Sul davanzale del mondo

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Recensione

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È uscito recentemente, edita da Il Vicolo di Cesena, una originale raccolta di poesie dal titolo Sul davanzale del mondo. Ne è autrice Nadia Pucci, un’insegnante urbinate di storia e filosofia, che - accanto all’interesse per il mondo classico e per il pensiero di Platone - ha coltivato costantemente la passione per la parola poetica, a cui ha affidato, filtrata e tradotta in immagini, l’espressione intensa di emozioni e ricordi, la ricerca di un senso nello scorrere del tempo segnato dal dolore.  

Il testo è diviso in sezioni, in ognuna delle quali prevale un tema; tuttavia è sempre identico lo sguardo dell’autrice sul mondo, sulla natura, sulle persone, sulle speranze e sul dolore, a cui non si dà spiegazione. La prima sezione, “Per Giulia”, si apre con una invocazione che esprime la persistenza di una ferita ancora viva, un dolore intenso comunicato attraverso le immagini potenti del mito: “Erinni chiamo/….A Demetra/ la Kore/ rapita/ sul ciglio del cielo/ mentre fiori coglieva/ urlo”. Nelle liriche che seguono per Giulia-Kore le parole esprimono la pienezza della vita colta, attraverso ardite analogie, metafore, sinestesie, nel palpito luminoso e vitale della natura; ne comunicano il respiro, i colori, i suoni, “le grida purpuree delle rondini”, ”la luce dorata dei tramonti”, le “lucciole nell’ombra senza voce”. Ma poi “Un varco s’è aperto nella vela/ continua del tempo, gorghi/ invisibili appaiono assediando la trama…” “S’è svuotata l’acqua che langue/ senza lucciole sui campi arsi/ sgricito è il cielo e scolorato, …raro d’uccelli, coronato di spine è il silenzio… Lascia che ti cerchi come fonte/ sorgiva nell’onfalo della terra/nera nutrice fino all’Albero…”.  Infine “L’urlo…”si esprime in immagini potenti della natura sconvolta, quando il “dolore feroce” ha “sbranato il cuore”.

Il dolore è parte della vita, ed è sempre dolore di persone, è la morte senza senso dei bambini di Beslan, è il dolore di una madre dipinto da Raffaello nella Pala Baglioni. La poesia, che scava nel cuore dell’uomo e va oltre la superficie delle cose, ha la grande responsabilità di esprimere musicalmente “la luce”, ma anche, con “sillabe spezzate”, il “pianto”: “Nelle pieghe dei versi/ si raccoglie pensiero/ dell’Essere pieno/… dagli estremi al centro/ uguale, dove il tempo/ è lo spazio rotondo”.

Nella seconda sezione, “L’albero di neve”, dove l’autrice “ha lavorato il dolore”, l’albero diventa metafora della natura madre, “epifania della terra nutrice”, fortemente radicata e svettante fino al cielo, che ha in sé la vita e la morte;  “ai penetrali del tempo” vorrebbe giungere, “alle sue nudità” prima dell’inizio, che porta in sé luci e ombre; come l’albero di noci che “accarezza i coppi del tetto rotti”, i cui frutti cadono a terra “senza fretta con un suono dimesso” e rimandano a pensieri di cose concrete, di un mondo contadino - vita vissuta che conosce i ritmi delle stagioni, del fiorire e del marcire “nel tempo rotondo”.

Di questo mondo semplice ed autentico, il suo mondo,  Nadia, nella terza sezione, “Solo per amore”, dipinge con rapide pennellate, su sfondi di estate piena che “respira l’odore dell’autunno”, persone come la Clelia, col fazzoletto in testa, che prepara le pannocchie, le mele e i fichi, la crescia; il nonno con la sua pipa nella bottega, lo sguardo limpido e le mani nodose; la nonna accanto al fornello, e il profumo di piselli dell’orto; e poi Madeleine, e Jule, Francesca, Giovanni…e, allargando l’orizzonte, lo scrittore urbinate Volponi… 

Infine, in “Trittico per mio padre”, è ricordato il padre, che a volte per qualche guasto scendeva col casco nei pozzi scuri, e poi quando, dismessi i panni unti di lavoro, “indossava la camicia candida inamidata  con i gemelli d’oro”, e la giacca blu elegante cucita e stirata dalle mani agili della mamma; il padre che, dopo l’8 settembre, tornò a piedi dall’Albania e, braccato dai tedeschi, riuscì a salvarsi nascondendosi in anfratti coperti di rovi, senza perdere mai la speranza, nutrita dal ricordo dei suoi.

Mantenendo la metafora della “vela del tempo” l’autrice afferma che è difficile veleggiare senza timone, tra le onde dell’alta marea, che spingono verso la notte e le gomene non sostengono l’assalto di stelle del cielo… “je suis le bateau ivre” …   Ma tornerà “a casa in breve dai due/ tornanti che i campi accolgono/ accecati di spighe fra i greppi/ di vitalbe e more”.

Nell’ultima sezione, “Viaggi brevi”, che comprende cinque prose poetiche, Nadia descrive con amore scene di vita, sullo sfondo della sua città, Urbino, e delle colline che la circondano. Sono ricordi di persone semplici, tratteggiate a volte con sorriso. Nell’ultimo brano il tema del tempo, scandito dal battito di un orologio e dalla nascita, con difficoltà, di una creatura, chiude questa raccolta confermando l’amore per la vita, pur nella consapevolezza dell’inevitabilità del dolore.

La postfazione di Giuliana Maggini con sensibilità e sapienza valorizza l’originalità del linguaggio poetico di Nadia, che, scrutando la vita “sul davanzale del mondo”, fa affiorare nelle immagini il senso delle cose. ◘

di Gabriella Rossi