e grandi dimensioni da destinare alla vendita al dettaglio, il vivaismo ha intrapreso la strada del “pronto effetto”, senza preoccuparsi delle necessarie indagini su clima e territorio. Se a questo aggiungiamo lo stereotipo del giardino all’inglese, sostenuto dal monopolio economico anglo-americano del momento, riusciamo a indovinare molte delle problematiche correlate alla sostenibilità nel verde.
Per cinquant’anni il giardinaggio del mondo occidentale e dell’Europa mediterranea ha favorito la creazione di prati freschi e umidi in estate e si è prestato alle composizioni sovraffollate di alberi, arbusti e fiori, esteticamente molto suggestive, ma che, prive di una linea progettuale improntata a una sana coscienza ecologica, hanno prodotto come conseguenze un progressivo aumento dei costi di manutenzione e l’eccesso di consumo idrico.
Con i primi e preoccupanti cambiamenti climatici avvertiti a partire dagli anni novanta, l’impostazione del giardinaggio all’inglese comincia ad implodere su se stessa e scattano i primi campanelli d’allarme: nasce e cresce la consapevolezza di un verde sano e non più ostinato, con piante adatte a clima e territorio, resistenti alla siccità, alle malattie crittogamiche, in grado di limitare consumo d’acqua e manutenzione, nonché l’uso spregiudicato dei prodotti agrofarmaci dannosi per l’uomo e per l’ambiente.
Olivier Filippi, famoso giardiniere e pioniere di una vera rivoluzione nel campo del vivaismo, nel suo volume Per un giardino mediterraneo, propone il motto più convincente sulla sostenibilità del verde: “la pianta giusta al posto giusto”. Poche parole per esprimere tutti i concetti fondamentali di questo nuovo modo di fare il giardino: paesaggismo, sostenibilità, costi di gestione e risparmio idrico.
Da qualche anno alcune amministrazioni comunali hanno cominciato a convertire le aree verdi pubbliche di vecchia concezione affidandosi ad esperti o ad architetti paesaggisti per riprogettare e realizzare il verde urbano a basso impatto ambientale, a partire dalle aree prative caratterizzate da erbacee perenni a zero consumo idrico, oppure rotatorie, aiuole e parchi urbani allestiti con arbusti e alberi che non necessitino di manutenzione.
Il traguardo finale, per ora una bella utopia, sarà fare in modo che il tema della sostenibilità del verde riesca a raggiungere ogni cittadino diventando un fenomeno di massa. Servono formazione, divulgazione di buone pratiche, incentivi per la riqualificazione dei giardini pubblici e privati.
Potremo così godere della bellezza di piante e fiori - perfino emulare lo stile all’inglese - ma nel pieno rispetto dell’equilibrio della Natura. ◘
A cura di Aurelio Borgacci