Bolivia. Ruolo e responsabilità dell’Unione europea e della Conferenza episcopale boliviana nel golpe del 2019: IL RAPPORTO DELLA VERGOGNA
La Bolivia è uno dei pluriversi umani e naturali più ricchi e meravigliosi del mondo. 32 nazionalità indigene originarie sono riconosciute da una delle Costituzioni più avanzate del pianeta, certamente la più avanzata dell’America latina, che è alla base dello Stato plurinazionale e che amplia la nozione classica di diritto di cittadinanza con il riconoscimento delle “nazioni e dei popoli indigeni originari”. Al tempo stesso la Bolivia è storicamente luogo di insediamento di una delle classi bianche, numericamente minoritaria, più reazionaria, razzista e violenta del continente latinoamericano. Ceti ricchi e medio-alti politicamente legati all’estrema Destra continentale ed europea (Bolsonaro in Brasile, Duque in Colombia, il pinochetismo in Cile, Vox in Spagna, Fidesz di Orbán in Ungheria, Alba Dorata in Grecia…). Ceti ricchi affiancati da militari repressivi e golpisti che, fino alla vittoria del Mas (Movimiento Al Socialismo) del 2006 e alla elezione del primo Presidente indigeno della Storia, Evo Morales Ayma, hanno tenuto la grande maggioranza della popolazione indigena, contadina e operaia, in condizioni di schiavitù, negando diritti basici e lo stesso diritto di esistere e vivere come esseri umani. Ceti ricchi, razzisti e numericamente minoritari che vorrebbero riportare indietro l’orologio della Storia al 1492. È questo il contesto nel quale sono maturati gli avvenimenti di questi decenni, dai 13 anni di governo del Mas alla rottura costituzionale e al golpe del novembre 2019. L’argomento che analizziamo in questo nostro servizio.
Le tre Chiese boliviane
Ovviamente le Chiese sono più di tre. Utilizziamo questo numero semplificato per far capire al lettore le differenze e le componenti costitutive principali della Chiesa in Bolivia.
A) C’è una Chiesa ufficiale, che rappresenta solo la minoranza ricca e medio-alta boliviana, espressa da conservatori come il Presidente della Conferenza episcopale, Ricardo Centellas, o dall’italiano Sergio Gualberti, uno dei più vicini e compromessi con la Destra boliviana, soprattutto con quella estrema della sua diocesi, Santa Cruz, gestita da un esponente come Luis Fernando Camacho, un estremista della Destra razzista che se potesse fonderebbe domani il Ku Klux Klan boliviano. Quelle di Gualberti non sono omelie ma comizi politici. «L’indifferenza e il silenzio – ha affermato alcuni giorni fa – aprono il cammino alla complicità». De te fabula narratur, direbbe il poeta latino Orazio (La storia parla di te).
In un intervento recente è arrivato a dire di «riconoscere il Signore crocefisso nelle vittime di questa giustizia, corrotta e servile, che sta alimentando scontri e divisioni». Corrotta e servile sarebbe la Procura Generale dello Stato e le istituzioni per la protezione dei diritti umani, che stanno investigando sulle responsabilità di militari e politici responsabili dei massacri di Senkata, Sacaba, Ovejuyo e del Pedregal (30 morti), degli oltre 800 feriti, dei 1500 arresti illegali perpetrati nei giorni immediatamente successivi al golpe? Come farebbe qualsiasi organo giudiziario indipendente in qualsiasi Paese democratico. E come fa lo stesso Stato del Vaticano. Cosa chiede questa componente della gerarchia cattolica boliviana? Non verità e giustizia per le vittime, ma l’impunità per i politici e i militari golpisti. Questa non è la componente maggioritaria tra i cattolici boliviani, ma è quella con più potere.
