Venerdì, 29 Marzo 2024

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Risanare le parole

Società. La questione dell'aborto torna d'attualità

silvia romano2

Carissimi,

Vi scrivo a nome mio personale e vi chiederete perché. Per capire le cose bisogna vedere in esse ciò che accade perché è voluto, ciò che è provvidenziale e ciò che è fortuito.

Nel giorno vigilia del mio novantesimo compleanno al mattino presto non potendo io uscire per ragioni di salute è venuto a trovarmi con l’Eucarestia un caro amico gesuita che ha avuto il pensiero di portarmi “l’Avvenire”, il mio antico giornale ora così ben diretto da Marco Tarquinio. Essendo domenica molti giornalai erano chiusi, sicché è andato a prenderlo alla stazione Termini.

In quel giornale, come sempre assai ricco, era riaperta con molto pathos e sofferenza, da una lettrice, la questione dell’aborto, come questione dolorosa e divisiva tra le donne e la Chiesa. Su questo le donne non sono comprese dalla Chiesa che in tale materia pensa soprattutto al fatto, diciamo così alla “fattispecie”, non alle persone, a cui così non reca più la buona notizia del Vangelo, che anzi è drasticamente loro contestato, ma dà loro la cattiva, la pessima notizia che il loro aborto volontario sia stato un assassinio, che esse siano pertanto omicide e che siano mandanti di sicari i medici che eseguono l’aborto. Ma (senza per ciò voler entrare nella casistica) le donne non hanno questa coscienza di essere colpevoli di omicidio, anzi, come fa la lettrice in questione, lamentano il loro immenso dolore per aver dovuto rinunziare a una nascita, per non aver potuto avere il loro bambino che perciò non è nato, non per averlo ucciso sulla porta di sé. È dal loro “sé”, a lui ancora legato in modo inscindibile, che il nascituro non è venuto alla luce, è rimasto un futuro possibile (spesso impossibile) ma incompiuto. Ciò che non fa la Chiesa, ciò che non fa una morale assiomatica, di distinguere interruzione di gravidanza e omicidio, tra aborto e decesso, tra incompiuto ed estinto, esse da millenni lo fanno.

risanare le parole altrapagina mese marzo 2021 3Nell’antichità era molto chiara la differenza tra aborto e omicidio, tra non nascere e morire . Per i filosofi romani (c’è un gran librone, compulsato a suo tempo, sull’aborto nel mondo greco-romano) non c’erano dubbi che non fosse questione d’omicidio, tra i medici si discuteva piuttosto delle varie fasi della gravidanza. La Bibbia sa bene che cos’è l’aborto, c’è la percezione che si poteva non essere usciti dal ventre della propria madre, non che si poteva esserne stati soppressi. Quando Paolo parla di sé come di un aborto non pensa di essere stato ucciso sul nascere, ma di non essere venuto alla vita.

La questione, mi sembra, insorge, scoppia dentro la Chiesa, con la disputa su quando Dio infonde l’anima al feto. Perché è solo quando arriva l’anima che l’uomo diventa uomo, “essere vivente” come uomo e donna creati da Dio. Allora, e solo allora (al terzo mese? al quinto?) l’aborto diventava omicidio. Così la causa è trasferita dai teologi, dai sacerdoti ai medici, ai biologi. Diteci il giorno, ed ecco a quel punto l’uomo è uomo, non farlo nascere è uccidere una persona umana. Corpo e anima, il “composto umano”. Sappiamo oggi che questa è una cattiva antropologia. Noi siamo un’unità inscindibile pensata da Dio, ne siamo immagine, lui non è fatto di Dio e della sua divinità, come se fossero due cose distinte.

Da questa cattiva antropologia è derivata poi anche una cattiva teologia. In mano di chi Dio si mette per creare?

Vi chiederete perché parlo di queste cose proprio ora. Io non sono più tornato sulla questione dell’aborto da quando in Senato nel 1976 scrissi l’art. 1 della legge 194 sulla “tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza”, articolo rimasto indenne finora, e il 26 maggio 1977 vi tenni un discorso per illustrarlo e difenderlo. In quel discorso, che ebbe come titolo “Idolatria e laicità della legge”, dissi che era talmente inviolabile e non coercibile il rapporto tra la madre e il bambino che portava nel seno, che se Maria non diceva di sì, Gesù neanche nasceva.

