Cronache d'epoca
1927, un anno molto importante nella storia del cinema. Segna la fine del muto e l’avvento del sonoro. Succede negli Stati Uniti d’America con il film “Il cantante di Jazz”, protagonista Al Jonson, uno dei più importanti cantanti americani di quel tempo. In Italia il primo film parlato esce nell’ottobre del 1930 con il titolo “La canzone dell’amore”, canzone che si rivolge a una certa Lucia: “Solo per te Lucia va la canzone mia, come in un sogno di passion, tu sei l’eterna mia vision…”. Motivo non del tutto dimenticato, almeno per chi ormai è rimasto con poca legna da ardere. Sempre in quegli anni Trenta del secolo alle spalle, ai cinema Eden e Sant’Egidio si aggiunge il teatro Vittoria, già Bonazzi, dove fino al 1937 si davano convegno le società rionali cittadine, soprattutto per le loro feste carnevalesche, alternate a opere liriche e di prosa, non disdegnando altresì spettacoli di rivista e avanspettacolo e che ora dà la priorità al cinema. Ormai Città di Castello ha tre sale cinematografiche, «ma c’era posto per tutti» scrive ne "La Voce" don Rolando Magnani, direttore di Sant’Egidio. Nel 1940 l’Eden rinnova il locale e, tanto che ci siamo, anche il nome, non più Eden ma Littorio. Eden è un nome scomodo, lo porta un prestigioso uomo politico della “perfida Albione” e questo raschia come carta vetra alle orecchie del regime fascista. È ora di lasciare il passo ai nerboruti littori romani dell’antica Roma dei Cesari, i quali prendono la palla al balzo, in questo caso la frase sta a pennello, per dare il loro nome anche al campo sportivo. Termina il 1940. Nel 1941 si scrive: «Città di Castello con il Littorio rinnovato e il Vittoria con la sua ottima attrezzatura possiede due locali di primissimo ordine, i quali si alternano. Così tutte le sere c’è uno spettacolo. Inoltre c’è una novità: l’ingresso è continuato per dare al pubblico la possibilità di scegliere l’ora più propizia». È il 1943 quando arriva la guerra in casa, quella vera, non c’è più posto per le emozioni di celluloide. Il pane è razionato, chiudono i tre cinema, c’è il coprifuoco, le strade sono quasi buie, illuminate da fioche luci azzurrognole. Ronde di “bilinciani” fascisti bussano minacciose alle porte di casa se traspare un filo di luce. La sirena della torre del Vescovo suona allarmi, spesso sono falsi, ma qualche volta ci azzecca sull’arrivo di aerei nemici. I rifugi antiaerei sono negli scantinati di vetusti palazzi privati e pubblici, anche nel Duomo di sotto. Cadono le bombe, ci sono vittime. I tedeschi in fuga fanno saltare la stazione del treno, i ponti, commettono atrocità su gente inerme… La città è abbandonata. E nel mese di luglio del ’44 arrivano le truppe inglesi dell’ottava armata. L’incubo è finito. Si riprende a vivere. Piano piano si riallacciano fili che la guerra aveva spezzato. Si leccano le ferite, è il tempo della speranza. La gente ha voglia di voltare pagina. Anche i cinema, seppur lentamente e tra mille difficoltà, riaprono i battenti, ma tra i molti problemi il primo da affrontare è la scarsezza di energia elettrica che non riesce a illuminare lo schermo. Problema che i gestori dei due cinema maggiori risolvono posizionando fuori dai rispettivi locali un trattore con motore a scoppio, la cui forza motrice genera energia elettrica atta a supplire alla carenza di quella pubblica. Intanto i littori, riposti nel sacco delle pagliacciate fasciste le loro verghe ben strette con una scure al centro, perdono anche il nome del cinema che ora si chiamerà Italia, un nome meno compromettente. ◘
(Continua)
di Dino Marinelli