B) C’è poi una Chiesa “boliviana”, legata alla teologia popolare, sensibile alle domande degli umili e che sostiene le rivendicazioni delle comunità indigene e degli strati più bisognosi. Una Chiesa che ha nel cardinale Toribio Ticona la sua figura più riconosciuta e amata. Espressione di quella Teologia popolare e della Liberazione che tanta influenza ha avuto in America latina e nel mondo, Toribio è il rappresentante dell’episcopato boliviano più in sintonia con le idee e la missione di papa Francesco, che lo ha nominato cardinale nel 2018. Componente della Chiesa rappresentata anche dai tanti sacerdoti “de barrio y de comunidad”, molti di loro giovani, che operano nelle condizioni più difficili al fianco dei settori popolari. Forte riferimento spirituale e culturale di questa componente è padre Luis Espinal, il Romero boliviano, giovane gesuita sequestrato, torturato e ucciso il 21 marzo 1980 da un gruppo paramilitare.
C) C’è poi una larga parte di cattolici boliviani che esprime la propria fede senza riconoscersi con quella parte della gerarchia episcopale apertamente schierata con la Destra nostalgica e neo-coloniale. Tra questi anche molti aderenti ed elettori del Mas, fenomeno del tutto naturale se si considera che questo movimento rappresenta la larga maggioranza dei cittadini della Bolivia appartenenti alle diverse classi sociali, a diversi orientamenti valoriali e, naturalmente, ai diversi credi religiosi.
Golpe, ricerca della verità e “informe” della Conferenza episcopale boliviana
Nei giorni scorsi il Presidente boliviano Luis Arce Catacora ha annunciato l’avvio di una campagna informativa a livello internazionale sul golpe civico-militare portato avanti nel Paese a fine 2019. Contemporaneamente la Procura Generale dello Stato ha presentato all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite un rapporto sulle proteste violente e sull’ammutinamento di settori della Polizia e delle Forze Armate, qualificando gli eventi come «un colpo di Stato pianificato e realizzato dai Comitati Civici (organizzazione della Destra) di Luis Fernando Camacho unitamente alla Polizia, ai militari e alla Chiesa cattolica». L’indagine della Procura Generale chiama direttamente in causa quei componenti della Conferenza episcopale che ebbero un ruolo attivo negli eventi e che potrebbero essere chiamati a deporre di fronte all’autorità giudiziaria. Per questo non appare strano che il Rapporto della Conferenza episcopale sia stato inviato, oltre che al Papa e alle Chiese latinoamericane, anche alla Procura Generale boliviana. Il Rapporto, duramente contestato come falso dal governo, dai movimenti indigeni e sociali e dalla “Defensoria del Pueblo”, è considerato un tentativo di ripulire la faccia del golpismo e di occultare il protagonismo avuto dai settori conservatori dell’Episcopato nel golpe civico-militare. Il Rapporto di questo settore della Destra episcopale è la fotocopia esatta della posizione della Destra politica fondata sulla falsa narrativa della frode elettorale, mai esistita, che avrebbe determinato gli eventi violenti successivi. Per quanto possa essere legittimamente interpretata l’opportunità o meno di una nuova candidatura, che non può comunque giustificare una rottura costituzionale e un colpo di Stato militare, Evo Morales aveva effettivamente vinto le elezioni di ottobre 2019. Come certificato dai più qualificati istituti di sondaggio a livello internazionale e dallo stesso Mit (Massachusetts Institute of Technology). Il Rapporto definisce “enfrentamiento”, scontro tra diversi settori della società, i massacri di Sacaba e Senkata che un’ampia documentazione video, documentale e testimoniale ha evidenziato per quello che sono stati: l’azione violenta di militari che hanno sparato su persone inermi, persino dagli elicotteri. Toccante è la testimonianza di quel giovane sacerdote che in lacrime ha raccontato di come ha aperto la sua chiesa per