PERUGIA. Arredi e trascuratezze urbane. Gli utili vespasiani deturpano la città, ma nessuno provvede a dotarla di servizi igienici pubblici
Per quale motivo furono a suo tempo rimossi e aboliti vespasiani, diurni, latrine e gabinetti pubblici, che costituivano autentiche micro-architetture di funzione sociale? La domanda potrebbe apparire sciocca, fatua e incongruente, ma non lo è perché tutti, indistintamente, sottostiamo a certe inderogabili necessità fisiologiche. Per risolvere la questione dovremmo forse attendere che a Perugia si organizzi un festival incentrato sull’ingegneria genetica? Sì, perché in natura, anche se esistono specie viventi immuni da certe impellenti necessità, la specie umana continua a nascere sempre allo stesso modo.
Il problema non è irrilevante, non è di poco conto e non può essere liquidato per motivi falsamente estetici, come fu fatto a suo tempo eliminando di sana pianta ogni forma di architettura sociale. Questa soppressione, rimozione è un retaggio del passato remoto, di una cultura semplicistica, schematica, povera. I gloriosi bagni pubblici sono stati oggi soppiantati da certi ermetici e claustrofobici box disposti in batteria, che nell’imminenza della minzione inducono l’inibizione della funzione stessa, con rischio di autoinnaffiamento e la conseguente 'mollatura' delle mutande e dei calzoni. Box che calano a mo’ di alieni a deturpare la scenografia di certe piazzette perugine, proprio in occasione di Umbria Jazz ed Eurochocolate. Sono lontani i tempi del “fresco orinatoio”, molto più igienico e decoroso degli attuali traballanti parallelepipedi colorati.
Ogni tanto qualche politico riesuma la questione e dice: “adesso li faremo”. Poi non succede nulla.
Se il bagno pubblico per il cittadino è un servizio importante, diventa servizio indispensabile ancor più per il turista. E pensare che a Perugia ce n’erano tanti, poi ruderizzati, oppure venduti e trasformati in opinabili residenze, vedi l’esempio dell’ex diurno di via del Fagiano, riadattato a un insieme di inospitali locali per l’emergenza sbarchi. Definirla “Gargottara” è eufemismo. L’imperatore Vespasiano, inventore del cesso pubblico, un giorno disse al figlio Tito non olet. Oggi invece, olet, eccome se olet, caspiterina! Perché il “mi skappa” viene assolto dove capita, cioè ovunque ci sia un angoletto discreto.
Il rude imperatore, Vespasiano da Rieti, molto abilmente aveva istituito una tassa per chi utilizzava l’orinatoio pubblico, contribuendo alla diffusione della cultura dell’igiene. La storia ci racconta che i soldi ricavati contribuirono alla costruzione del Colosseo.
Perché allora non trarne ispirazione per far sì che un normale bisogno corporale possa contribuire a produrre ricchezza? E, perché no..? Anche la pipì può diventare una risorsa innovativa: infatti è assolutamente possibile trasformarla per produrre energia,
per produrre fertilizzanti, combustibili e materiali da impiegare nell’edilizia.
I Comuni lungimiranti, quelli che hanno così ben compreso la lezione, puntano a offrire servizi ben concepiti, strutturati e curati. Si affidano ai creativi per arricchire la scena urbana con servizi di avanguardia, guadagnando lecitamente soldi da reimpiegare per altre attività.
Qui da noi si dorme in un lungo letargo da quattro stagioni: prevale il basso profilo, quello del “vivi e lascia vivere”. Nell’ambito del tanto osannato decoro urbano, non può non essere inserita l’impellenza di opportuni e adeguati studi per i bagni pubblici, che siano espressioni della cultura del luogo, oggetti di adeguata e dignitosa architettura, ambientalmente compatibili. Un orinatoio può persino diventare un’opera d’arte: come punto di partenza, ci si può ispirare all’orinatoio di Marcel Duchamp o al cesso 18 carati di Maurizio Cattelan. ◘
A cura dell’Architetto Mauro Monella