Giovedì, 25 Aprile 2024

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L'ideologia degli impianti

AMBIENTE. Discariche e inceneritori, ecco la risposta umbra allo smaltimento

silvia romano2

Confindustria, professori universitari, tecnici regionali e politici da questi imbeccati vanno ripetendo come un mantra che la soluzione all’annoso problema dei rifiuti siano “gli impianti”. Visti come alchemici risolutori dell’atavico dilemma “o li bruci oppure che fai, te li mangi?”, gli impianti sono non a caso il settore di maggior economia di scala e di profitti per le imprese private del settore (entro cui vale la pena includere le società miste pubblico/privato che le imitano in tutto e per tutto), o sono stati gli strumenti a disposizione della politica locale per sottrarre all’occhio del cittadino i rifiuti, facendogli pagare una tariffa ridotta, smaltendo tutto in discarica.

Le discariche sono impianti, come lo sono inceneritori, impianti di compostaggio o biodigestione, di trattamento dell’indifferenziato. Ma tutti, come è facile intuire, si collocano a valle dell’intero sistema. E a monte? Cioè prima di arrivare a discarica e inceneritori, o cementifici con il css, possibile non esista nulla? Certo, ed è proprio quello che i soggetti succitati vedono come spreco, inefficienza, costo elevato, e varie altre diavolerie, e cioè il sistema di raccolta porta a porta.

La raccolta costa e ci si guadagna poco, come se pagare stipendi a lavoratori sia un solo costo economico, tenendo conto che un sistema di raccolta porta a porta richiede in media un addetto per mille abitanti, quindi nuove assunzioni, quindi nuovo lavoro. Ma per chi vede i rifiuti come business questo eccellente volano economico e sociale non può che essere un costo.

Da qui l’esaltazione degli inceneritori, delle false soluzioni nord europee e dei mega impianti che bruciano rifiuti, fanno elettricità e scaldano le case di interi quartieri: peccato poi vedere annoverati gli inceneritori tra le principali fonti di emissioni climalteranti solo dopo acciaierie, cementifici e petrolchimici. Ma questo viene sempre sottaciuto, ovviamente.

Eppure l’Italia fa scuola al mondo. Non in incenerimento pseudo-virtuoso, ma esattamente all’opposto. La società Contarina, una SpA completamente pubblica, copre il bacino della Provincia di Treviso per un totale di 550mila abitanti con una percentuale al 2019, dati del Rapporto sui Rifiuti Urbani 2020 di Ispra, dell’87,8% di raccolta differenziata. Ha un solo impianto di compostaggio per tutto il bacino, un solo impianto di trattamento dell’indifferenziato, e una sola discarica. Sono alieni? Somari? Inefficienti? No. Sono il miglior sistema di gestione dei rifiuti a livello europeo. Hanno di fatto già raggiunto l’obiettivo dato dalla UE al 2035, di conferire in discarica non più del 10% dei rifiuti totali.

Cosa ci insegnano? Che la questione rifiuti è innanzitutto una faccenda “gestionale”, “organizzativa”, socialmente risolta. Che gli impianti servono dimensionati, pochi e nuovi.

E l’Umbria, che ha una popolazione di 900mila abitanti, cioè poco meno del doppio di Treviso, e con un tessuto urbano molto semplice da raggiungere con una buona raccolta porta a porta? Sempre dai dati Ispra 2020 vediamo che ha cinque discariche di cui quattro in esaurimento, sei impianti tra compostaggio e biodigestione che per funzionare trattano anche rifiuti da fuori regione perché sovradimensionati rispetto ai bacini di produzione dei rifiuti, cinque impianti di trattamento dell’indifferenziato molto vecchi e con percentuali di recupero di materia riciclabile attorno al 3%, e percentuale di raccolta differenziata a livello regionale poco sopra il 65%, limite imposto da direttive e normativa nazionali.

Cosa sta decidendo la Regione Umbria per invertire la rotta? Per correggere tali storture dovute ad una miope visione di futuro delle precedenti amministrazioni, ma anche degli uffici regionali e delle autorità di ambito prima della creazione dell’ambito unico regionale? Dal PNRR dell’Umbria ci fanno sapere di voler fare tre nuovi impianti di trattamento dell’indifferenziato per produrre css (combustibile solido secondario da mandare a incenerimento nei cementifici di Gubbio, anche se lo negano ufficialmente) e una quota di residuo a incenerimento (a Terni, dove Acea attende di essere autorizzata dalla Regione). Il tutto per trattare un volume di indifferenziato di 150mila tonnellate annue. Poco per giustificare tanti impianti. A meno che, come sarà certo, non arrivino altri rifiuti come copertoni usati per aumentare il potere calorifico del css e renderlo più efficiente nella combustione, e continuare a lasciare interi territori con bassissime percentuali di raccolta differenziata e scarsa qualità del differenziato, così da assicurarsi volumi importanti di scarti da aggiungere a quelli trattati nei tre nuovi impianti.

Anche per questo sabato 24 aprile, in quattro territori della nostra Regione, Terni, Gubbio, Spoleto e Perugia, decine di comitati e associazioni hanno fatto una manifestazione in simultanea. L’unica speranza sono i cittadini. ◘

di Luciano Neri


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