accogliere i morti e i feriti. Violenza dei militari che è continuata con l’aggressione due giorni dopo persino al corteo funebre ed ai familiari che accompagnavano le vittime. Su questi crimini il Rapporto tace, così come tace sulla repressione delle popolazioni che resistevano al golpe, sulle aggressioni delle bande fascistoidi paramilitari contro indigeni e “mujeres de pollera” (donne vestite con la gonna tradizionale indigena), sulla persecuzione contro ministri del governo, parlamentari ed esponenti del Mas che sono stati sequestrati, incarcerati, aggrediti, torturati, costretti all’esilio ed ai quali sono state bruciate le case. Il Rapporto parla degli incontri promossi dalla gerarchia episcopale nella sede dell’Università cattolica dal 10 novembre 2019 in poi e presenta l’Episcopato come soggetto “facilitatore del dialogo”. Ruolo del tutto improbabile, dato che, per essere facilitatore, occorre avere una equidistanza che le gerarchie episcopali boliviane non hanno mai avuto. Ma non dice che nell’incontro del 10 novembre, quello nel quale il golpe ha preso corpo con la decisione di nominare Jeanine Áñez Presidente dello Stato, non c’era nessuno del Mas (partito largamente maggioritario in Parlamento), ma solo partiti della Destra, che tutti insieme arrivano a malapena al 20% dei consensi. Non dice che la decisione di nominare Áñez, esponente di un gruppo della Destra che conta due parlamentari e il 3% dei voti, è stata assunta con un accordo tra militari, partiti della Destra e gerarchie ecclesiali in violazione della Costituzione. Non dice che l’assemblea legislativa è l’unico organo costituzionalmente abilitato a discutere, accettare o respingere le dimissioni o la nomina di un Presidente. Non dice che l’autoproclamazione di Jeanine Áñez è avvenuta nella sala semivuota di un Senato senza quorum in mancanza di tutti i parlamentari del Mas, ai quali era stato impedito l’accesso. Il Rapporto afferma che l’Episcopato ha preso l’iniziativa per il vuoto politico che si era venuto a creare. Ma i rappresentanti episcopali non dicono che quel vuoto era il prodotto dell’azione violenta e anticostituzionale portata avanti contro la democrazia e contro il Parlamento dai militari golpisti e da quei gruppi della Destra politica, i cui rappresentanti sedevano, quel 10 novembre del 2019, al loro fianco nell’Università cattolica per pianificare e attuare il golpe che, quel giorno, di fatto, veniva avviato con la scelta della Áñez quale Presidente. Non dice che quel vuoto istituzionale era stato determinato dall’ammutinamento dei militari golpisti e dalla dichiarazione del comandante delle forze armate, William Kaliman (oggi ricercato dalla giustizia boliviana e fuggito negli Stati Uniti) che, senza alcun titolo né legittimità, ha chiesto le dimissioni di un Presidente costituzionalmente legittimato ed eletto con il voto dei cittadini boliviani. Nello stesso momento in cui venivano schierati i militari e la polizia nelle strade a fianco dei gruppi paramilitari della Destra, cominciando la caccia contro esponenti del Mas, indigeni e movimenti sociali. Il Rapporto non dice con quale legittimità l’incaricato d’affari degli Stati Uniti, l’ambasciatore dell’Unione europea e l’ambasciatore brasiliano, riuniti in forma privata in un incontro a porte chiuse, abbiano potuto arrogarsi il diritto di prendere decisioni che spettano esclusivamente a organi costituzionali e legislativi democraticamente eletti. I redattori episcopali del Rapporto mentono quando affermano che la Áñez doveva essere nominata Presidente per linea di successione, in quanto nuova Presidente eletta del senato. Mentono perché conoscono la Costituzione e il regolamento del Senato che all’art. 35 recita: «la presidenza del Senato deve essere assunta da un rappresentante del blocco maggioritario». E il blocco maggioritario è il Mas. La Áñez non poteva essere mai eletta Presidente del Senato e nemmeno dello Stato.