Nessuno può decidere per la donna, non Comitati etici, non medici, non Codici penali, non forcipi di Stato, come avrebbe voluto qualche progetto di legge sull’aborto. Il vecchio Codice Rocco era impotente, non faceva che dare corso agli aborti, purché clandestini, spesso in laghi di sangue. Ed è perché nessuno puó decidere per la donna, nemmeno per Maria, che noi abbiamo avuto la salvezza, il Salvatore.

Dunque è alla donna che Dio si affida. Ma che Dio per venire al mondo dovesse passare al vaglio di potenziali assassine non riesco ad immaginarlo. Tutt’altrarisanare le parole altrapagina mese marzo 2021 4 appare essere l’idea che Dio ha della donna. Certo Dio non poteva pensare le sue figliole come potenziali omicide abituali o per tendenza. Anzi nella coscienza più profonda dell’umanità in cui Dio abita come in un tempio la donna è inestinguibilmente presente e vissuta come scrigno di vita. È l’uomo semmai che è archetipamente associato all’idea dell’omicidio, è lui il sacrificatore, fin dai tempi di Caino. E sempre infatti l’ideologia del sacrificio è stata associata all’uomo. E così le guerre, la ragion di Stato, e purtroppo anche l’idea del sacerdozio. Io penso che questa impossibilità per la Chiesa cattolica di procedere sulla via della donna sacerdote derivi anche dalla istintiva ripugnanza ad associare la donna all’idea del sacerdote come ministro del sacrificio. Quando avremo veramente abbandonato l’ideologia del sacrificio ancora così presente nella Chiesa nella liturgia nell’immaginario religioso e sacerdotale, allora non ci sarà più ostacolo al sacerdozio delle donne, ministre della vita, non solo spirituale, ma della vita fisica.

Perciò questo assimilare l’aborto a un omicidio non solo è contro la logica aristotelica (perché identifica due cose diverse) ma è anche un po’ contro natura.

Ciò non vuol dire minimamente prendere posizione sul peccato d’aborto, su tutte le problematiche connesse al tema dell’aborto. Quando facemmo la legge esplicitamente non volemmo andare oltre il giudizio che assumesse l’aborto come un disvalore, una perdita, un dolore personale e sociale che la società dovesse lenire, non far vivere nella solitudine, includere in un tessuto di solidarietà sociale, tale che anche rendesse la vita più facile a nascere, e ciò proprio in base a una severa coscienza della infermità, insufficienza e laicità della legge.

risanare le parole altrapagina mese marzo 2021 5La Chiesa continui nelle sue teologie, nessuno le tolga la libertà delle sue valutazioni morali, delle sue qualificazioni religiose e spirituali sull’aborto, i suoi insegnamenti di vita. Se dopo tanti anni io riapro con lei la questione dell’aborto è perché mi sembra che mi resti un dovere. Di chiederle quest’unica cosa. Di non usare la stessa parola per definire l’ucciso e il non nato, il non nascere e il morire, una promessa che non si realizza e una volontà che le sia impari.

Le chiedo di non scambiare nella riflessione, nella predicazione, nella polemica “vita umana” e “persona umana” , la prima un’astrazione, la seconda l’uomo e la donna amati da Dio, la prima investigabile dalla biologia, la seconda un mistero dell’Essere, umano e divino, un mistero che ha solo un inizio, e mai più la sua conclusione, perché in Dio c’è solo il principio, non c’è la fine. Perciò le chiedo un’ascesi della parola. La Parola ci salva, le parole spesso ci tradiscono.

L’aborto non è omicidio, la donna non ne è la mandante, il medico non il sicario; in ciò anche l’amatissimo papa nostro Francesco, tradito dalla lingua, non dice bene e mi addolora.

Scongiuro la Chiesa di non pensare le donne come potenziali abituali assassine. Certo siamo tutti in peccato, ma questo non è il loro peccato, uccidere chi neanche è nato.

Solo questo voglio dire, non giustificare l’aborto e nemmeno la nostra legge. Perché questo scambio di parole e di concetti apre un problema molto grave tra lei e loro.

Forse è bene che sia un uomo a dirlo. Forse proprio gli uomini devono dirlo che delle donne sono figli, fratelli, compagni e sposi. La Chiesa mette le donne sugli altari, gli uomini le amano.

Papa Giovanni diceva: siamo appena all’aurora. Non sempre possiamo forzare l’aurora a nascere. ◘

Di Raniero La Valle


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