Venerdì, 04 Ottobre 2024

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C’erano una volta le tabacchine...

Cronache d’epoca

silvia romano2

Prima c’erano le lavandaie e i vicoli profumavano di ranno…poi le figlie delle lavandaie divennero tabacchine e i vicoli odoravano di tabacco…e da questi vicoli, di prima mattina, uscivano donne con grembiuli colore del tabacco che sapevano di tabacco. Non sempre il grembiule era indossato, spesso per la fretta era appoggiato sulle spalle, dovevano spicciarsi queste donne, sollecitate dal suono lamentoso di una sirena, per giungere qualche minuto prima delle otto ai “tabacchi”, così era chiamato l’opificio della Fat (Fattoria autonoma tabacchi) in fondo a via Oberdan, incastonato tra il trecentesco tempio di san Domenico, il vecchio ospedale e il rinascimentale palazzo di Alessandro Vitelli. Opificio nato sulla sconsacrata chiesa di santa Caterina, dove si vuole che andassero le donne che cominciavano a “prendere di aceto” per implorare la santa martire con questa imperiosa preghiera: «Santa Caterina dal viso adorno, fammi trovare marito se no il prossimo anno non ci torno». Non è dato sapere quante furono le richieste esaudite dalla santa, ma qualcosa di quell’antica supplica è rimasto in quel luogo, perché era voce diffusa che lavorando ai tabacchi molto spesso si rimediasse uno straccio di marito: il famoso “marito della tabacchina”, in perenne attesa di un lavoro.

Quando le campane suonavano il mezzogiorno, le tabacchine uscivano dall’opificio quasi di corsa, come di corsa erano entrate la mattina. Ersilia era tra queste, doveva correre a casa «a preparare qualcosa da mettere sotto i denti». Qui, giunta nella cucina color fumo (era proprio fumo), l’attendeva sopra il tavolo la “batilarda” contornata da sedano, carota e cipolla, in questo caso con la partecipazione straordinaria di un “cicato” di carne; la “coltella” batteva quelle verdure e il “cicato”. Un tam tam che usciva dalla finestra per giungere negli altri vicoli e unirsi ad altrettanti tam tam suonati da altre tabacchine, e non solo. I tam tam si mescolavano e per qualche minuto si impossessavano dei vicoli in un crescendo rossiniano con venature mozartiane, mentre la minestra nella “marmitta” aspettava mestamente di essere insaporita. Poi nei vicoli un silenzio avvolto dal profumo della minestra. Da una radio lontana giungevano scolorite le note di “Vola colomba” dalla voce di Nilla Pizzi. Un disordinato rumore di stoviglie attestava che il pranzo era concluso. Nell’acquaio di pietra grigia, in una bacinella zincata, si lavavano piatti, tegami, bicchieri con l’acqua raccolta alla “pompa” del vicolo con brocche. Con uno straccio intriso nella cenere si strofinavano piatti e “marmitte”. Giusto in tempo, suona la sirena: «’l brottomèle, ‘n te danno manco ‘l tempo de mandè giò ‘n bocone» borbottò l’Ersilia mentre scendeva le scale per tornare ai “tabacchi”.

2 c erano una volta le tabacchine mese lugllio 2021Ida, una vecchia tabacchina da tempo in pensione, era entrata ai tabacchi nel 1916, poco più che bambina, e ne era uscita trent’anni dopo. «A quel tempo eravamo più di cento a lavorare alla fattoria, quasi tutte donne – raccontava Ida le sere d’estate a veglia nel vicolo, mentre slargava la lana per ringiovanire il materasso – allora direttore era il sor Dino Garinei, un padrone non malaccio. Il lavoro era duro, ci se stracchèa de brutto ma dovei ringraziè Dio per averci un lavoro. E pù come dice Aziaco: “In mancanza de altro se va aleto co’ la mogli”».

Prima dell’ultima guerra i tabacchi si erano ingranditi costruendo capannoni, ingoiando tutti gli orti del “campaccio”; altri fabbricati erano sorti a Rignaldello; questi durante la guerra furono incendiati dai tedeschi. Quel fumo durò giorni e giorni a salire in cielo. Poi nel luglio del 1944 arrivarono gli inglesi, la guerra era finita, almeno per Città di Castello. La vita stava riprendendo. Gli stabilimenti Fat riaprirono ad agosto recuperando il tabacco dei campi e lavorando quello che il fuoco non aveva distrutto. Vi furono tante nuove assunzioni: oramai erano più di mille quelli che ci lavoravano. Arrivò un giovane direttore, Silvio Donadoni, fedelissimo nell’eseguire gli ordini degli agrari. Nel Natale di uno di quegli anni le maestranze furono omaggiate di un panettone e di una bottiglia di spumante. Un regalo inaspettato, il panettone era stato sdoganato nei vicoli!

Quella sera d’estate nel vicolo l’orologio di piazza batté undici colpi: «’l brottomèle come è tardi, adeso arcutino sta lèna su la cesta e ve dò la bona note»: la veglia del vicolo era finita; Ida, trascinando la vecchia sedia, si avviava verso casa. Prima di ritirarsi la donna si fermò sullo scalino. «Me so fata vechia…me c’è armasto de slarghè la lèna…’l mi posto ai tabachi l’ha preso la mi fiola, la Carola. O Dio, me sa che arcambia ‘l tempo, c’ho l’osi che me fan vedè le stèle…».

3 c erano una volta le tabacchine mese lugllio 2021Quando Carola entrò ai tabacchi, il clima positivo di collaborazione tra il sindacato e la direzione della Fat si stava deteriorando. La sconfitta della Sinistra alle elezioni del 1948 portò alla rottura dell’unità sindacale, dando l’avvio a una dura repressione; cinque attivisti della commissione interna vennero licenziati, fuori dai cancelli della Fat ci furono scontri tra mezzadri e la celere, con feriti e arresti. L’acre odore dei lacrimogeni entrò dentro lo stabilimento e vi rimase a lungo. Racconta Carola: «Non potevi neanche alzare la testa per far riposare il collo che minacciavano di farti la multa. Se qualcuna aveva scioperato era minacciata di licenziamento…non potevi scambiare una parola con la compagna di banco che ti multavano. Ti facevano mandare giù certi rospi!». Nel 1961 la peronospora tabagina distrusse l’80% del raccolto del tabacco. Ci furono licenziamenti e, seppur superata la crisi della peronospora, i tempi stavano cambiando. La meccanizzazione del processo produttivo provocò l’uscita di molte tabacchine: da più di mille donne e duecento uomini il loro numero si dimezzò negli anni Settanta; molte trovarono un altro lavoro, altre andarono in pensione, come Carola, che conclude i suoi ricordi: «Certo, non bisogna scordare che, nonostante tutto, la Fat è stata un pezzo importante della storia di Città di Castello e per me è stata un’esperienza di vita. Nessuno ti regala niente, tutto va conquistato. Sempre». D’accordo, allora Ida, Ersilia, Carola e tutte le altre tabacchine, ci vedemo ‘n piazza, la vostra! La “Piazza delle tabacchine” a voi dedicata è inaugurata in questi giorni. ◘

di Dino Marinelli


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