L’Unione europea e il golpe in Bolivia: da complice silente a protagonista diretto
L’Unione europea, e il Parlamento europeo in particolare, sono diventati ormai l’ombra di se stessi. Giova ricordare, ad esempio, che la campagna d’Europa contro la Bolivia è spinta e diretta dal partito franchista e fascista spagnolo di Vox, e con particolare esaltazione dall’eurodeputato Hermann Tertsch la cui unica attribuzione conosciuta è quella di essere figlio dell’ex gerarca nazista Ekkehard Tertsch. Essere attaccati da nemici come questi costituisce per i dirigenti del Mas e del Governo, per i movimenti indigeni e sociali e per i democratici della Bolivia una medaglia di merito. Ma, nonostante le degenerazioni nazionaliste, razziste ed euro-fobiche della Destra continentale, noi teniamo a un’Europa che recuperi lo spirito originario umanistico, libertario, solidale, aperto al mondo e che abbandoni ogni residuo neocoloniale. Per questo abbiamo criticato quello che nel recente passato abbiamo definito “il silenzio complice” dell’Europa rispetto al golpe civico-militare del 2019 in Bolivia. Tuttavia oggi gli elementi di indagine ci dicono che non di solo silenzio si trattò. L’ambasciatore dell’Unione europea León de la Torre, ha avuto un ruolo attivo negli incontri che hanno portato alla nomina illegittima di Jeanine Áñez e alla pianificazione e all’attuazione del colpo di Stato in Bolivia. Vogliamo sapere che cosa faceva un ambasciatore dell’Unione europea a un incontro all’Università cattolica di La Paz, con l’incaricato d’affari degli Stati Uniti, con l’ambasciatore del Brasile, con esponenti dell’episcopato boliviano e con esponenti dei partiti della Destra boliviana per discutere e decidere in merito a scelte e incarichi la cui attribuzione spetta per mandato costituzionale esclusivamente alle assemblee legislative dei senatori e dei deputati boliviani. Quale è stato il livello di coinvolgimento, quale ruolo ha avuto l’Ambasciatore dell’Unione europea León de la Torre all’interno di questo ristretto gruppo di potere che ha dato corso al golpe, che ha esautorato gli organi legislativi e che ha illegittimamente nominato Presidente dello Stato una esponente dell’estrema Destra minoritaria dell’oriente boliviano? Quale mandato aveva l’Ambasciatore León de la Torre, ricevuto da chi e per fare che cosa in quelle determinate circostanze in Bolivia? Ma non solo, questo sarà chiesto dalle Associazioni che hanno predisposto uno specifico appello per conoscere le esatte dinamiche, le azioni e le responsabilità dell’ambasciatore León de la Torre e dei diversi ambiti UE coinvolti nelle vicende che hanno preceduto e accompagnato il golpe del 2019 in Bolivia.
Nel periodo del regime ad interim, l’UE ha devoluto alla Bolivia corposi sostegni finanziari come raramente era avvenuto nel passato. Con l’obiettivo, è stato detto, di sostenere la formazione del personale e le strutture impegnate nell’assistenza sanitaria contro il Covid-19. Oggi noi sappiamo che con il governo nato dal golpe del 2019 non ci sono stati solo undici mesi di persecuzioni, di incarceramenti e di massacri, ma anche undici mesi di corruzione, di appropriazione indebita, di riciclaggio, di rapina di fondi pubblici, di furto di terre e beni comuni appartenenti ai boliviani che hanno coinvolto i vertici del governo Áñez. Per questo le Associazioni chiederanno di avere una risposta dettagliata sulla immensa quantità di fondi transitata dall’Unione europea alla Bolivia nel periodo del governo golpista. Chi sono stati i referenti dell’Unione europea e della Bolivia che l’hanno gestita, la sua destinazione d’uso, i risultati prodotti e gli eventuali atti corruttivi che avessero portato alla distrazione rispetto alle finalità indicate? Esigiamo trasparenza, e come noi la chiedono le autorità pubbliche e i cittadini boliviani ed europei. ◘
di Luciano Neri