Congo. L’uccisione dell’Ambasciatore Luca Attanasio non è avvenuta per errore. Nigrizia ipotizza che si tratti di un omicidio premeditato e punta il dito contro il Rwanda. In Italia tutto tace
Il direttore di Nigrizia, padre Filippo Ivardi Ganapin, più di un mese fa ha scritto nel blog del prestigioso mensile dei padri comboniani, che l’assassinio dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Malimbo non è stato un tentativo di rapimento finito male, ma un omicidio premeditato. Un assassinio di Stato organizzato in Rwanda ai massimi vertici istituzionali, con un’operazione in codice denominata “Milano” e gli attentatori indicati con nomi e cognomi. Ma ancora tutto tace. Nessuno ha ritenuto di dare seguito alle ipotesi dell’accaduto raccontate da Nigrizia, né a livello istituzionale né a livello di informazione, tranne un breve articolo del Messaggero. Ci siamo rivolti direttamente a padre Filippo Ivardi Ganapin, per chiedere la ragione di tale silenzio.
Quali elementi avete per sostenere un’accusa così precisa e circostanziata? Le vostre fonti sono sicure? E verificate?
«Abbiamo delle fonti sia rwandesi sia congolesi, che ovviamente dobbiamo proteggere, verificate in profondità e che sostengono alcune ipotesti circa lo svolgimento dei fatti. Poi è compito della magistratura fare le indagini necessarie e accertare le responsabilità del caso».
Ciò nonostante le vostre ipotesi puntano il dito in una direzione precisa.
«Sono cose che diciamo da anni perché è da tempo che seguiamo le vicende dell’est della Repubblica del Congo (Rd C) dove è in atto un processo di balcanizzazione di quella zona. Ciò ci porta a dire che l’attacco sul territorio di un altro Stato a un ambasciatore non può avvenire a caso e non può essere un errore per un tentativo di sequestro. C’è una responsabilità diretta di chi comanda in quella zona».
Chi comanda in quella zona?
«Quella zona è sotto l’influenza diretta del regime rwandese di Paul Kagame. Se abbiamo sbagliato faremo ammenda del nostro errore, ma finora nessuno ci ha smentito. A est del Congo è in atto un processo di sfruttamento colossale e un evento del genere è l’indicazione precisa che si sta creando un nuovo assetto di potere all’interno della Rd Congo».
Di cosa si tratta?
«Di tre regioni di questa grande nazione ai confini con Rwanda e Uganda lontane dalla capitale, dove la presenza dello Stato si sente poco, e quindi sono oggetto delle attenzioni dei Paesi confinanti. Si tratta di regioni in cui i gruppi di guerriglia si moltiplicano, perché cercano di trarre vantaggi sia economici che politici dalla gestione dei minerali strategici (come il coltan, ma anche petrolio e cobalto), che abbondano da quelle parti. Per questo in quella vasta area è di stanza da 20 anni una missione di pace delle Nazioni Unite, che costa un miliardo di dollari l’anno, senza ottenere risultati apprezzabili».
Qual è il collegamento tra le due cose: lotta di potere e assassinio dell’ambasciatore?
«I riflettori sono stati giustamente accesi sulla figura di Luca Attanasio, persona eccezionale. Ma essi hanno messo in ombra almeno due aspetti che riguardano il contesto in cui ciò è avvenuto».
Quali?
«In primo luogo la storia di un Paese sempre controllato da potenze straniere. Bisogna qui ricordare le figure di Patrice Lumumba, primo premier dello Zaire (ex Congo) libero e di Laurent-Désiré Kabila, entrambi assassinati quando hanno provato a riprendere nelle loro mani il destino del Paese. Dal 2001 il potere è in mano al figlio di Kabila, Joseph – persona controversa di cui è incerta addirittura la paternità attribuita all'ex Presidente ucciso –, che lo ha tenuto fino al 2018, anno in cui si tengono nuove elezioni. Non potendosi presentare, Kabila candida un suo delfino».
E il secondo?
