Città di Castello ambiente. Allevamenti intensivi di animali e consumi eccessivi di carne animale avvelenano salute e ambiente
Abbiamo avviato la nostra inchiesta sull’allevamento che si vuol realizzare nella piccola frazione di Petrelle, e poco alla volta ci siamo resi conto di quanto gli allevamenti e la trasformazione delle carni non siano un problema circoscritto esclusivamente al nostro orizzonte locale, bensì siano all’ordine del giorno in tutto il pianeta. Conosciamo ormai da tempo le dinamiche connesse a tutte le attività “intensive” di produzione alimentare, ma ora come non mai, in un momento cruciale per il futuro dell’umanità, molte criticità finora taciute o gridate e inascoltate stanno prendendo campo e accendono i riflettori su un dibattito improrogabile. È ancora sostenibile la filiera del nostro modello alimentare? Sono maggiori i benefici o i costi? È possibile che uno dei fondamenti biologici e culturali della nostra esistenza sia diventato, nel breve e lungo termine, uno dei maggiori pericoli per l’uomo e per il pianeta? Ancora: quali sono le connessioni fra gli allevamenti intensivi e la proliferazione dei virus? E dato che tutti si interrogano, c’è anche da domandarsi come mai i nostri amministratori non tengano conto dei dati, delle ricerche e dei pareri scientifici, quando esprimono valutazioni o rilasciano permessi a favore di un allevamento da impiantare nel nostro Comune. O, se ne tengono conto, chi fornisce loro dati e pareri? Misteri della politica!
Fatto sta che l’Europa intera, eccetto i reggenti tifernati, si trova a dibattere su tali questioni. In un articolo de “Il Fatto Quotidiano”, a firma di Luisiana Gaita, troviamo alcuni dati molto interessanti sull’impatto effettivo che le carni prodotte con metodi intensivi e i suoi derivati hanno sulla società e sull’ambiente. Si stima che ogni anno in Italia le carni e i prodotti alimentari derivati da bovini, suini e polli creino danni alla salute e all’ecosistema per oltre 36 miliardi di euro; un costo che non appare nello scontrino, ma che ricade sulla collettività. In Italia il costo occulto della carne equivale a 605 euro annui pro capite, di cui il 48% è dovuto a costi ambientali e il 52% a quelli sanitari.
Dunque: quanto paghiamo effettivamente la carne che compriamo? Dobbiamo sapere che, se includessimo nel prezzo al consumatore i costi omessi, il prezzo di vendita della carne di bovino aumenterebbe di 19 euro al chilo, quella di maiale di oltre 10 euro e quella di pollo di circa 5 euro. Questo sovrapprezzo vale anche per i prodotti lavorati, cioè insaccati e consimili. L’analisi è una preziosa traduzione in termini economici di tutti i danni causati dall’allevamento e consumo di carne così com’è concepito ora, ma è palese che la questione non sia solo monetaria. Sono molti ormai a ritenere urgente un cambio di rotta.
Le proteine animali per essere prodotte richiedono, a parità di peso, 6 volte l’acqua necessaria per produrre proteine vegetali; ci sarebbe anche da dibattere, fatti salvi casi particolari, sul mito che le proteine vegetali non possano sostituire quelle animali; gli allevamenti intensivi producono il 20% di tutte le emissioni di Co2 in atmosfera ogni anno a livello planetario. Inoltre gli allevamenti intensivi contribuiscono in maniera importante all’acidificazione dei terreni e compromettono la qualità delle acque attraverso le deiezioni degli animali e i reflui zootecnici. Per non parlare poi dei mangimi e dell’uso che si fa dei fertilizzanti per produrli: basti considerare che la metà dei cereali prodotti in Italia è destinata a mangimi.
Nonostante tutte queste controindicazioni, il settore degli allevamenti beneficia di robusti finanziamenti sia nazionali che europei, spesso inspiegabili quando si tratta di grandi aziende con ricavati altissimi. Ultimo ma non ultimo, la vita degli animali. Milioni di animali, stipati, mortificati, costretti a vivere in condizioni tragiche in veri e propri lager.
Si è espresso, in merito alla produzione e consumo di carne, anche il neoministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, e le associazioni di categoria non hanno visto di buon occhio il suo intervento che esorta i cittadini a ridurre notevolmente l’assunzione di carne. Sta anche a noi consumatori fare la nostra parte, perché, se da un lato è vero che l’economia è fuori controllo, è altrettanto vero che si può, nel nostro piccolo, attraverso scelte mirate, incidere sulle sorti del pianeta e sui fatturati delle aziende produttrici di carni, riducendo l’acquisto delle stesse. Occorre certamente un piano di riconversione per permettere alle attività produttive una virata, e allo stesso tempo tutelare tutti i lavoratori impiegati nel settore agricolo e zootecnico. Siamo in ritardo e a maggior ragione la scelta di impiantare un nuovo allevamento, che sulla carta non risulta intensivo per una misera manciata di polli, qui nella nostra città come altrove ci pare una scelta del tutto anacronistica. Nel nostro piccolo, grazie alla vicenda di Energala, Città di Castello ha la possibilità concreta di dare un segnale forte, un segnale di cambiamento, un primo passo verso la tutela dei cittadini e dell’ambiente, ed è anche l’unico modo per tutelare la politica. Ma per farlo ci vuole coraggio. Ci vuole coscienza. Ci vuole amore. Sta anche ai cittadini averne. Ora più che mai è vitale che tutti facciano la loro parte. Urge costruire una rete per far sì che chi intraprende battaglie per il bene comune non resti isolato a combattere contro l’ottusità di una politica autoreferenziale. Occorre capire che “il bene” o è comune o è di qualcuno. Per questo occorre partecipare, muoversi come un organismo, farsi sentire uniti. Anche attraverso questo giornale, per chi lo volesse. ◘
di Andre Cardellini