«Le elezioni politiche sono state volute con determinazione dalla Chiesa cattolica, e per assicurarne il regolare svolgimento sono stati impegnati 40 mila osservatori, preparati e inviati nei seggi in tutto il Paese per monitorare il voto, lo spoglio delle schede e la conta dei voti in un territorio che è grande 8 volte l’Italia, con 90 milioni di abitanti. Inoltre c’erano anche osservatori internazionali e molti analisti. Il vincitore è stato Martin Fayulu, esponente della società civile con il 60% dei suffragi, come hanno potuto verificare gli osservatori in campo, ma il risultato è stato ribaltato proclamando vincitore un outsider: Félix Tshisekedi. Il neo Presidente non avendo la maggioranza nella nuova Assemblea ha dovuto fare un’alleanza innaturale con l’ex Presidente Kabila, vero detentore del potere, il quale ne ha riconosciuto la vittoria, chiedendo in cambio la guida congiunta del Paese. Kabila è sempre stato un uomo del Rwanda. Ma l’accordo spartitorio è durato meno di due anni, perché il neo Presidente, attraverso una operazione di corruzione, ha comprato deputati del campo avverso con una operazione denominata Plan de l’Union Sacrée che gli ha permesso di avere la maggioranza parlamentare. Ciò ha costretto Kabila a rifugiarsi nel Katanga. E, coincidenza di cui nessuno ha parlato, il 22 febbraio, giorno dell’attentato all’ambasciatore, Kabila è volato negli Emirati arabi, amici del Rwanda».
Cosa significa?
«Al suo rientro in Congo, Kabila è passato per lo Zimbabwe e per la Tanzania cercando di creare una vasta rete di relazioni per rafforzare il suo rapporto col Rwanda. L’attentato dunque sembra un segnale molto forte inviato dal regime di Kagame, legato all’ex presidente Kabila, per rendere chiaro a tutti chi comanda in quella zona. E chi comanda anche per conto terzi».
Chi c'è oltre questa prima linea?
«Sono presenti oltre 90 multinazionali in quella zona. Inoltre dietro Rwanda, Uganda e Burundi ci sono Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Cina e l’Unione europea. Queste potenze controllano il traffico dei minerali che sono indispensabili per alimentare la struttura digitale da cui dipende tutto il sistema finanziario ed economico dell’Occidente».
Per quale motivo l’ambasciatore Attanasio era considerato persona scomoda?
«Perché era un ambasciatore fuori dal coro. Luca Attanasio era una figura straordinaria, molto vicina al mondo missionario, impegnato a sostenere le persone povere. Non è un caso, e anche questo è un dato sicuro, che andasse a trovare con una certa regolarità Denis Mukwege, premio Nobel per la pace 2018, il medico che cura le donne stuprate, più volte minacciato di morte per aver richiesto un tribunale internazionale per la Rd Congo».
Su cosa stava indagando l’ambasciatore italiano?
«Era al corrente sia dei massacri perpetrati all’est del Paese sia della presenza di fosse comuni. Inoltre indagava anche su malversazioni di denaro da parte del Pam (Programma Alimentare Mondiale) e di un mondo della cooperazione non certo trasparente. I responsabili di ciò che è accaduto sono coloro che controllano questa vasta area, ovvero il regime di Paul Kagame al potere dal 1994. Ricordo che il Rwanda esporta coltan e non ne possiede: è diventato una potenza economica proprio grazie alle ricchezze dell’est del Congo».
Perché di fronte ad accuse così chiare il Governo italiano tace?
«È in corso un’inchiesta e vedremo a cosa porterà. All’inizio c’è stato molto clamore, poi è tornato il silenzio. Credo che l’Italia sia troppo coinvolta, come gli altri Paesi della Ue, e non riesca a far sentire la sua voce. Assicurare il controllo su quest’area del mondo è indispensabile per l’Occidente. A noi è sembrato molto strano che non ci siano state autorità di un certo rilievo, ministri che si siano recati sul posto, che siano andati a parlare col Presidente congolese.Non si è mosso nessuno, ma ancora qui si continua a morire. Anzi, gli attacchi sono ripresi con grande determinazione. Però il Governo si è preoccupato di inviare Di Maio a Tripoli per incontrare il neo primo ministro libico con De Scalzi, perché l’Italia deve riposizionarsi in Libia, dove ultimamente aveva perso terreno. Lì c’è l’Eni. Questo dimostra ancora di più che è l’economia a dettare l’agenda della politica». ◘
di Antonio Guerrini